INTERVISTA A SILVIO MAZZAROLI DIRETTORE DELL'ARENA DI POLA

(da La voce del Popolo 09/05/2012) 

Intervista a Silvio Mazzaroli, direttore de «L’Arena di Pola»,
sui raduni degli esuli, sulla riconciliazione...
«Rendere compatibili memorie destinate a rimanere disgiunte»

POLA – Raduno a Pola, la promessa di ripetere l’esperienza del 2011 è mantenuta, ma con alcune novità importanti. Quali saranno? Lo chiediamo a Silvio Mazzaroli, direttore de "L’Arena di Pola", impegnato in prima persona nell’organizzazione dell’evento. Ma con lui abbiamo voluto spaziare anche su altre tematiche di attualità, in quel dietro le quinte di un evento che nasce da tante riflessioni, tentativi, volontà di capire e bisogno di trovare la strada giusta verso una realtà che c’è ma è difficile da definire. Per molto tempo si è parlato di ricomposizione, concetto che oggi assume altre valenze, perché si evolve, perché solo in parte è stato raggiunto, perché c’è il bisogno di definire una nuova dimensione, attraverso un dialogo già avviato. Vediamo come.
"Più che mantenere una promessa abbiamo reso operativa la decisione maturata in seno all’Assemblea Generale dei soci dell’LCPE tenuta a conclusione del nostro Raduno 2011. Ci è stato chiesto di ripeterlo a Pola e così abbiamo fatto, cercando però di dargli un più preciso o, se si preferisce, più evidente significato: quello della volontà di ricucitura dell’antico tessuto sociale della comunità polese, incentivando il dialogo tra esuli e rimasti. È una volontà che oggi possiamo dire essere condivisa anche dall’Unione Italiana, dai suoi vertici e da una considerevole parte dei suoi associati, sia in Croazia che in Slovenia. Lo dimostra il fatto che le iniziative più significative comprese nel programma del Raduno, ovvero il percorso in omaggio alle vittime degli opposti totalitarismi e la giornata di studio dedicata all’archeologo prof. Mario Mirabella Roberti sono state messe a punto, in relazione alla rispettiva valenza, in collaborazione la prima con l’Unione degli Italiani e la seconda con la Comunità degli Italiani di Pola".

Guardare al futuro con speranza e ottimismo

Come tutte le strade nuove, anche quella intrapresa dal Libero Comune ha le sue difficoltà. Pensavate all’inizio ad un’adesione così entusiastica da parte dei vostri soci?
"Sì, quella da noi imboccata è una strada abbastanza innovativa e, pertanto, ha presentato e presenta delle difficoltà, comunque non tali, però, da farci desistere. Anzi! La prima è, comprensibilmente, quella di una non condivisione della nostra linea d’azione da parte di tutti gli esuli, nostri soci inclusi. I traumi del passato sono stati tali che ancora oggi non tutti riescono a superarli; noi siamo però convinti che occorrà guardare al futuro con speranza ed ottimismo. Un’altra difficoltà è rappresentata dal fatto che i tempi non sembrano maturi per un’effettiva riconciliazione tra italiani, sloveni e croati, anche se le iniziative intraprese dai tre presidenti hanno rappresentato un segnale in qualche misura positivo. Poiché è soprattutto in casa loro che stiamo cercando di sviluppare il nuovo corso, le dobbiamo tenere in debito conto. Parlare, quindi, di un’adesione entusiastica dei nostri soci alle nuove iniziative appare eccessivo, anche se le cose stanno pian piano cambiando. Se parliamo invece di adesioni ai nostri due ultimi raduni dobbiamo dire che le stesse ci hanno piacevolmente sorpreso. Negli ultimi raduni fatti in Italia i partecipanti erano stati tra i 70 ed i 90; l’anno scorso e quest’anno abbiamo superato le 200 unità. Considerato che le nostre file si vanno rapidamente assottigliando, il raddoppio e più delle presenze, oltre che sorprendente, è la dimostrazione evidente che in molti aspettavano l’opportunità, o necessitavano di una spinta, per ritornare. Credo lo si possa definire un successo".
Come mantenere alto il desiderio di riprovarci?
"Ritengo sia fondamentale non configurare questi nostri "ritorni" come una nostalgica, per quanto piacevole, "gita fuori porta"; è necessario dare loro dei significati che possano per i più anziani essere di una qualche gratificazione per quanto hanno sofferto e dovuto subire e, per i più giovani, portare ad una riscoperta delle proprie radici. Bisogna, ancora, riuscire a dare la sensazione a chi vi partecipa che quello che stanno affrontando è un percorso, non un "unicum" fine a se stesso, e che quello che si sta facendo oggi è prodromo per ciò che si potrà fare domani".

Lo scontro ideologico si è di molto stemperato

Per tanti anni le nostre genti hanno vissuto realtà parallele, come cercare di unire due esperienze senza urtare le singole sensibilità?
"È vero. Per oltre 50 anni gli italiani aldiquà ed aldilà del confine orientale si sono, per così dire, guardati in cagnesco. Le ragioni erano molteplici ma la matrice era una: lo scontro ideologico. Non è che oggi le ideologie siano scomparse né, tantomeno, i loro cultori; tra questi, gli ultimi compromessi con il passato, quelli che ci credono per convinzione o nostalgia e quelli che lo fanno per una qualche convenienza. Di fatto, però, lo scontro si è di molto stemperato e di questo bisogna cercare di trarre vantaggio".
Da dove cominciare per ricucire ciò che la storia ha strappato?
"Noi siamo convinti che si debba partire da una semplice ma inconfutabile considerazione. Le nostre genti, istriane, fiumane e dalmate si sono venute a trovare nel secolo scorso nell’epicentro di un epocale scontro ideologico, sociale, culturale, nazionalistico e militare. "Incudine" e "martello" si sono avvicendati, ma a trovarsi in mezzo è stata sempre, purtroppo, la nostra gente. In altre parole abbiamo tutti sofferto la nostra parte e solo riuscendo a rispettarci vicendevolmente, senza per questo dimenticare, potremo riuscire a "girar pagina". L’obiettivo, tuttavia, non è quello di giungere ad una memoria condivisa bensì, e sarebbe già una gran cosa, a rendere compatibili, in un’ottica di obiettività storica, memorie destinate, comunque, a rimanere disgiunte. È questo l’obiettivo a cui tende il nostro attuale impegno".

Un dialogo appena avviato

Il raduno, Vergarolla, sono iniziative particolari, è possibile programmare iniziative ex novo che evolvano da queste esperienze collaudate, da fare insieme? Con quali necessarie premesse?
"Quelle indicate sono effettivamente iniziative particolari ma perfettamente confacenti alla nostra volontà di riavvicinamento. Evidenzierei che proprio le nostre passate celebrazioni della strage di Vergarolla ci sono state d’incoraggiamento per i successivi raduni. Erano state celebrazioni condivise con non pochi rimasti poiché tra le vittime dell’eccidio c’erano anche congiunti ed amici di chi poi decise di rimanere; mettevano quindi in luce un qualcosa di vissuto in comune, un qualcosa che ci univa e che ci ha indotti a ricercare sempre più il dialogo tra di noi, per superare quel voi e noi che sin qui ci ha divisi. Si tratta di un dialogo appena avviato e non certo da considerare concluso solo perché qualche piccolo passo avanti è stato fatto. In pratica, ciò che è stato collaudato è la possibilità di dialogare; ora è necessario implementare questa possibilità partendo soprattutto da ciò che ci unisce: storia (quella più datata), cultura, tradizioni, lingua… La premessa, per continuare sulla via intrapresa, consiste nel rispondere ad una semplice domanda. Ci interessa che in Istria, e più in generale nelle nostre terre, permanga un back ground di italianità di cui noi ed i nostri discendenti si possa oggi e, soprattutto, domani godere? Se la risposta è sì, quella da noi indicata è la sola via da percorrere; se la risposta è no, affermare al contempo di amare la nostra terra non ha alcun senso"!
Le associazioni stanno invecchiando rapidamente; quali prospettive per un reale rinnovamento? Come invogliare i giovani a partecipare?
"I più di noi, come diciamo noi alpini, sono già "andati avanti" ed anche quelli che erano "ultima e ultimissima mularia" hanno davanti a sé un futuro di non lungo respiro. Obiettivamente non vedo grandi prospettive di rinnovamento e credo che la responsabilità di questo sia essenzialmente nostra. Per troppo tempo abbiamo guardato solo al passato e tanti ancora oggi si rifiutano persino di guardare con altri occhi ad un presente che è già molto diverso da ciò che è stato. I giovani vogliono essenzialmente vivere il loro presente e, possibilmente, proiettarsi nel futuro. Pertanto, anche nel nostro campo, è necessario lavorare, impegnarsi soprattutto per il futuro per creare per i nostri giovani migliori condizioni di civile convivenza, di interscambio culturale, di esperienze di studio, di lavoro, di vita. Potremo coinvolgerli solo se sapremo quantomeno indicare loro degli obiettivi da raggiungere. Per farlo non ci rimane molto tempo e tutti dovrebbero dare il proprio contributo di pensiero e d’azione. Pretendere o anche solo rassegnarsi al fatto che tutto debba finire con noi, oltre che egoistico, è autolesionistico"!

Giornate di studio

È possibile immaginare un raduno di tutte le associazioni e comunità, fuori dagli schemi, per dare un segno alle nuove generazioni?
"Immaginare un raduno di tutte le nostre realtà associative è difficile. Noi abbiamo provato a coinvolgere nel nostro raduno anche qualche altra associazione che sostanzialmente condivide la nostra linea ma non ci siamo riusciti, per questione di "campanile", ma anche e soprattutto perché ognuna ha al suo interno le stesse nostre difficoltà e ciò che ognuna riesce a fare è sempre il risultato di un qualche compromesso interno. Un segnale importante di unità d’intenti da dare ai giovani potrebbe però riguardare qualche iniziativa particolare, da affrontare tutti assieme, e "per tutti" non intendo solo noi esuli, né solo noi esuli e rimasti e nemmeno solo noi italiani, bensì anche i nostri vicini sloveni e croati. Ne indico una nei cui confronti c’è una confluenza d’interessi. Il prossimo 2013 ricorrerà il 70.simo anniversario di quel funesto 1943 che ha dato avvio alla fase più truculenta di una tragedia che ci ha coinvolti tutti sino al 1945 ed oltre, disseminando le nostre terre di "tombe senza croce". Non parlo solo di foibe, ma anche di fosse comuni, di fondali marini,… che ancora celano i resti di nostri connazionali, ma anche e ben più numerosi, di sloveni e croati, vittime delle ideologie del passato. Il sapere "chi giace dove" è un problema che oggi si pongono tanti. In questi ultimi anni, al di qua ed al di là del confine orientale, sono tante le associazioni che hanno sollevato il problema, come le denunce fatte al riguardo anche a livello istituzionale. È notizia di questi giorni che l’ottobre scorso sul tema è stata riattivata una Commissione bilaterale italo-croata istituita nel 2000 e che la stessa si è riunita, sembra con esiti promettenti, lo scorso 3 maggio. Perché non organizzare una o più giornate di studio ed approfondimento con tutti gli aventi causa: storici, ricercatori, associazioni, commissioni, istituzioni, ecc. italiane, slovene e croate? Di certo non mancano coloro che potrebbero dire qualcosa di assai significativo, sia sotto il profilo storico e politico sia per venire incontro ai desiderata dei tanti che ancora aspirano a sapere dove giacciono i loro cari. Potrebbe emergere sia quella verità che quella pietas di cui tutti avvertiamo la necessità.

Regionalizzazione degli incontri

Le impressioni raccolte dopo il primo Raduno?
"Tutti molto contenti. Ci ha colpito il fatto di trovarci di fronte tanta gente che nel passato era defilata, non partecipava. Molti insistono perché si continui a fare il Raduno a Pola anche se forse preferirei toccare altre città istriane per un coinvolgimento che superi il legame al proprio campanile, per una regionalizzazione dei nostri incontri".

Rosanna Turcinovich Giuricin

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