Se ne deve ancora parlare, eccome!
Avevamo scritto, definendolo un buon segno, che la stampa croata aveva ignorato il nostro raduno. Sbagliato! Come risulta dall’articolo pubblicato a pagina 4, sia pure con lieve ritardo, lo ha preso in considerazione trattandolo con obiettività, con toni leggermente critici ma, comunque, non negativi. Di detto articolo due, in particolare, sono i punti meritevoli di commento. Il primo riguarda il quasi rimprovero rivoltoci per aver aspettato 20 anni, dopo l’implosione dell’ex Jugoslavia, per ritornare nella nostra Città, delineando anche una – non la sola – ragione per detto ritardo: la necessità che intercorresse un ricambio generazionale o, quantomeno, una maturazione nell’ambito della vecchia nomenclatura dell’Unione degli Italiani. In effetti, però, i nostri primi contatti con i "rimasti" di Pola, come più volte evidenziato, sono iniziati sin dal 1991 e sono andati consolidandosi con il tempo sino a consentirci di realizzare i nostri due ultimi raduni nella Città natale, ancorché né l’uno né l’altro dei predetti processi possa dirsi testé concluso. Il secondo, invece, concerne il dubbio espresso dall’autore che il nostro attuale impegno, volto alla "ricucitura", possa risultare anacronistico, superato e che pochi siano oggi disposti a seguirci sulla strada intrapresa od anche solo a prestarci attenzione.
È un dubbio dal quale rifiutiamo di farci influenzare, convinti come siamo dell’assoluta necessità di perseverare, nella speranza che, o prima o poi, se ne possano raccogliere i frutti. Infatti, se da un lato il nostro attuale impegno è volto a conservare e consolidare, nei limiti più ampi possibili, l’italianità di quell’Istria a cui ci sentiamo indissolubilmente legati, dall’altro esso è mirato ad instaurare un clima di reciproco rispetto idoneo a consentire un dialogo più sereno ed obiettivo in merito a ciò che è stato e che ha determinato la lacerazione delle nostre originarie comunità. E che non si tratti di una speranza priva di prospettive lo dimostra il fatto – e ci si perdoni la presunzione di ritenere che siano stati proprio i nostri ultimi raduni ad aprire una nuova via – che anche gli esuli da Fiume si stanno apprestando per il loro tradizionale raduno a ritornare nel 2013 ufficialmente nella loro Città e che lo faranno su specifico invito del locale sindaco croato Vojko Obersnel. È un qualcosa sino ad oggi di pressoché impensabile e che ci si augura possa costituire un esempio, un precedente da seguire anche da parte di altri sindaci, non ultimo, sperabilmente, quello della nostra Pola.
Non è, peraltro, questo il solo motivo per cui è ancora necessario parlare del nostro passato; un passato relativamente al quale ancora poco si sa o si crede di sapere; un poco, tra l’altro, che spesso si discosta alquanto dalla verità.
Da un recente scritto di un "rimasto" (ben noto a noi polesani) si può evincere che "l’ignoranza" di quanto è stato sarebbe dovuta, per quanto li riguarda, al fatto che in famiglia i padri per «per non oberare i figli con le paure ed i fantasmi del passato» non ne abbiano parlato a sufficienza; vi si legge ancora: «ma senza l’ausilio di questa rimozione, del resto, come si fa a rimanere a casa propria restando comunque italiani e, nel contempo, aprire le porte a questa speranza che oggi si chiama convivenza?». Premesso che anche la "non conoscenza" tra gli esuli di più recente generazione, ancorché su scala minore, per paure e fantasmi certamente diversi e per motivi solo in minima parte coincidenti, può essere fatta risalire alla stessa ragione, siamo convinti che l’apertura alla convivenza, più che dalla rimozione – che di per sé non ha mai risolto, ma solo procrastinato, la risoluzione di qual si voglia problema – possa e debba essere favorita da una riconsiderazione, scevra da preconcetti, strumentalizzazioni ed ipocrisie da entrambe le parti, della nostra storia.
Che non sia cosa facile da fare lo dimostra, tra l’altro, una recente affermazione della stessa persona che, in un davvero poco felice tentativo di avvalorare la propria apertura mentale, ha affermato: «Quando si parla di morti assassinati di Vergarolla siamo fuori binario e la deviazione è di destra [ovvero, Ndr, italiana]; quando si dice che fra gli infoibati non vi sono innocenti (posizione a suo tempo espressa dai partigiani istriani), siamo di nuovo fuori binario e la deviazione è di stampo vetero-bolscevico-stalinista [perché, Ndr, non chiamarlo semplicemente slavo-comunista, comprendendo nel termine anche non pochi italiani?]».
Evidentemente non è questo l’approccio corretto all’auspicato dialogo perché se al riguardo è fuori discussione la veridicità della seconda affermazione – ed il nostro omaggio alle vittime della foiba di Terli ha inteso, appunto, sottolinearlo – la NON veridicità della prima è, invece, tutta da dimostrare. Circa Vergarolla, infatti, sussistono tutti i presupposti per poter definire quel fatto un CRIMINE: c’è il mandante (Tito), il movente (la volontà di attuare una pulizia etnica preventiva) e persino un’illuminante ammissione di colpa (Milovan Gilas: «Io e Kardelij fummo mandati da Tito in Istria per convincere con tutti i mezzi gli italiani ad andarsene e così fu fatto»); che di crimine si sia trattato lo attesterebbero, altresì, documenti di recente desecretati dagli archivi inglesi di Kew Garden che ne indicano anche il probabile autore (Giuseppe Kovacich) e ci sarebbe persino (e qui il condizionale è d’obbligo in carenza dell’evidenza del fatto) chi, co-reo, per crisi di coscienza si è suicidato. Il tutto appare più che sufficiente a suffragare la nostra convinzione di sempre che di un vile attentato si sia trattato e se così non dovesse essere non sta certo a noi il dimostrarlo. Oggi, infatti, è prassi processuale ricorrente che, più che la colpa, sia la "presunzione d’innocenza" a dover essere dimostrata.
Questo di Vergarolla non è che un aspetto particolare, un piccolo tassello di quel puzzle assai complesso che è la nostra storia e su cui è ancora necessario fare chiarezza; un punto che a noi esuli da Pola sta particolarmente a cuore, che sin dalle prime battute ha motivato il nostro ritorno e la cui condivisione costituisce una sorta di "cartina di tornasole", non solo dell’effettiva ricucitura tra esuli e rimasti ma, altresì, della possibilità di una reale riconciliazione, ancora da venire, tra italiani e croati. Il nostro auspicio è, pertanto, che finalmente si trovi la volontà e la forza di affrontare in serenità l’argomento e che chi sa, ed indubbiamente qualcuno c’è, si decida a parlare. È un qualcosa su cui – specie all’approssimarsi dell’anniversario di quella tragedia – non possiamo e vogliamo transigere nell’assoluta convinzione che solo un definitivo chiarimento potrà fare di detto episodio, anziché un contenzioso di tipo politico, quel semplice motivo di pietas che tutti, a distanza di tanti anni, dovremmo volere.
Passando dal particolare al generale è, quindi, assolutamente necessario continuare a parlare del passato, non fosse altro perché condiziona tuttora il nostro presente, e tutti dovremmo avvertire l’esigenza di farlo in tempi brevi. La storia, tutte le storie – come noi, più di altri, ben sappiamo – si lasciano scrivere ma solo chi le ha realmente vissute è in grado di confutare e, se del caso, correggere quanto viene scritto. A poterlo ancora fare, con cognizione di causa, siamo rimasti in pochi; poi, chi verrà non potrà fare altro che leggere quanto di noi altri hanno scritto. Di questo tutti, esuli e rimasti, italiani e slavi dovremmo farcene una ragione e darci tutti assieme da fare.
Silvio Mazzaroli