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a cura di Maria Rita Cosliani – Eufemia G.Budicin – Stefano Bombardieri

N. 918 – 09 Luglio 2014
    
Sommario

238 -  La Voce del Popolo 07/07/14 Monfalcone: Memoria collettiva: un patrimonio (Christiana Babić)
239 – Corriere della Sera 06/07/14  La memoria della Grande Guerra nelle terre di confine (Giorgio Pressburger)
240 - La Stampa 07/07/14 Redipuglia, il sacrario di ogni caduto (Enzo Bettiza)
241 - Il Piccolo 06/07/14 Transalpina, simbolo della guerra fredda (Dario Stasi)
242 - Il Piccolo 06/07/14 Zagabria mette a rischio le scuole italiane (p.r.)
243 - Il Piccolo 08/07/14 Zagabria ci ripensa e salva le scuole italiane (p.r.)
244 - La Voce del Popolo  30/06/14 Alla fine la spuntano Radin e Tremul ((af-sp-gk-jb)
245 - Il Piccolo 05/07/14 Francesca Neri al Magazzino 18: «Con papà Pisino era casa nostra» (Elisa Grando)
246 - La Voce di Romagna 02/07/14 Monsignor Margotti e i deportati (Aldo Viroli)
247 - Il Piccolo 09/07/14 Viaggio in Dalmazia - Pagaiando controvento fino a trovare i fantasmi del lager di Goli Otok (1) (Emilio Rigatti)



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238 -  La Voce del Popolo 07/07/14 Monfalcone: Memoria collettiva: un patrimonio

Memoria collettiva: un patrimonio

È iniziata da Monfalcone la visita di due giorni del Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, in Friuli Venezia Giulia e in Slovenia per celebrare il centenario della Prima guerra mondiale. Al suo arrivo, il Capo dello Stato, dopo aver visitato la mostra “Alisto – Dalle trincee della Grande guerra ai nuovi sentieri della pace e della convivenza” è intervenuto nella Sala della Galleria di arte contemporanea dopo i discorsi del sindaco Silvia Altran e del prof. Claudio Magris.

Una terra di pace

A ricevere il Presidente Napolitano c’era anche la presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, che ha dichiarato: “Questa è una terra che è stata di sofferenza e tragedia. Oggi è diventata una terra che rappresenta la pace. Il presidente ha una visione europea ed è anche per questo che viene volentieri qui”. “L’avvio delle celebrazioni della Grande guerra è un momento importante, di rivalutazione di tutta l’umanità coinvolta in guerra. Un’umanità che fece il suo dovere nelle varie parti e che oggi segna il patrimonio della memoria collettiva. È un grande monito e un patrimonio da conservare anche in uno spirito europeo”. Ha detto il presidente del Consiglio regionale FVG, Franco Iacop, al termine della visita del Capo dello Stato.

Sradicare i nazionalismi

“Dall’esempio della Prima guerra mondiale deve derivare la convinzione dell’assoluta necessità di sradicare i nazionalismi aggressivi e bellicisti, dando vita a un progetto e a un concreto processo d’integrazione e unità dell’Europa”, ha detto il Capo dello Stato inaugurando la mostra dedicata agli aviatori italiani del conflitto.. “Sappiamo – ha aggiunto Giorgio Napolitano –, che allora grandi masse di figli dell’Italia umile e provinciale scoprirono di essere cittadini. L’Italia uscì perciò da quella Guerra trasformata socialmente e moralmente”.
In conclusione del suo intervento nella sede del Comune il Capo dello Stato italiano ha espresso il suo ringraziamento per la partecipazione alla cerimonia alle autorità rappresentative di Croazia, Slovenia e Austria. Nel pomeriggio, infatti, Giorgio Napolitano, si è intrattenuto a pranzo con i presidenti di Croazia, Ivo Josipović e Slovenia, Borut Pahor, nonché con il il presidente del Consiglio Federale austriaco, Georg Keuschnigg, per rinsaldare i rapporti tra alcuni degli Stati che furono protagonisti del conflitto. È stata questa anche un’occasione per approfondire, in sede di colloqui informali, i rapporti quadrilaterali nonché quelli in sede europea.

«Messa da Requiem» al Sacrario

In serata, come noto, i presidenti con le rispettive delegazioni hanno assistito al concerto “Messa da Requiem” di Giuseppe Verdi diretto dal maestro Riccardo Muti, al Sacrario militare di Redipuglia in onore dei Caduti di tutte le guerre. Per l’occasione musicisti delle nazioni coinvolte nella Grande guerra si sono esibiti insieme all’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, all’European Spirit of Youth Orchestra e ai Cori provenienti dal Friuli Venezia Giulia, Lubiana, Zagabria e Budapest. Il concerto è stato trasmesso in diretta su Rai3 e sarà replicato il primo agosto su RaiUno. Questa sera la “Messa da Requiem” sarà riproposta a Lubiana.

Con Pahor a Nova Gorica

La visita del Presidente Napolitano nei luoghi della Grande guerra continuerà oggi a Gorizia. A riceverlo sul piazzale della Transalpina, che divide il capoluogo isontino da Nova Gorica sarà il presidente sloveno Borut Pahor. Semplice, ma di forte impatto il cerimoniale previsto: ad eseguire gli inni sloveno, italiano ed europeo sarà l’Orchestra militare, poi una stretta di mano con i rappresentanti della minoranza slovena in Italia e di quella italiana in Slovenia e Croazia, nonché con le autorità di Gorizia e di Nova Gorica.
Poi sul vicino santuario del Monte Santo i due Presidenti scopriranno una lapide bilingue dedicata ai caduti della Grande guerra, un invito alla riflessione e al ricordo, affinché gli orrori della guerra non abbiano mai più a ripetersi. Al termine della cerimonia Giorgio Napolitano si recherà ad Aquileia per una visita privata alla basilica e alla sud halle. “In passato, infatti, aveva espresso il desiderio di vedere il tempio, con il tappeto musivo più ampio d’Europa”, ha ricordato il sindaco di Aquileia, Gabriele Spanghero.
Christiana Babić

239 – Corriere della Sera 06/07/14  La memoria della Grande Guerra nelle terre di confine
LA VISITA DI NAPOLITANO
La memoria della Grande guerra nelle terre di confine cuore d`Europa

di GIORGIO PRESSBURGER

Quel giorno, il giorno dell`ira, dissolverà il mondo in scintille. Le note della Messa da Requiem composte da Giuseppe Verdi nel 1874 risuoneranno stasera nel sacrario di Redipuglia dedicato ai militari italiani caduti nella Prima guerra mondiale, e specialmente a quelli della Terza Armata. Trentamila tombe. In alto in quel cimitero a gradinate ci sono le salme degli ufficiali, i soldati semplici sono più in basso. Oggi quattro repubbliche europee saranno rappresentate dai rispettivi capi di Stato (per l`Italia Giorgio Napolitano), i quali verranno soprattutto in nome dei popoli che hanno orrendamente sofferto in quel conflitto proprio sulle terre vicine a quel sacrario. Tra gli orchestrali, i cantanti, il direttore Riccardo Muti e tutti coloro che parteciperanno a questa commemorazione molti avranno parenti che erano coinvolti in quel massacro feroce se non vi sono addirittura morti. Ma le generazioni più giovani forse non li avranno nemmeno conosciuti.
Probabilmente non esiste più nessun essere umano vivente che abbiacombattuto con le armi in quella guerra. Anche i testimoni oculari, che allora saranno stati bambini, ora, in tutto il mondo saranno pochissimi. Perché queste commemorazioni, oggi ? Che cosa si commemora? Che cosa è nato da quella guerra, la prima guerra di quelle dimensioni in tutta la storia dell`umanità? È difficile dirlo. Per chi non lo sapesse, in quei combattimenti c`erano ancora dei «corpo a corpo» tra soldati delle varienazioni. Gli austriaci, i tedeschi, gli ungheresi, gli sloveni, i croati dovevano con la baionetta squartare il ventre dei loro nemici, italiani, francesi, inglesi, americani, se non volevano essere uccisi loro. Trafiggere con la baionetta degli sconosciuti.
Nemici sconosciuti, di cui non si sapeva nemmeno che cosa ci avessero fatto. Ma non potevano averci fatto nulla, anche loro forse non sapevano perché dovevano ammazzarci.
Anche in questo, quella guerra era unica nella nostra storia di esseri umani. Un`altra novità era l`uso di armi nuove, la tecnica aveva dato il suo contributo alla facilità di uccidere: aerei con mitragliatrici, addirittura con bombe sorvolavano trincee e città: era cominciata una nuova era. Selvagge forze tribali e raffinate tecnologie contribuivano a qualcosa che in effetti aveva ancora echi tribali: la rivalità di case regnanti, tra re e principi di varie nazioni che custodivano ancora le regole feudali.

Tra queste nazioni c`eravamo anche noi. Coloro contro i quali i nostri nonni e bisnonni combattevano ín trincee, camminamenti scavati nelle montagne, cime, ghiacciai, avevano effettivamente usurpato le nostre terre, i monumenti, la forza delle braccia, l`intelligenza dei nostri avi, ma non quei disgraziati strappati alle loro famiglie che erano stati mandati contro di noi. Una guerra tra famiglie reali.
I militari italiani le cui ossa sono custodite a Redipuglia sono morti così. Hanno difeso la loro Patria sulle montagne, nel Carso, nel bellissimo Carso, formazione geografica tra le più belle del mondo. Credevano nell`Italia allora nata da poco, credevano anche nella solidarietà umana. Un contadino calabrese allora non capiva una sola parola del discorso che un piemontese poteva rivolgergli, eppure si sentiva solidale con lui, senza per questo odiare o disprezzare un croato, un polacco o un montenegrino. Come mai, ora un inglese o un francese, o un italiano vogliono stare ciascuno per conto suo (per fortuna solo una parte)? E questo dopo che per la prima
volta su questo Continente di nome Europa dopo migliaia di anni nessuno tende a occupare le terre abitate da altri popoli, a appropriarsi con la forza dei suoi beni?
La commemorazione dei caduti i cui corpi sono custoditi a Redipuglia serve anche a questo. A ricordare che l`inimicizia tra popoli deve essere lasciata alle spalle. Anzi, che l`inimicizia tra i popoli e le etnie non esiste: viene fomentata tra la gente semplice che spesso non sa nemmeno di
che cosa si tratta. Dai verbali dei processi a soldati della Prima guerra mondiale che avevano figli, moglie genitori da mantenere e invece venivano mandati nelle trincee risulta che spesso non capivano nemmeno che cosa gli si stava dicendo in italiano: conoscevano solo il loro dialetto. Eppure facevano anche atti eroici, si sacrificavano per quella Patria che era così lontana, astratta. Partivano all`attacco correndo e nei primi metri di corsa erano già falciati dalla fucileria. Quelle cime, quei sentieri montani che oggi verdeggiano in Friuli e conservano quei ricordi, quei fiumi come il Piave che «mormorava» al loro passaggio, il giorno 24 maggio del 1915, pieno di cadaveri, sono custodia di orrore e di ciò che si chiama eroismo. Morire per gli altri, amare e morire per qualcosa che non si conosce, come dirà vent`anni più tardi una delle più grandi europeiste, la francese d`origine tedesca, Simone Weil, ecco, c`era anche questo in quelle trincee, tra quelle gole montane. Su quelle rive e coste. Ma c`è anche la considerazione del grande scrittore tedesco Bertolt Brecht quando dice che «è misera quell`epoca che ha bisogno di eroi».
E stato scritto tanto, si sono fatte tante commemorazioni sulla Prima guerra mondiale, però mai come quest`anno, nel centenario dello scoppio di quella tragico massacro. Che alla fine ha dato inizio a quello che chiamiamo modernità. Nuovi mezzi, nuove invenzioni, nuova scienza, nuova tecnologia, nuovi eroi e, appena vent`anni dopo, nuovi orrori. Si deve sperare e operare con tutte le forze che l`esempio di quelle due guerre, per molte generazioni, insegni a rispettarsi a vicenda, a capire come nascono gli errori e come le cose buone, e alla fine perseguire le seconde, e per quanto è possibile evitare le prime. Le cose buone? per esempio in quella guerra hanno acquisito una vera dignità di nazione popoli oppressi e mai riconosciuti come autonomi. Croati, bosniaci, polacchi, e quegli sloveni che sono nostri vicini e amici, dei quali tutt`oggi non ci siamo sforzati di sapere più di tanto. Eppure hanno la loro letteratura, cultura e costumi altamente civili. Non sappiamo nemmeno salutarli, dire «zdravo», eppure gli sloveni stanno, in parte anche in Italia, non soltanto nella repubblica di Slovenia che da Trieste si raggiunge in dieci minuti.
L`auspicio di qualche pensatore e uomo politico è che la memoria non serva a ricordare eventi luttuosi e sinistri, che i monumenti non ricordino martirii e sacrifici, ma qualche cosa di bello e davvero utile al cammino delfumanità sulla sua strada e all`armonioso svolgersi della vita civile. I Requiem, come quello di stasera, alla fine hanno questa funzione, e Giuseppe Verdi lo sapeva bene. Non voleva spaventarci, ma incoraggiarci. Questo è il senso, secondo me, della serata a Redipuglia.

240 - La Stampa 07/07/14 Redipuglia, il sacrario di ogni caduto
Bettiza - Redipuglia, il sacrario di ogni caduto

LA GRANDE GUERRA REDIPUGLIA, IL SACRARIO DI OGNI CADUTO ENZO BETTIZA N on mi è facile trovare le parole giuste per interpretare ciò che il sacrario di Redipuglia, o il concetto stesso di Redipuglia, suggerisce alla mia personale memoria. Difatti non è facile definire qualcosa che della non definizione, dell'ambiguità esistenziale, aveva fatto la sua ragion d'essere. Sul piano autobiografico, una guerra che vide tutti i miei parenti, paterni e materni, schierati o allineati sulle frontiere del declinante impero austriaco, con più esattezza austroungarico, di cui erano stati cittadini ambigui. L'ambiguità, più che la lealtà o la slealtà, caratterizzava la condizione in cui tante famiglie di confine erano nate e cresciute. Dopo il crollo dell'impero austroungarico molti gruppi famigliari si divisero su fronti contrapposti: fratelli che diventavano nemici, padri e figli con cittadinanze diverse. L'unità delle famiglie ne risultava spesso sconvolta. Altrettanto sconvolta doveva risultare durante e, soprattutto, dopo la Grande Guerra la condizione dei nuovi Stati che via via emergevano dalle macerie del conflitto. Per esempio la Jugoslavia, nascendo dalle rovine dell'impero absburgico, assunse all'inizio il nome di regno degli sloveni, croati e serbi a rispecchiare sotto il pugno dei Karadjordjevic quel mosaico di etnie fraterne e fratricide insieme. Oppure l'ex Boemia, che diventando Stato autonomo vedeva profilarsi la rivalità, se non l'ostilità, fra cechi e slovacchi. Redipuglia ha rappresentato in tal senso un sacrario importante non solo per i caduti italiani, ma per tutti i militi, noti e ignoti, inghiottiti dalle trincee di una guerra di posizione che non risparmiava nessuno. E' per la gloria di ognuno di loro, senza distinzione di nazionalità e di gerarchia, che il maestro Muti ieri sera, a cento anni dal divampare del conflitto, ha diretto la Messa da Requiem, dedicandola a «tutti i caduti di tutte le guerre». Il Requiem di Verdi, ha sottolineato, «è una preghiera per i defunti che chiedono pace eterna e di essere liberati dalla morte e dal fuoco». E' perché l'oblio non cali sui centomila morti ammazzati, ma soprattutto perché il fratricidio tra europei non si ripeta mai più, che tre capi di Stato, Giorgio Napolitano, il presidente croato Ivo Josipovic e il presidente sloveno Borut Pahor, si sono incontrati lungo la linea del fronte tra Friuli, Slovenia e Croazia per ribadire, sulle note di Verdi, la grande pacificazione tra etnie multiformi nel cuore del continente. E per consolidare nei giorni dello storico centenario una memoria comune. Il pensiero ci riporta alle Vie del l'Amicizia di Sarajevo che hanno visto ogni anno, dalla fine dell'assedio in poi, ripetersi concerti rituali e solenni. Ma quello di ieri diretto da Muti, che ha avuto come palcoscenico la suggestiva e luttuosa gradinata del sacrario più grande d'Europa, riveste un'importanza storica e simbolica più perentoria. Un concerto che, parole di Muti, « travalica l'evento contingente per riferirsi a un messaggio universale». Colpisce quanto Redipuglia, non soltanto fra i giovani, sia un luogo quasi sconosciuto. Auguriamoci che la diretta televisiva l'abbia sottratto all'oblio, restituendolo a tutti non solo come imponente cimitero militare, ma come parco della rimembranza di una pagina di storia ammonitrice che è vietato dimenticare. 
Enzo Bettiza


241 - Il Piccolo 06/07/14 Transalpina, simbolo della guerra fredda
Domani l’incontro tra Borut e Napolitano sulla piazza “monumento” del Novecento

Transalpina, simbolo della guerra fredda

Domani alle 10.15 (salvo variaizoni dell’ultimo momento) sul versante sloveno della piazza Transalpina si terrà l’incontro tra i Presidenti della Repubbica di Slovenia Borut Pahor e d’Italia Giorgio Napolitano. All’incontro è stato invitato, tra gli altri, anche il sindaco di Gorizia Ettore Romoli. Nell’articolo che segue ripercorriamo la storia e il significato di questa piazza.

DI DARIO STASI*

Nel Novecento goriziano la stazione della ferrovia Transalpina occupa un posto di primo piano. Quell’imponente edificio asburgico, e poi quella piazza divisa fra Italia e Jugoslavia con il filo spinato, la stella rossa campeggiante sul tetto, fino all’attuale mosaico simbolo di una ritrovata convivenza, sono tutti elementi della “grande storia” che ha segnato Gorizia nel secolo scorso e che quel luogo testimonia in modo unico. Vi sono diversi aspetti delle vicende di questo monumento che meritano un approfondimento ma la storia di quella stella rossa riesce ancora a suscitare ricordi, emozioni, opinioni contrastanti. Oggi è diventata un reperto storico ed è giustamente conservata nel piccolo museo della stazione.

Ma ripercorriamone in sintesi le vicende. Per prima cosa dobbiamo ritornare indietro nel tempo, al 15 settembre del 1947. In quel giorno entra in vigore il Trattato di pace di Parigi che assegna Gorizia all'Italia e il nord est della città alla Jugoslavia. Così recita il Trattato: "Dal monte Sabotino la linea di confine si prolunga verso sud, taglia il fiume Isonzo all'altezza della città di Salcano, che rimane in Jugoslavia, e corre immediatamente ad ovest della linea ferroviaria".

In città, per circa tre chilometri da Salcano a San Pietro, il confine viene tracciato in base al percorso della ferrovia Transalpina che, secondo la "linea francese" (quella infine adottata) doveva rimanere interamente in territorio jugoslavo. Compresa, ovviamente, la stazione. Una stazione grande, monumentale, per una città che ancora non c'è, ma che già esiste nei progetti delle autorità jugoslave (le decisioni prese a Parigi erano state ufficializzate già dal 10 febbraio di quello stesso anno).

Questa era la situazione paradossale oltreconfine. Essendo poi la facciata della stazione rivolta verso la “vecchia” Gorizia e non verso la costruenda nuova città, sembra che qualche zelante uomo politico abbia proposto di demolire la stazione asburgica e costruirne un'altra ex novo. Per fortuna ha prevalso il buon senso. Si può dire quindi che la presenza della stazione ha comunque contribuito a convincere i progettisti a scegliere di costruire Nova Gorica a ridosso della nuova linea di demarcazione, anche perché - tra l’altro – era stato deciso che si voleva costruire “qualcosa di grande, di bello, di altero, qualcosa che brillasse oltre il confine”.

Ad ogni modo quella stazione così importante, in quegli anni di forte contrapposizione, viene scelta dalle autorità jugoslave come punto di riferimento significativo attraverso cui comunicare, sfidare o anche solo affermare la propria netta diversità politica rispetto al mondo "capitalista". Ecco allora che appare dopo quel 15 settembre 1947 una grande stella rossa sul tetto della stazione, entro cui si staglia in rilievo la falce e il martello e, sotto, la scritta "Utrjujmo bratstvo in edinstvo narodov" (Rafforziamo la fratellanza e l'unità dei popoli), una direttiva del partito comunista jugoslavo del tempo, quando evidentemente il nuovo stato deve superare le non poche difficoltà di creare l'unione federativa di sei repubbliche con culture, tradizioni, religioni, lingue e persino alfabeti diversi. E ciò in un quadro di tensioni internazionali nei mesi che precedono e seguono la drammatica rottura della Jugoslavia con l’URSS (giugno 1948).

Successivamente la Jugoslavia si stacca dal blocco comunista del Patto di Varsavia e diventa un paese leader degli stati del “Terzo mondo”, mette al bando la pianificazione di tipo sovietico e inizia l’esperimento di autogestione socialista. Compare allora (primi anni Cinquanta) un’altra stella rossa con una nuova scritta: “Mi gradimo socializem” (Noi costruiamo il socialismo). Negli anni Settanta anche questa frase viene tolta e rimane solo la stella. Nei primi anni Novanta con la caduta del muro di Berlino essa viene agghindata come una stella cometa e, nel 1991, è definitivamente tolta.

*direttore Isonzo Soca


242 - Il Piccolo 06/07/14 Zagabria mette a rischio le scuole italiane
Numero minimo di 7 alunni per classe esteso anche alle minoranze. Radin: «Via il decreto, altrimenti usciamo dal governo»

Zagabria mette a rischio le scuole italiane

Il borgo di pescatori di Fasa, che sorge davanti alle Isole Brioni, ospita nella giornata di oggi il dodicesimo Festival della minestra istriana. La kermesse enogastronomica si svolgerà luogo le rive a partire dalle 20. Sarà una vera e propria festa della cucina casereccia che coinvolgerà sul posto dieci squadre di cuochi di altrettanti ristoranti e trattorie della zona. Tutti saranno chiamati a preparare vari tipi di minestra: al finocchietto selvatico, ceci, farro, verdure varie, carne essicata, osso di prosciutto... Inoltre le massaie di Fasana faranno vedere la loro arte culinaria con la dimostrazione nella preparazione dei vari tipi di pasta casereccia, dai fusi agli gnocchi, dalle tagliatelle ai maccheroni. Tra le altre curiosità odierne sarà allestito un caminetto antico per la gara nella preparazione delle crepes. Nella corsa delle dieci squadre verrano dati vari tipi di punteggi: dal sapore alla decorazione fino alla rotazione in aria delle crepes. (p.r.)POLA Nonostante l’ingresso nell’Unione europea, la Croazia è ancora distante dai parametri di trattamento della Comunità italiana e anche delle altre minoranze nazionali. Rimane ancorata ai Balcani, non ottemperando alle direttive di Bruxelles sulla tutela e il rilancio culturale e linguistico presente nei 28 Stati membri. È il caso dell’istruzione dove Zagabria torna a colpire la scuola italiana, considerata la garanzia per la sopravvivenza della Comunità. Cos’è successo? Il ministero della Pubblica istruzione intende applicare, anche nelle scuole medie superiori minoritarie, il decreto sul numero minimo di 7 alunni per aprire una classe. Questo significherebbe la chiusura di numerose classi e l’indebolimento delle quattro scuole di questo tipo presenti sul territorio istroquarnerino (Pola, Rovigno, Buie e Fiume).

Il deputato degli italiani al Sabor, Furio Radin, ha reagito immediatamente al decreto convocando a Zagabria una conferenza stampa straordinaria: «Se il ministero non fa marcia indietro - tuona - revocherò il mio appoggio al governo di centrosinistra del premier Zoran Milanovic». Dalla parte di Radin si sono subito schierati i deputati delle minoranze serba, ungherese, bosgnacca, ceca e rom che temono l’«assimilazione». I tagli per legge, ad esempio, farebbero chiudere l’unica scuola ungherese. «Zagabria sta violando la legge costituzionale sui diritti delle minoranze nazionali - sostiene il deputato italiano - e in particolare la delibera della Corte costituzionale del 1999, secondo cui un tale criterio limiterebbe il diritto delle minoranze alla scuola nella madre lingua e i diritti acquisiti che la Croazia si è impegnata a rispettare». L’ormai ex ministro all’Istruzione Zeljko Jovanovic, in occasione della sua recente visita alla scuola media superiore italiana Dante Alighieri di Pola, «aveva promesso che il decreto sarebbe stato ritirato - ricorda Radin - ma subito dopo il premier Milanovic, invece di ritirarlo ha scaricato il ministro, nominando al suo posto Vedran Mornar, che ha subito mostrato i muscoli alle minoranze». Norma Zani, a capo del settore scuola dell’Unione italiana, afferma che «la popolazione scolastica italiana verrebbe decimata», esprimendo poi il timore che il modello possa venir introdotto anche nell’istruzione elementare. In tal caso verrebbero chiuse le sezioni periferiche di Momiano, Sissano, Valle, Verteneglio e Bassania. Ma non solo, rischierebbe la sparizione anche la scuola di Cittanova che attende il nuovo edificio. Secondo gli intellettuali della Comunità italiana questo sarebbe il «grazie» di Zagabria all’Italia per i notevoli investimenti nella costruzione o ricostruzione delle scuole italiane in Istria e a Fiume, facendo cosi risparmiare un sacco di soldi al governo croato che dovrebbe invece provvedere da solo. (p.r.)


243 - Il Piccolo 08/07/14 Zagabria ci ripensa e salva le scuole italiane
Il governo fa retromarcia e annuncia il ritiro del decreto che stabiliva il numero minimo di sette alunni per classe

Zagabria ci ripensa e salva le scuole italiane

POLA A questo punto si spera che il pericolo sia rientrato in maniera
definitiva: il “focus” riguarda il numero minimo di sette alunni che sarebbe necessario per poter aprire o mantenere in vita una classe nelle scuole medie superiori italiane (il discorso si allarga comunque anche alle altre comunità nazionali). Misura che era contemplata dal famigerato decreto emesso dal ministero croato della Pubblica Istruzione, Scienza e Sport. La situazione pare abbia avuto una positiva evoluzione: all'incontro di ieri, tenutosi a Zagabria con i sei deputati delle comunità nazionali, il ministro Vedran Mornar ha infatti innestato la marcia indietro. Come ha spiegato subito dopo la riunione il deputato italiano Furio Radin, a pesare in maniera determinante sulla decisione dell’esecutivo è stata la sentenza della Corte costituzionale croata del 1999 che in un contenzioso analogo aveva bocciato la soglia minima di alunni, nel rispetto della Legge costituzionale sui diritti delle minoranze. Se alcune voci di corridoio rispondono a verità, avrebbe fatto sentire la sua voce anche il Quirinale, dopo aver conosciuto la notizia del pericolo incombente sulle scuole italiane in Croazia, scuole nelle quali Roma investe coaspicue risorse finanziarie. Come spiegato dallo stesso Radin, nell'attesa dell'abrogazione formale del decreto, atto per il quale occorreranno una decina di giorni, l’efficacia del provvedimento viene congelata. Agli effetti pratici, nelle iscrizioni in corso che si chiuderanno il 14 luglio, alunni, genitori e docenti possono stare tranquilli poichè l'incubo è finito: si potranno aprire classi anche con un solo alunno. Se il ministro non avesse fatto dietro front, ci sarebbe stata un'ecatombe di classi o sezioni visto che numerose sono sotto il numero minimo. Qualcuno addirittura aveva tracciato un parallelo storico-politico con il secondo dopoguerra, quando il regime comunista aveva chiuso tante scuole italiane. Radin non ha nascosto la sua grande soddisfazione per il felice esito della battaglia che lo ha visto, come logico, da subito impegnato. «Evidentemente - ha spiegato l’esponente della comunità italiana - non è stata indifferente la minaccia di noi deputati minoritari di revocare l'appoggio al governo qualora fosse rimasto in vigore il decreto». «Però - ha aggiunto Radin - non va sottovalutato il buon risultato ottenuto attraverso il rapporto instaurato con il nuovo ministro Mornar, a differenza di quanto era accaduto con il suo predecessore Zeljko Jovanovic (recentemente rimosso dal premier Zoran Milanovic, ndr), che era stato l’autore del decreto e che non voleva sentir parlare di leggi e diritti acquisiti dalle minoranze». (p.r.)


244 - La Voce del Popolo  30/06/14 Alla fine la spuntano Radin e Tremul
Alla fine la spuntano Radin e Tremul

FIUME È stata una serata, quella di domenica, trascorsa con il cuore in gola dai candidati alle massime cariche dell’Unione Italiana. È apparso subito chiaro che in alcune località si erano imposti i candidati di “Orgoglio Italiano”, Furio Radin e Maurizio Tremul alla carica di presidente dell’UI e di presidente della giunta esecutiva, in altre i candidati de “La Svolta” agli stessi incarichi, Gianclaudio Pellizzer e Astrid Del Ben. Si è trattato di una corsa sul filo di lana che i connazionali interessati hanno potuto seguire on line sul nostro portale potremmo dire minuto per minuto.

Per quanto concerne le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea dell’Unione Italiana fin dall’inizio erano già noti i nominativi di 40 consiglieri: in numerose CI infatti il numero di candidati è stato pari a quello dei posti a disposizione. In altre Comunità la “battaglia” è stata combattuta fino all’ultimo.

La CNI viva e partecipe
L’interesse per queste elezioni è stato elevato. Ad iniziare da Pola dove ha votato in mattinata anche Furio Radin, presidente uscente dell’Unione Italiana, nonché candidato di “Orgoglio Italiano” per riacquistare la medesima carica. Si sono alternati, costantemente in fila davanti alle urne almeno una quarantina-cinquantina di soci elettori ieri, in mattinata alla Comunità degli Italiani della città dell’Arena. Si è unito a questi, alle 10, Radin. Cosa pensa dell’adesione già dimostrata per le operazioni di voto? “Vedo tanta gente, e questo mi gratifica perché è segnale di quanto sia ‘viva’ e partecipe la Comunità nazionale italiana”, ha commentato su nostra richiesta Furio Radin senza però voler scendere in previsioni anticipate sull’esito della consultazione. “Inutile parlare di possibili risultati elettorali, le mie aspettative si limitano per ora all’augurio che ci siano ancora molti soci elettori qui presenti e volenterosi di votare, perché è proprio questo che contribuisce a renderci forti”.

Fatta sentire una voce nuova

Al seggio della Comunità degli italiani “Pino Budicin” di Rovigno già nelle prime ore del mattino c’è stata un’adesione di massa per il voto con code che arrivavano fino ai 10 -15 minuti di attesa. Poco dopo le ore 10, il candidato della lista “La Svolta” alla carica di presidente dell’Unione Italiana, Gianclaudio Pellizzer si è recato al seggio allestito a Palazzo Milossa per esprimere la sua preferenza. Subito dopo il voto, abbiamo scambiato due battute con l’ingegner Pellizzer. “Mi riempie di gioia vedere così tanti connazionali presso le nostre Comunità che sono pronti a dimostrare con questo voto quanto siamo forti e presenti sul territorio”, ha dichiarato il candidato de “La Svolta”. Per quanto riguarda l’esito del voto, Pellizzer ha evidenziato che è ancora presto per esprimere un giudizio, ma ha colto l’occasione per ringraziare tutti i connazionali, e tutti coloro che hanno contributo alla campagna elettorale e a far sentire una voce nuova.


Violato il silenzio elettorale

Poco dopo le dieci di ieri a Capodistria, nel sodalizio di Palazzo Gravisi, ha votato il candidato alla guida della Giunta esecutiva, Maurizio Tremul. Dopo aver depositato le schede elettorali e aver salutato la Commissione di seggio, ci ha rilasciato una breve dichiarazione a caldo. “Le elezioni sono sempre importanti, sono un fatto di democrazia. Se paragonate alle altre consultazioni che riguardano la CNI o i seggi specifici in Parlamento, visto il numero di candidati che si presentano, le elezioni dell’Unione Italiana sono di una certa rilevanza per il confronto che si è svolto in campagna elettorale e per i canali usati per comunicare con gli elettori. Voglio rilevare che già sabato vi sono state violazioni del silenzio elettorale da parte dell’altra lista su alcune pagine facebook. Domenica, invece, sono state registrate altre pesanti violazioni, con messaggi inviati via SMS ai connazionali, indicando chi votare. Vi è una scorrettezza di fondo da parte di chi sostiene di voler rispettare le regole. Se le elezioni avranno l’esito da loro sperato avremo un’Unione Italiana scorretta. Al contrario spero che le elezioni vadano come devono andare. So benissimo che questa dichiarazione verrà pubblicata post festum, com’è giusto, ma è altrettanto giusto che la gente sappia che nel giorno del silenzio elettorale sono state violate sistematicamente le regole della democrazia, alle quali tutti ci dovremmo attenere. Io sulla mia pagina facebook ho bloccato ogni post o commento venerdì sera alle 23,05 proprio per evitare che vi sia qualsiasi tipo di reazione”, ha precisato Maurizio Tremul.


Un’esperienza emozionante
È stata una domenica particolare per Astrid Del Ben, che in qualità di socio della Comunità degli Italiani “Pasquale Besenghi degli Ughi” di Isola, si è recata al seggio allestito a Palazzo Manzioli. Sull’esperienza del voto e della candidatura a presidente della Giunta esecutiva UI ha dichiarato che “è effettivamente emozionante essere tra i candidati ai massimi vertici dell’Unione Italiana”. Per quanto riguarda le aspettative ha aggiunto: “Sono comunque serena, perché ho fatto quello che ho creduto giusto. È stata una candidatura, voluta anche per avere democrazia nell’UI. Non ho scheletri nell’armadio e non ho nulla da nascondere, sono una persona sincera e onesta. Proprio onestà, collaborazione ed apertura sono gli elementi che intendo portare avanti in caso di vittoria”. Astrid Del Ben non si è pronunciata sulle probabilità di elezione, ma ha commentato: “Sicuramente, vincendo daremmo una svolta radicale per quanto riguarda l’UI e tutto quello che comprende regolamenti e Statuto. Sono dell’opinione che, chi per vent’anni avendo la possibilità di cambiare radicalmente la democraticità di tutto l’insieme, non l’ha fatto, non lo potrà fare neanche nei prossimi anni. Il cambiamento lo possiamo portare soltanto noi. Perciò una svolta, ‘cambiare per crescere’ che è sicuramente la formula per queste elezioni e per il futuro di UI”. In chiusura le chiediamo come attenderà l’esito delle elezioni: “La giornata la passerò rilassata, con i miei familiari, a casa, e sempre fiduciosa”, ha risposto. (af-sp-gk-jb)


245 - Il Piccolo 05/07/14 Francesca Neri al Magazzino 18: «Con papà Pisino era casa nostra»

L’attrice tra le masserizie: «Le sedie sembrano mani che chiedono aiuto»

Francesca Neri al Magazzino 18
«Con papà Pisino era casa nostra»

di Elisa Grando

TRIESTE «L’idea di famiglia, patriottismo e appartenenza ad un Paese, l’ho sentita molto più forte con la comunità di esuli che non da italiana».
Francesca Neri è sinceramente emozionata uscendo dalla visita al Magazzino 18, in Porto Vecchio, dove sono raccolte le masserizie degli esuli. Perchè l’attrice, ospite dell’International ShorTS Film Festival, che le ha dedicato una retrospettiva, ha potuto toccare con mano una parte del suo
passato: è figlia di un esule istriano, partito negli anni ’40 da Pisino.
Per suo padre la ferita è rimasta così profonda che non ha più voluto tornarci. Ma l’identità istriana è rimasta sempre forte. «Da quando ero bambina, fino alla maggiore età, ogni anno ho partecipato con la mia famiglia ai raduni degli esuli istriani qui a Trieste, e anche a quelli dei pisinoti in giro per l’Italia. Quegli esuli erano la mia famiglia istriana», racconta l’attrice. Francesca entra nella prima sala dove campeggia la foto degli abitanti di Pola che s’imbarcano sulla nave “Toscana” dal molo imbiancato, e si accende: «Anche mio padre mi ha raccontato di essere partito da Pisino proprio così, in mezzo alla neve». L’attrice sfiora gli oggetti con delicatezza, sfoglia i quaderni di scuola, resta colpita dal groviglio di sedie mute e ammassate, ognuna testimone di un passato intimo:
«Sembrano tante mani che chiedono aiuto. È incredibile l’emozione che suscita guardare questi oggetti quando si conosce la storia che hanno dietro», commenta. Francesca, cosa significa per lei essere qui dentro il Magazzino 18? «Per me ha un significato fortissimo. Questi oggetti sono in qualche modo parte del mio modo di crescere. Ai raduni degli esuli incontravamo quello che in Istria era magari il vicino di casa, il collega, il medico del paese, e proprio in quelle occasioni anche mio padre e mia nonna si lasciavano andare di più ai ricordi, forse perché si sentivano più protetti». In famiglia, invece, suo padre parlava dell’esodo? «Non molto.
Forse per un fatto di dignità: c’era questo odio nei confronti di un paese che li aveva usurpati, che gli aveva tolto tutto, dall’identità alla casa.
Perciò sono cresciuta in questa interpretazione della storia che però poi, da figlia, vivendo in Italia, non ho visto riconosciuta a dovere. La loro sofferenza e il loro passato sono stati spesso strumentalizzati politicamente». Dov’è andato suo padre, una volta partito da Pisino? «Nel campo profughi di Savona, poi a Sanremo. La notte faceva il croupier al casinò di Sanremo, di giorno studiava all’Università di Milano. Tutta la famiglia poi si è trasferita a Trento e lì ha conosciuto mia madre». In famiglia si parlava della scelta dolorosa del partire o del restare? «Per loro non è mai stata una scelta, restare non era concepibile. Però il legame è rimasto fortissimo: mio padre riceveva a casa due notiziari, il pisinoto e l’istriano, dove si raccontava se qualcuno aveva avuto un figlio, chi era mancato… come se la comunità proseguisse a distanza. Anche io e mio fratello sentiamo forti queste radici». Ha visto lo spettacolo di Simone Cristicchi sul Magazzino 18? «Sì, ma purtroppo solo in televisione. Mi è piaciuto soprattutto perché è riuscito a dare il senso di questa perdita pur non essendo coinvolto direttamente». In questi giorni sta girando il nuovo film di Aldo Giovanni e Giacomo “Il ricco, il povero e il maggiordomo”. Come vanno le riprese? «Mi sto divertendo molto, mi ricorda i set con Massimo Troisi o Carlo Verdone, dove c’era un clima da commedia anche nella lavorazione. Interpreto una funzionaria di banca che ha per cliente Giacomo, “il ricco”, ma poi entra in contatto con tutti e tre. Ho scoperto che sono persone molto vere e semplici. E si sorprendono ancora, cosa rara per chi ha avuto successo ». E lei, si sorprende ancora? «Eh sì, più che altro vivo per essere sorpresa. Tant’è vero che a ottobre girerò un’opera prima, di Mirko Pincelli, la storia di persone che vanno a vivere a Londra per trovare successo, scappando dalla provincia. Che poi è Trento: così, per la prima volta, girerò nella mia città».


246 - La Voce di Romagna 02/07/14 Monsignor Margotti e i deportati
IL DRAMMA DELL’ARCIVESCOVO DI GORIZIA, CHE VERRÀ “ESPULSO” DALLA SUA CITTÀ

Monsignor Margotti e i deportati

LA TESTIMONIANZA

di Clara Morassi, figlia di Gino, presidente della Provincia isontina, dell’incontro con il prelato romagnolo mentre si trovava
esiliato a Udine

Risultano numerosi gli emiliano romagnoli arrestati dai partigiani del maresciallo Tito che non hanno fatto ritorno a casa

Ad appoggiare la richiesta di desecretazione avanzata dal sindaco Romoli, il vicepresidente nazionale dell’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia, Rodolfo Ziberna. “Siamo consapevoli – scrive Ziberna  - che sarà assai improbabile poter trovare documenti ufficiali dell’ex Repubblica Federativa di Jugoslavia, ma certamente ci saranno relazioni da parte dei servizi segreti (nostri e di altre nazioni), corrispondenze con i nostri uffici diplomatici e con le diplomazie straniere, che l’Italia ritenne di celare alla conoscenza pubblica in virtù di una realpolitik derivata del ruolo svolto da Tito tra i paesi non allineati e degli equilibri tra Patto Atlantico e Patto di Varsavia. Inoltre riteniamo che acquisire nuovi elementi di conoscenza presso gli archivi italiani possa agevolarci nell’acquisire ulteriori elementi presso archivi stranieri, in primis quelli di Belgrado, ma anche di Berlino, Parigi, Londra e Washington”. Tornando alla vicenda di monsignor Margotti e del suo arresto, ecco in breve i fatti: la resistenza partigiana aveva preso di mira l’Arcivescovo, guidando contro di lui, fin dall’autunno 1942, una propaganda avversa con l’obiettivo del discredito personale.
 Visto l’imminente arrivo delle truppe jugoslave a Gorizia, da più parti gli era giunto l’invito  a lasciare la città, ma lui aveva scelto di rimanere al suo posto. Verrà arrestato il 2 maggio e l’8 maggio cacciato a Udine. Nelle vie di Gorizia erano stati affissi manifesti che lo bollavano di essere “avversario del movimento per la liberazione nazionale e che il suo comportamento politico avrebbe potuto accendere una guerra civile”. Ancora oggi una certa storiografia ignora che monsignor Margotti aveva condannato fermamente la segregazione degli internati sloveni, definendo i campi di internamento come quello di Gonars, da lui visitato, una vergogna per un paese civile come l’Italia. Nella primavera del 1943 aveva incontrato il Duce per denunciare quella che riteneva una situazione assurda. L’Arcivescovo aveva anche aiutato a mettersi in salvo diversi perseguitati di varie etnie e perorato, a nome di altri confratelli, la loro causa direttamente presso i tedeschi. Monsignor Margotti, racconta il sacerdote goriziano Corrado Mengoli, era molto vicino agli indigenti, per questo era solito inviare per primo gli auguri a persone che sapeva avrebbero risposto con un’offerta per i suoi poveri. L’Arcivescovo nel dopoguerra aveva preso posizione a favore dei braccianti agricoli del Fossalon, che avevano scioperato per 36 giorni, devolvendo loro una cospicua somma di denaro, e dando disposizioni alla Commissione Pontificia di distribuire ai bambini delle maestranze generi alimentari. Era intervenuto anche a favore delle maestranze dell’Oleificio di Monfalcone.
Questa la testimonianza rilasciata a Storie e personaggi dalla signora Clara Morassi sull’incontro con monsignor Margotti, avvenuto a Udine dove l’Arcivescovo si trovava dopo l’allontanamento forzato da Gorizia. “Qualcuno racconta che sua eccellenza il principe Arcivescovo Margotti come pure monsignor Monti, parroco della chiesa del Sacro Cuore, arrestati immediatamente dai titini nelle prime ore della loro occupazione, siano stati rilasciati e si trovano a Udine, ospiti dell’Arcivescovado. Io mi reco subito là, conosco bene monsignor Margotti, che con affetto mi riceve e cerca di rincuorarmi. Lo trovo provato nell’aspetto e disorientato, ma la sua serenità, la sua calma sono solo apparenti. Naturalmente gli chiedo se ha visto mio padre o qualche altro goriziano durante la sua pur breve prigionia. Ma la sua risposta è negativa. Alla mia domanda se pensa ad un prossimo rilascio mi risponde che con dolore e profonda amarezza, non ha nessun indice di speranza in questo senso, ma mi raccomanda di non disperare in un poco probabile cambiamento prossimo della tragica situazione, perché tutto può accadere”.
 Il racconto della signora Morassi, che da quel lontano 1945 continua la sua instancabile opera alla ricerca della verità sulla sorte dei deportati, testimonia la sentita partecipazione dell’Arcivescovo al profondo dolore dei suoi figli spirituali. Monsignor Margotti ha concluso la sua esistenza terrena a Gorizia il 31 luglio 1951 dopo una lunga e dolorosa malattia; per sua volontà è stato tumulato nella chiesa del Sacro Cuore, alla quale era particolarmente legato. A pochi passi dal tempio, una via porta il suo nome. Tra i nominativi dei deportati presenti nel Lapidario di Gorizia, progettato dall'architetto Paolo Caccia Dominioni e inaugurato nel 1985, figura quello di Ermanno Vites senior; il figlio Ermanno junior, noto artista, si è stabilito in Romagna. Sul Lapidario sono impressi i nomi allora accertati di 665 deportati senza ritorno. Alla cerimonia inaugurale avevano preso parte l'allora sindaco Antonio Scarano, nato a Rimini dove ha anche vissuto alcuni anni, il padre era infatti sottufficiale dell'Esercito, e l'Arcivescovo monsignor Antonio Vitale Bommarco, esule da Cherso, i cui fratelli Matteo e Giuseppe dopo essersi visti respingere dalle autorità jugoslave l'opzione per l'Italia, nel 1957 erano fuggiti dalla loro isola raggiungendo la libertà dopo un'avventurosa traversata dell'Adriatico conclusasi proprio a Rimini.
Negli elenchi dei deportati goriziani spiccano poi i nomi di Licurgo Olivi, nato a Bagnolo in Piano (Reggio Emilia) nel 1897, e di Augusto Sverzutti, entrambi esponenti di punta del Comitato di Liberazione nazionale di Gorizia e fermamente contrari ai progetti annessionistici jugoslavi. Olivi era sicuramente in vita nell’estate del 1948, quando era stato condotto assieme ad altri deportati nei pressi del valico italo-jugoslavo della Casa Rossa di Gorizia per uno scambio di prigionieri, poi non avvenuto. Lo attesta la dichiarazione scritta di un altro deportato reggiano, Francesco Freddi di Luzzara, rimpatriato nel 1950 e pubblicata dallo storico goriziano Guido Rumici, in “Infoibati” edito da Mursia. Rumici aveva ricevuto copia del documento dalla famiglia Morassi. Sui motivi della presenza di Freddi in Jugoslavia sono in corso ricerche. Non era un militare fermato mentre rientrava dalla prigionia in Germania o nell’ex Urss, di casi di questo genere se ne sono verificati diversi. E’ esistito un Francesco Freddi, sempre di Luzzara, che nel 1968 avrebbe rilasciato una testimonianza su una strage partigiana del maggio 1945, affermando di essere un sopravvissuto. Si tratta del ritrovamento dei cadaveri dei passeggeri di un mezzo della Poa (Pontificia opera di assistenza) avvenuto nei pressi di Concordia San Possidonio in provincia di Modena. Diversi particolari fanno pensare che si tratti della stessa persona.
Aldo Viroli
Storie e personaggi tornerà dopo l’estate
Quando si svolge la vicenda
Subito dopo l’occupazione jugoslava
Da oltre un decennio Storie e personaggi si occupa delle complesse vicende del Confine orientale legate alla Romagna. Era nato ad Alfonsine monsignor Carlo Margotti, che reggerà l’Arcidiocesi di Gorizia dal 1934 al 1951. L’Arcivescovo ha patito una dolorosa e umiliante odissea iniziata con l’arresto nel maggio 1945 da parte dei partigiani del maresciallo Tito che lo avevano “espulso” dalla città. Monsignor Margotti ha vissuto il dramma di Gorizia e della sua Arcidiocesi, praticamente azzerata dal Trattato di pace del 1947 che aveva assegnato la quasi totalità del territorio provinciale alla Jugoslavia. Senza dimenticare il martirologio dei sacerdoti, assassinati prima dai tedeschi poi dai partigiani di Tito. L’Arcivescovo ha sofferto la vicenda dei goriziani deportati nel maggio 1945 in Jugoslavia; toccante è la testimonianza della signora Clara Morassi, figlia di Gino Morassi, preside (presidente) della Provincia di Gorizia che non ha fatto più ritorno. Era di famiglia santarcangiolese l’ingegner Felice Gallavotti, arrestato dai partigiani nei pressi di Gorizia il dicembre 1944. Il sindaco di Gorizia, Ettore Romoli, chiederà al premier Matteo Renzi, di togliere il segreto di Stato a quei documenti dai quali si possano acquisire informazioni afferenti il dramma delle foibe e dell’esodo.




247 - Il Piccolo 09/07/14 Viaggio in Dalmazia - Pagaiando controvento fino a trovare i fantasmi del lager di Goli Otok (1)
Viaggio in Dalmazia - 1

Pagaiando controvento fino a trovare i fantasmi del lager di Goli Otok

In kayak tra le isole croate tra pareti strapiombanti, anfratti e tracce di un recente passato che ha segnato la storia di questi luoghi

di EMILIO RIGATTI

Piove: e non resta altro da fare che restare sotto i tendoni del bar della spiaggia ad aspettare che il tempo ci conceda una tregua e noi si possa navigare. I kayak sono già allineati sulla spiaggia del campeggio Bunculuka, a Baska, isola di Veglia-Krk. Abbiamo tutto: tende, sacchi a pelo, provviste e acqua per affrontare cinque giorni di navigazione. E tanta voglia di pagaiare in libertà, esplorando le isole di questa parte settentrionale della Dalmazia. I miei compagni di viaggio sono Enrico e i fratelli Guido e Aldo Faoro, col quale avevo pagaiato da Trieste a Zara due anni fa. Loro non amano né gli alberghi, né i campeggi e sono teorici della dormita "alla
vigliacca": nei boschi, sulla spiaggia, o dove capita che la notte li colga.
Inganniamo il maltempo sorseggiando una birra Ozuisko e contemplando le forme plastiche dell'isola di Prvic, velate dalla pioggia. È disabitata e le sue ondulazioni brulle e pietrose sono una delle note paesaggistiche più belle del luogo. La grande muraglia violetta del Velebit, perennemente incappucciata di nuvole cremose, ci accompagnerà per i cinque giorni di navigazione. Incombe su questi specchi d'acqua scanditi da isole brulle e candide e, quando non c'è vento, vi si specchia, aumentando l'illusione dell'altezza. Gli scrosci hanno una sosta e ci imbarchiamo, pur sapendo che non durerà molto. A metà strada tra Veglia e Prvic la pioggia riprende a cadere. Tiriamo su i cappucci delle cerate e puntiamo l'isola, dove scendiamo per sgranchirci le gambe e per dare un'occhiata attorno. Delle pecore fuggono spaventate davanti a noi, intrusi, sculettando tra le pietre.
Cespugli radi, invisibili da lontano, sopravvivono in questa landa rocciosa dalle forme bizzarre. Un boccone, e poi rimontiamo sui nostri costumi da bagno galleggianti. Seguiamo il profilo di Prvic da oriente. Le grandi falesie bianche dell'isola sembrano originate da una colata che ad un certo punto si è rappresa, frammentandosi e spaccandosi. Inizia il gioco geografico con cui ci diletteremo fino al ritorno: sfiorare le rocce, stare sotto le pareti a picco, entrare negli anfratti, nelle grotte, facendo slalom tra uno scoglio e l'altro, qualche volta guadagnandoci qualche grattata da brivido sulle chiglie dei kayak. Chi non ha navigato sotto le masse gravitazionali delle scogliere che incombono sull'acqua verdolina non può conoscere la sensazione di meraviglia, quasi di paura, per la verticalità possente di queste schegge di una luna esplosa e precipitata in schegge in questo mare. Uno sguardo all'umore delle nuvole e del vento e poi puntiamo in direzione di Goli Otok, l'Isola Nuda. Da qui appare come un lungo tavolato di pietra inclinato: parte dal mare e innalza la sua massa luminosa e priva di alberi sul mare che adesso, con cielo coperto, appare scuro. Contrasta nettamente con la parete cianotica del Velebit. Una nuvola bianchissima si è acquattata sulla sua sommità. Anche da chilometri si vede che è un luogo di desolazione, e la fama sinistra che aleggia sul lager di Tito rafforza questa impressione. L'acqua è ferma e pagaiamo su uno specchio che ci riflette. Quando, dopo un'ora di traversata, siamo vicini alle sue coste, cominciano ad apparire le strutture del carcere. Casematte diroccate, garitte di cemento armato e, infine, il porto dove sbarchiamo, da cui si diparte una strada in salita fiancheggiata da capannoni fatiscenti. A meno che le anime delle centinaia di persone - qualcuno dice migliaia - che vi morirono non possano essere considerate abitanti, anche qui ci sono solo capre e pecore che vagano in disordine sulle gobbe spellate di Goli Otok.
Troviamo una tettoia ben riparata, al porto, e ci accampiamo, stendiamo i sacchi a pelo invernali, tiriamo cordini su cui far asciugare le nostre cose. Esploriamo l'isola entrando nelle costruzioni collassate, andiamo a leggere le scritte sui muri in quelle che dovettero essere delle celle.
Questa parte dei Goli Otok è stata rimboschita dai detenuti e, finite le strutture detentive, la strada era stata affiancata da una doppia fila di acacie. Sono secche, spezzate dal vento, morte o moribonde. Non ce l'hanno fatta neanche loro. Alla fine della salita faccio una scoperta: una grande dolina completamente pavimentata con pietre. Fa parte dei lavori inutili e umilianti a cui venivano sottoposti gli stalinisti oppositori del regime titoista, finiti per una sorta di legge del contrappasso in un gulag adriatico? Piove, ma siamo al coperto e cuciniamo col fornello a benzina dell'esercito svedese, orgoglio di Aldo, che questa sera fa un po' il mona.
Le folate di vento fanno cigolare una lamiera, si sente il tonfo di un mattone che cade. Eppure, raggomitolato nel mio sacco a pelo, sono felice come non lo ero da tempo. Al risveglio le nostre tute di neoprene conservano una discreta quota di umidità. Basta tirare il fiato, infilarsele e aspettare che il calore del corpo le riscaldi. Sole, finalmente. Partiamo da Goli Otok verso le otto e in poco tempo raggiungiamo Arbe nella sua punta settentrionale, così articolata da assomigliare al Peloponneso. La risaliremo lungo la costa orientale, la più rocciosa. Il bianco delle interminabili falesie che svettano, contrasta con i blocchi giallo ocra delle emergenze tettoniche marnose di "flysh" oceanico, più basse, dovute alla formazione di rocce sedimentarie recenti, figlie dei depositi dei fiumi alpini. Un gelato di pietra a due gusti, in altre parole. Come sempre, seguiamo tutti gli anfratti, ci infiliamo tra gli scogli, esploriamo le cavità che il mare ha scavato con la sua pazienza senza fine. A est abbiamo la costa sormontata dal Velebit e a ovest i contrafforti tormentati delle falesie, da dove le capre e le pecore, quasi invisibili, fanno prodezze da Reynold Messner: ma come fanno a stare tranquille a pascolare su una parete perpendicolare? Appena si accorgono dei quattro cetacei di vetroresina s'inerpicano con pochi balzi rivelando cenge e sentieri che non avremmo mai supposto esistessero. Verso sera doppiamo il capo meridionale e c'infiliamo nel canale tra l'isola disabitata di Dolina e Arbe stessa. Abbiamo avuto tutto il giorno il vento contro e i miei compagni di viaggio sacramentano nei loro dialetti alpini - due sono velcellinesi e uno cadorino - quando, doppiato il capo, l'aria gira e ci si piazza ancora una volta sul naso. Non ce la facciamo ad arrivare ad Arbe - abbiamo quasi quaranta chilometri nelle braccia - ma a Barbat troviamo una spiaggia per lo sbarco e un bosco nascosto dove piazzare le tende e le amache impermeabili. Lo chef Guido, stasera, ci propone un menù a base di pasta col tonno. Domani, se il tempo non è troppo ostile, dovremmo farcela ad arrivare a Lopar. (1 - continua)

Si ringraziano per la collaborazione della Rassegna Stampa: L’Università Popolare di Trieste e l’Assoc. Nazion.Venezia Giulia e Dalmazia - ANVGD di Gorizia

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 RASSEGNA STAMPA
MAILING LIST HISTRIA
 
a cura di Maria Rita Cosliani – Eufemia G.Budicin – Stefano Bombardieri

N. 917 – 14 Giugno 2014
Sommario



225 - La Voce del Popolo 14/06/14 Vergarolla, strage da non dimenticare Esuli e rimasti guardino avanti insieme
226 - Il Piccolo 14/06/14 Montecitorio ricorda per la prima volta la strage di Vergarolla (Mauro Manzin)
227 - Avvenire 12/06/14 Rivelazioni - Istria 1946: a Vergarolla fu vera strage (Lucia Bellaspiga)
228 - Avvenire 12/06/14 Vergarolla -  Sopravvissuti. «Il mare era rosso di sangue e i gabbiani impazziti» (Lucia Bellaspiga)
229 – Intelligo news 13/06/14 Esclusivo. Strage di Vergarolla, il ricordo alla Camera, parla una testimone diretta (Marco Guerra)
230 - Il Piccolo ediz.Gorizia 12/06/14 L'Intervento - Una commissione di esperti per la strage di Vergarolla (Tullio Canevari)
231 - Mailing List Histria Notizie 09/06/14 Adriana Ivanov scrive a Io Donna, in merito all'articolo di Mariateresa Montaruli (Adriana Ivanov Gabrielli)
232 - La Voce del Popolo 09/06/14 Ettore Beggiato: «Non mi piace quando leggo Cres, Krk e Rijeka»
233 - La Stampa 06/06/14 Novara, l'Atc "riapre" ai senzatetto le case del Villaggio Dalmazia (Roberto Lodigiani)
234 - La Voce del Popolo 07/06/14  Centro di Ricerche di Rovigno eccellenza italiana (Ilaria Rocchi)
235 - Il Piccolo 08/06/14 L'Intervento - I maestri italiani in Istria missionari di cultura (Marco Coslovich)
236 - Il Piccolo 12/06/14 Ronchi dei Legionari - "Ronchi dei Partigiani" al via una raccolta di firme (Luca Perrino)
237 - Il Piccolo 08/06/14 Gli sloveni al voto sugli archivi di Tito (Stefano Giantin)


Rassegna Stampa della ML Histria anche in internet ai seguenti siti  :
http://www.arenadipola.it/
http://10febbraiodetroit.wordpress.com/
http://www.adriaticounisce.it/


225 - La Voce del Popolo 14/06/14 Vergarolla, strage da non dimenticare Esuli e rimasti guardino avanti insieme

Vergarolla, strage da non dimenticare Esuli e rimasti guardino avanti insieme

ROMA | Commozione, emozione e condivisione: questi i tre concetti emersi dall’intensa cerimonia di commemorazione della strage di Vergarolla, fatto avvenuto sulla spiaggia di Pola il 18 agosto 1946, quando un’esplosione provocò ottanta vittime. L’evento solenne in ricordo, che ha avuto luogo nella mattinata di ieri a Roma, presso la Sala “Aldo Moro” di Palazzo Montecitorio, fortemente sostenuto dai deputati PD Laura Garavini ed Ettore Rosato, è stato aperto dalla vicepresidente della Camera, On. Marina Sereni, che ha introdotto i lavori. In seguito, hanno preso la parola esponenti del mondo delle istituzioni adriatiche e della cultura istriana, fiumana e dalmata, a sottolineare l’impegno comune in un percorso volto alla ricerca della verità per una storia di cui molti aspetti devono ancora essere messi in chiaro. L’evento, come si rileva in una nota firmata da Massimiliano Rovati, Responsabile Comunicazione UPT, ha sancito ufficialmente l’interesse istituzionale a fare luce su quella che può essere definita la prima strage del dopoguerra. 

Importante il ruolo dell’UPT

Tra i relatori intervenuti, il presidente dell’Università Popolare di Trieste, Fabrizio Somma, il quale ha voluto sottolineare l’importanza del ruolo che l’Ente ricopre da 115 anni per la salvaguardia e lo sviluppo della cultura e identità italiane nella ex Jugoslavia, testimoniati da più di 50 Comunità di connazionali attualmente presenti sul territorio e il ruolo di ponte non solo ideale, ma anche strutturale, tra le due realtà degli esuli e dei rimasti, oggi più che mai avviate verso una condivisione di obiettivi, alla luce della caduta dei confini in ambito europeo. La modernità dell’Università Popolare – ha affermato Somma – sta proprio in questo ruolo
unico e peculiare di rispetto e tutela della memoria, nucleo fondamentale per costruire il futuro delle prossime generazioni. In tal senso, ha concluso il presidente di UPT, è importante l’istituzionalizzazione di questa e altre iniziative, all’interno degli ambiti
normativi delle Leggi 72 e 73 del 2001.
Un positivo momento di confronto

La deputata PD Laura Garavini ha apprezzato in particolare l’eterogeneità degli intervenuti, dai testimoni alle istituzioni,
definendo i lavori come un momento di confronto molto positivo che ha conferito onore e riconoscimento a una parte di storia ancora poco conosciuta, portandola nel cuore della democrazia - il Parlamento - alla presenza della vice presidente della Camera. Apprezzamento è stato espresso per la capacità di raccontare le diverse esperienze da parte degli intervenuti, con la finalità comune di compiere un passo decisivo verso la verità. In tal senso, ha dichiarato Garavini, l’impegno assieme al collega Ettore Rosato, è quello di sancire ufficialità e continuità su iniziative volte alla perpetuazione della memoria, anche con lo straordinario contributo dell’Università Popolare e con le molteplici forme di rappresentazione, tra cui spiccano la capacità di coinvolgimento e la poesia di Simone Cristicchi.

Unione tra esuli e rimasti

Per Antonio Ballarin, presidente nazionale di ANVGD, la giornata è stata di fondamentale importanza perché finalmente si è riusciti a portare dentro al Parlamento e proiettare a livello nazionale un fatto che ha colpito tragicamente le genti istriane fiumane e dalmate, così come la storia dell’esodo e delle altre vicende legate alle popolazioni di queste terre. Importante anche – secondo Ballarin – il momento di confronto tra diverse tesi sulla strage, di competenza degli storici alle prese con i documenti e le ricerche, ma che alla fine hanno condotto a una considerazione condivisa, ossia la presenza della volontà titina di spopolare quelle terre, di cui Vergarolla è stata uno degli esempi più cruenti e drammatici. Oggi, ciò che conta per guardare avanti è soprattutto l’unione tra esuli e rimasti.

Testimonianze coinvolgenti

Tra le testimonianze di chi all’epoca ha perso dei familiari o ha vissuto da vicino il dramma, molto sentite e coinvolgenti le parole di Lino Vivoda, esule polesano, e Livio Dorigo, presidente del Circolo Istria, i quali, pur rappresentando il dolore e la rabbia verso le mani ancore ignote autrici della strage, hanno saputo ragionare in termini prospettici, rimarcando ancora una volta l’importanza della memoria per la costruzione del futuro dell’identità italiana nella ex Jugoslavia.

Attenzione per gli eroi nascosti

Simone Cristicchi, protagonista dello spettacolo itinerante “Magazzino 18” assieme all’autore Jan Bernas, ha puntato l’attenzione verso gli “eroi nascosti” tra le pieghe della Grande Storia che si trovano nelle vicende tragiche come quella di Vergarolla: l’esempio del dott. Micheletti, che salvò le vite di molte persone durante la strage, del quale ancora poco si conosce in un paese come l’Italia di oggi, dove si intitolano strade a cantanti o comici. Secondo l’artista, un ringraziamento va ai deputati promotori di questa commemorazione, capaci di generare rispetto e attenzione verso argomenti finora riservati a pochi, muovendo a quella “condivisione” che può essere la soluzione naturale di molti rapporti ancora oggi complessi. Nel sottolineare inoltre il ruolo di UPT nella divulgazione della cultura, Simone Cristicchi si è dichiarato favorevolmente colpito ed emozionato dalla partecipazione dei presenti.

Togliere i segreti di Stato

In chiusura, tra i commenti raccolti al termine della commemorazione, Manuele Braico, vicepresidente di UPT, ha sostenuto l’importanza di procedere sempre più verso un’uniformità di comportamenti istituzionali anche nei rapporti tra gli Stati, in merito alle vicende del passato. Togliere segreti di Stato e veti nella consultazione di documenti storici custoditi negli archivi Sloveni e Croati per fare venire a galla tutti gli aspetti di quegli anni terribili, secondo Braico è ormai imprescindibile, per aprire al confronto tra studiosi di ogni nazione e smetterla di sposare solo le tesi meno scomode. 
Da rilevare che alla cerimonia hanno presenziato pure le vicepresidenti della Regione Istriana, Viviana Benussi e Giuseppina Rajko.

Presentato il volume di Gaetano Dato

All’interno della commemorazione, lo storico Roberto Spazzali, autore della prefazione, ha presentato, unitamente all’autore Gaetano Dato, il volume “Vergarolla, 18.08.1946. Gli enigmi di una strage tra conflitto mondiale e Guerra Fredda”, la cui pubblicazione è stata promossa e sostenuta dal Circolo Istria.

Un processo concreto di ricerca storica

Secondo lo studioso Roberto Spazzali, è necessario “innescare un processo concreto di ricerca storica” senza dimenticare la memoria di chi in quei luoghi ha vissuto per poi doverli abbandonare. “Ma occorre partire da un principio”, ha precisato Spazzali: “è stato comodo stendere il silenzio su questo ed altri fatti, dimenticare e far dimenticare”, ma la verità è che “la guerra in quelle terre non era finita” e lo Stato italiano uscito sconfitto “era debolissimo”, poichè subiva la tensione internazionale e viveva una condizione sociale drammatica; “non era in grado di difendersi” ed in questo contesto il Friuli Venezia Giulia è stato “stritolato”. 

Trovare mandanti ed esecutori

Sempre secondo lo studioso Roberto Spazzali dopo 70 anni sarà difficile trovare mandanti ed esecutori della strage, ma “l’indagine storica deve continuare” e gli archivi italiani ed internazionali “ancora occultati” devono essere resi accessibili.




226 - Il Piccolo 14/06/14 Montecitorio ricorda per la prima volta la strage di Vergarolla

Nel 1946 una bomba sulla spiaggia uccise decine di italiani
Garavini: «Ridata dignità alle vittime». Presente Cristicchi 

Montecitorio ricorda per la prima volta la strage di Vergarolla

di Mauro Manzin 

TRIESTE «Commemorare oggi le vittime di Vergarolla in Parlamento, cioè nel cuore della democrazia, significa ridare dignità ad una strage troppo a lungo ingiustamente dimenticata». Lo ha detto Laura Garavini (Pd), moderando il convegno presieduto dalla vicepresidente della Camera dei deputati, Marina Sereni (Pd) e concluso dall’onorevole Ettore Rosato (Pd) sulla strage avvenuta il 18 agosto del 1946 sulla spiaggia di Vergarolla a Pola.
Attraverso le voci di due testimoni, Lino Vivoda e Livio Dorigo, attraverso gli studi di esperti della vicenda, come il giovane storico Gaetano Dato, il professor Roberto Spazzali, il presidente dell’Università popolare di Trieste, Fabrizio Somma e grazie alla poesia di Simone Cristicchi, che ha recitato alcuni brani tratti dal suo pezzo teatrale “Magazzino 18”, «vogliamo oggi - ha detto ancora la Garavini - cercare di rendere onore alla memoria delle vittime innocenti morte nel corso della terribile strage di Vergarolla, il 18 agosto 1946». L’iniziativa, definita «senza precedenti» dal quotidiano Avvenire ha visto la partecipazione delle diverse associazioni degli esuli giuliano dalmati, verso i quali la Garavini ha espresso vivi ringraziamenti per l’ostinato e generoso impegno, negli anni, affinché si pervenisse al meritato riconoscimento della strage, da parte delle istituzioni. Il 18 agosto 1946, sulla spiaggia di Vergarolla, si sarebbero dovute tenere le tradizionali gare natatorie per la Coppa Scarioni. In quel periodo l'Istria era rivendicata dalla Jugoslavia di Tito, che l'aveva occupata fin dal maggio 1945. Pola invece era amministrata a nome e per conto degli Alleati dalle truppe britanniche, ed era quindi l'unica parte dell'Istria al di fuori del controllo jugoslavo. La manifestazione aveva l'intento dichiarato di mantenere una parvenza di connessione col resto dell'Italia. La spiaggia era gremita di bagnanti, tra i quali molti bambini. Ai bordi dell'arenile erano state accatastate - secondo la versione più accreditata - ventotto mine antisbarco - per un totale di circa nove tonnellate di esplosivo - ritenute inerti in seguito all'asportazione dei detonatori. Alle 14.15 l'esplosione di queste mine uccise diverse decine di persone.




227 - Avvenire 12/06/14 Rivelazioni - Istria 1946: a Vergarolla fu vera strage 
Cultura
Rivelazioni 
 
Istria 1946: a Vergarolla fu vera strage

Lucia Bellaspiga

Il 18 agosto del 1946 è una domenica e a Vergarolla, la spiaggia di Pola, migliaia di polesi sono radunati per le gare di nuoto e l’anniversario della Pietas Julia, la società nautica cittadina, di chiaro orientamento patriottico. In quel momento gli eccidi e le foibe hanno già insanguinato Istria, Fiume e Dalmazia, ma da un anno a Pola un governo militare angloamericano protegge la città dai titini intanto che a Parigi le grandi potenze ancora discutono sul suo destino e ridisegnano i confini adriatici.
Quel giorno, dunque, la popolazione assiste a una gara sportiva di forte valore filoitaliano, tantissimi sono i bambini, il caldo ha attratto nel bel mare istriano almeno duemila persone. È lì tra loro che alle 14.10 un’esplosione gigantesca letteralmente polverizza decine e decine di corpi (i soccorritori dovranno recuperare i poveri resti sugli alberi fino a grande distanza). Sulla sabbia giacevano da mesi residuati bellici che però erano stati disinnescati e più volte controllati dagli artificieri inviati dalle autorità anglo-americane: «Ormai facevano parte del paesaggio, ci stendevamo sopra i vestiti o mettevamo la merenda al fresco sotto la loro ombra», testimoniano oggi i sopravvissuti.

Eppure qualcuno aveva riattivato quegli ordigni per farli esplodere esattamente quel giorno. Oggi possiamo scriverlo senza paura di essere smentiti dai negazionisti, che per decenni hanno parlato di 'incidente', perfino di autocombustione: a 70 anni dalla strage, due studi in contemporanea sono stati commissionati a storici super partes dal Libero Comune di Pola in Esilio (Lcpe, l’associazione che raccoglie tutti gli esuli da Pola) e dal Circolo Istria di Trieste, e le conclusioni cui i due storici sono addivenuti, pur divergendo su alcuni aspetti, concordano su un punto
inconfutabile: fu strage volontaria. «È già un risultato epocale – commenta Paolo Radivo, direttore dell’Arena di Pola e consigliere del Lcpe –: da molti anni ogni 18 agosto ci rechiamo a Vergarolla, oggi Croazia, per celebrare i nostri morti insieme alla comunità degli italiani rimasti a Pola». Lo scorso agosto l’onorevole Laura Garavini del Pd ha mandato un ampio messaggio e annunciato un’interrogazione parlamentare: «Era la prima volta ». Aria nuova anche in Regione Friuli Venezia Giulia, dove la presidente Debora Serracchiani (Pd) inviò un suo contributo sulla mattanza che «per le modalità subdole con cui fu perpetrata e per la cortina di silenzio e travisamenti che a lungo la avvolse è uno degli episodi più cupi del dopoguerra».

Se già qualche anno fa dagli archivi di Londra erano trapelati i primi indizi di un attentato volontario, tali elementi non erano ancora sufficienti. Così nei mesi scorsi William Klinger, massimo studioso italiano di Tito, si è recato negli archivi di Belgrado, mentre l’altro giovane storico, Gaetano Dato, ha consultato quelli di Zagabria, Londra, Washington e Roma. Sì, perché ciò che emerge chiaramente da entrambi gli studi è che per capire cosa avvenne su quella spiaggia bisogna guardare agli scenari
mondiali: Vergarolla è il crocevia della storia moderna post bellica, la palestra in cui nasce la guerra fredda. «Klinger ha il merito di inserire la strage nella più generale politica aggressiva jugoslava contro l’Italia sconfitta ma anche contro i suoi stessi alleati anglo-americani», spiega Radivo. Già all’indomani della strage partirono due inchieste, una della corte militare e l’altra della polizia civile alleate, non a caso intitolate 'Sabotage in Pola', cioè nettamente orientate a negare l’incidente fortuito.
Klinger non prova la responsabilità diretta della Ozna («negli archivi di Belgrado non ci sono i dispacci dell’epoca, l’ordine tassativo era di distruggere all’istante qualsiasi istruzione ricevuta »), ma racconta il contesto, la spietatezza della polizia di Tito, che controllava buona parte del Pci italiano e soprattutto in quel 1946 stava alzando il tasso di violenza in un crescendo di azioni, tant’è che sia gli americani che gli inglesi in documenti scritti lamentano col governo jugoslavo «le attività terroristiche e criminali». Inoltre sempre Klinger nota come all’epoca la stampa jugoslava desse conto di ogni minimo avvenimento, eppure non dedicò una sola riga a una strage terrificante: un silenzio quantomeno sospetto. 

Gaetano Dato spiega nei dettagli le dinamiche dell’esplosione: «Scoppiarono una quindicina di bombe antisommergibile tedesche e testate di siluro che erano state disinnescate, ma che con l’ausilio di detonatori a tempo furono riattivate». Dato avverte però che nella sua ricerca sceglie di «mettere da parte le memorie» dei testimoni, perché teme che «involontariamente selezionino una parte di verità, cancellando o modificandone altre», ma questo rischia a volte di essere il punto debole del suo lavoro di storico, che lascia aperte tutte le ipotesi: «Se devo dire la mia personale opinione – ci dice – fu una strage jugoslava, ma non posso tralasciare altre piste:
quella italiana, con gruppi monarchici o fascisti che stavano organizzando la resistenza contro Tito, e quella di anticomunisti jugoslavi». Ma di entrambe, ammette, non ci sono prove.

«È vero che all’epoca c’erano ancora italiani che intendevano combattere in difesa dell’italianità – commenta Radivo –, ma Vergarolla certo non aizzò i polesi a sollevarsi, anzi, ne fiaccò per sempre ogni istanza». Secondo Radivo, dunque, per comprendere i mandanti occorre vedere i risultati, «e questi furono la rinuncia a combattere per Pola italiana, con la fine di ogni manifestazione da quel giorno in poi, e mesi dopo la partenza in massa con l’esodo, ormai visto come unica salvezza. Ed entrambi i 'cui prodest?'
portano alla Jugoslavia». D’altra parte un’escalation di azioni precedenti hanno sbocco naturale proprio nei fatti di Vergarolla: nel maggio del ’45, già in tempo di pace, la nave 'Campanella' carica di 350 prigionieri italiani da internare nei campi di concentramento titini cola a picco contro una mina e le guardie jugoslave mitragliano in acqua i sopravvissuti; pochi mesi dopo a Pola esplodono altri depositi di munizioni in centro città; nel giugno del ’46 militanti filojugoslavi fermano il Giro d’Italia e sparano sulla polizia civile; 9 giorni prima di Vergarolla soldati jugoslavi assaltano con bombe a mano una manifestazione italiana a Gorizia; la domenica prima della strage una bomba fa cilecca sulla spiaggia di Trieste durante una gara di canottaggio: sarebbe stata un’altra carneficina... per la quale bisognerà attendere il 18 agosto. Negli archivi di Londra un documento attesta la «volontà espressa degli jugoslavi di boicottare qualsiasi manifestazione italiana, anche sportiva». 

Non scordiamo che il 17 agosto del ’46, il giorno prima, a Parigi si era chiusa la sessione plenaria della Conferenza di pace e stavano iniziando le commissioni per decidere sui confini orientali d’Italia: era una data topica e i giochi non erano ancora chiusi. «I polesi potevano ancora sperare che la città venisse attribuita al Territorio Libero di Trieste, sogno sfumato solo un mese dopo, il 19 settembre»: le istanze di italianità erano ancora vive e i titoisti dovevano annientarle.



228 - Avvenire 12/06/14 Vergarolla -  Sopravvissuti. «Il mare era rosso di sangue e i gabbiani impazziti»
Sopravvissuti. «Il mare era rosso di sangue e i gabbiani impazziti»

Lino Vivoda: «L'ipotesi che sia stato un attentato neofascista è pura fantapolitica». Claudio Bronzin: «Ho parlato con un testimone che conosce due persone che quel giorno festeggiarono con gli attentatori, ma ha paura e non fa i nomi»

Sergio Vivoda aveva 8 anni. È morto ucciso dallo spostamento d’aria, che a Pola fu scambiato per un terremoto. «L’unica consolazione per noi fu che il suo corpo era intatto», racconta Lino Vivoda, 83 anni, storico sindaco di Pola in Esilio e da molti anni studioso di storia istriana. «Iniziai la ricerca sugli autori della strage molti anni fa - racconta - e subito raccolsi indizi e testimonianze sulla matrice jugoslava. Un giorno negli anni ’90 lessi su "GlasIstre", il quotidiano croato di Pola, un articolo di David Fiscovich che parlava di un biglietto lasciato da uno degli attentatori prima di impiccarsi nel 1979. Confessava di essere il colpevole e di aver agito su ordine dell’Ozna, i servizi segreti di Tito». Il nome dell’uomo era Ninj Berljafa: «Feci ricerche in merito e scoprii che era davvero un membro dell’Ozna e fin dal 1941 aveva fatto parte di organizzazioni antiitaliane. Denunciai quindi questa organizzazione come autrice della strage». Una denuncia che teneva conto di quanto lo stesso braccio destro di Tito, Gilas, aveva scritto nelle sue memorie: "Fummo mandati in Istria nel ’46 da Tito perché bisognava cacciare gli italiani con qualsiasi mezzo. E così fu fatto". Parole raggelanti che riconducono alla spiaggia di Vergarolla.

Anche Vivoda, scampato alla strage, sarà alla Camera domani tra i testimoni, intenzionato a non lasciare che dopo 70 anni di oblio si devii dalla verità:
«L’illazione di un possibile attentato monarchico/neofascista, dunque italiano, mai incontrata in 60 anni di ricerche, è paragonabile a quella che si sia trattato di un attentato di marziani per punire i terrestri. Pura fantapolitica».

Precisi anche i ricordi di Claudio Bronzin, che il giorno della strage aveva
12 anni: «Ho visto tutto, sono vivo perché guardavo la gara a cento metri di distanza con mio papà, ma una mia zia e i miei cugini sono saltati in aria.
Solo la domenica prima giocavo a cavalcioni di quei siluri disinnescati...
Si parla solo dei morti di quel giorno, ma quanti morirono nei mesi successivi? E quante vite andarono perse in altro modo? Un mio cuginetto era in braccio a sua mamma, è ancora vivo, ma da allora lo spostamento d’aria lo ha reso totalmente disabile». Bronzin torna spesso a Pola «e ho personalmente parlato con un testimone che conosce i nomi di due persone che quel giorno festeggiarono l’esito della strage a Monte Castagner, uno dei colli di Pola, insieme ai due attentatori. Ma ha paura e non fa i nomi».
Ricorda bene anche l’eroica figura del dottor Geppino Micheletti, il chirurgo che perse i suoi due bimbi di 4 e 9 anni, ma continuò a operare le centinaia di feriti gravissimi insieme a un collega inglese: «Mentre operava mia zia gli dissero che di un suo figlio si era trovato il corpicino, ma del piccolo restava solo una scarpa, disintegrato. Cadde a terra. Poi però volle riprendere a operare». Dei 65 corpi ritrovati ben 22 erano in condizioni tali che non fu possibile riconoscerli, «ma a mio padre i due chirurghi dissero che i morti dovevano essere decine di più, perché erano stati raccolti pezzi umani che non si potevano attribuire a nessuno dei poveri corpi ricostruiti». Nessuno li reclamò, perché «Po-la era un’enclave protetta dagli inglesi, c’erano tanti scappati dalla zona B controllata dai titini, venuti da Rovigno, Pisino, Promontore... 

Semplicemente non se ne seppe più nulla». Il suo ricordo di quel giorno, come per tanti altri bambini, «sono le grida dei gabbiani impazziti nella lotta per raccogliere i resti dall’acqua rossa. A Pola, per mesi nessuno mangiò pesce».

Lucia Bellaspiga




229 – Intelligo news 13/06/14 Esclusivo. Strage di Vergarolla, il ricordo alla Camera, parla una testimone diretta

Esclusivo. Strage di Vergarolla, il ricordo alla Camera, parla una testimone diretta

 Nell’estate del ‘46 un attentato sulla spiaggia di Pola (Istria) uccise oltre 80 italiani. Dopo 68 anni di oblio si chiede la verità 

di Marco Guerra

Stazione di Bologna, 2 agosto del 1980; Milano Banca Nazionale dell’Agricoltura, 12 dicembre 1969; Portella della Ginestra, 1 maggio del 1947. Basta evocare alcune date e luoghi per evocare tragici eventi impressi in modo indelebile nella memoria collettiva nazionale. Stragi che rappresentano dei punti nodali nella controversa trama della nostra storia patria. Ma la damnatio memoriae continua a tenere sotto una coltre di silenzio la prima, e forse la più sanguinosa, strage dell’epoca repubblicana (80/100 morti), quella di Vergarolla, la spiaggia alla periferia di Pola (allora ancora italiana), in Istria, dove, il 18 agosto del 1946, fu fatto esplodere del materiale bellico durante le gare di nuoto della polisportiva Pietas Julia.
Oggi, per la prima volta a 68 anni da quella carneficina, si tiene nella sala “Aldo Moro” della Camera dei Deputati il primo riconoscimento ufficiale a livello istituzionale dell’atto criminale che ha colpito la popolazione di Pola, promosso dalla vice presidente della Camera dei Deputati, on. Marina Sereni, su iniziativa dell’on. Laura Garavini.
Alla cerimonia, oltre a una nutrita rappresentanza degli esuli, è presente anche il cantautore Simone Cristicchi, il quale ha dedicato a Vergarolla uno dei monologhi di Magazzino 18, libro estratto dal suo omonimo spettacolo teatrale che racconta alcune storie e fatti dell’esodo giuliano-dalmata e del genocidio delle foibe.
Il 18 agosto del 1946 era bella una domenica estiva e a Pola si tenevano le tradizionali gare di nuoto. In quel periodo l’Istria era rivendicata dalla Jugoslavia di Tito, che l’aveva occupata fin dal maggio 1945 e nella quale aveva già avviato le operazioni di pulizia etnica per eliminare le comunità italiane che rappresentavano la stragrande maggioranza della popolazione di quelle terre.  Pola invece era amministrata per conto degli Alleati dalle truppe britanniche, ed era quindi l’unica parte dell’Istria al di fuori del controllo jugoslavo.
Secondo quanto sostenuto sempre dalle associazioni degli esuli, dai rapporti dei servizi italiani e da quanto evidenziato nelle conclusioni dell’inchiesta britannica; a causare le esplosioni di mine della seconda guerra mondiale rimaste inesplose sulla spiaggia di Pola non fu un incidente ma un’azione delle squadre di sabotatori dell’Ozna, la polizia segreta della Jugoslavia comunista di Tito. L’esplosione polverizzo intere famiglie accorse a vedere l’evento sportivo, il mare si tinse di rosso, decine di salme non furono mai riconosciute e, giorni dopo, una città in ginocchio saluto le vittime dell’attentato in delle bare coperte dal tricolore trasportate da una lunga fila di camion. Fra tanta barbarie non mancarono gli atti di eroismo, come quello del dott. Micheletti, in servizio all’ospedale della città, che, sebbene perse due figli nell’attentato (uno mai ritrovato), per 24 ore di seguito continuò a prestare soccorso a tutti i feriti causati dall’esplosione. Dopo la strage decise di andarsene via. Spiegando che non voleva trovarsi un giorno “curare gli assassini dei suoi figli”.
Il più grave attentato in tempo di pace della Repubblica italiana, nata appena due mesi prima con il referendum del 2 giugno, ebbe l’effetto desiderato dai carnefici: gli italiani iniziarono l’esodo dalla città di Pola, culminato nel febbraio del 1947 con la spola del piroscafo ‘Toscana’ tra la città istriana e l’altra sponda dell’Adriatico, portando migliaia di esuli giuliani nei porti di Ancona e Venezia.
L’Associazione “Libero Comune di Pola in Esilio”, che raccoglie e rappresenta gli esuli da Pola, prenderà parte a questa prima commemorazione ufficiale alla camera ma in  un comunicato diffuso alla vigilia ribadisce la necessità che le istituzioni italiane facciano piena luce sulla strage “occorsa a seguito di una esplosione ormai universalmente riconosciuta non accidentale”  e che le indagini accertino “moventi, mandanti, esecutori e complici della strage mediante un esame obiettivo di tutte le fonti storiche e d’archivio, nonché delle testimonianze dirette concernenti il tragico episodio e di quant’altro eventualmente ancora reperibile a tanti anni di distanza a livello nazionale ed internazionale”.
In attesa che si possano raccogliere tutte le carte per fare luce su questa pagina strappata dai libri di storia, IntelligoNews ha sentito una testimone diretta dell’attentato; Loredana Colella, 87enne esule di Pola (moglie del pittore Amedeo Collella morto nel ’75) che vive al quartiere giuliano-dalmata di Roma  (zona Eur) dal 1947.

Loredana, il 18 agosto del 1946, era  una della ragazze che partecipò alle gare di nuoto della mattina, per le categorie femminili.
“Sono arrivata seconda per un soffio”, racconta ancora con un certo orgoglio, “poi sono tornata a Vergorella dopo pranzo intorno alle 14:00 per assistere alle gare maschili che non sarebbero mai incominciate”.
Loredana, ritorna alla spiaggia della competizione sportiva a bordo di una barca e nota subito “dei giavellotti di cilindrici di 40 centimetri che sembravano delle boe per la delimitazione degli stabilimenti”. “Alcune famiglie stavano pranzando in prossimità di queste di questi barilotti”, racconta ancora Loredana come se fosse ieri, “io le ho superate e mi sono avviata verso gli spogliatoi”. Passati pochissimi minuti “ho sentito un primo botto, quello dell’innesco”, “allora mi sono girata – dice con la voce rotta dalla commozione – e ho visto decine di persone urlare e allontanarsi da queste boe, ma dopo pochi passi sono state letteralmente scaraventate in aria”.
Loredana ricorda anche le bare semi vuote riempite con i pochi resti ritrovati e il clima che si respirava a Pola dopo la strage: “L’attentato fu la ciliegina sulla torta che si aggiunse agli  omicidi mirati, alle foibe e tutte le persecuzioni contro la comunità di Pola nell’immediato dopoguerra, colpevole, agli occhi dei titini, di aver dimostrato palesemente che non intendeva ricadere sotto il gioco della Jugoslavia”. Quell’atto terroristico “convinse definitivamente tutti i cittadini di Pola a lasciare la loro amata città”.




230 - Il Piccolo ediz.Gorizia 12/06/14 L'Intervento - Una commissione di esperti per la strage di Vergarolla 
L’INTERVENTO di TULLIO CANEVARI*

Una commissione di esperti per la strage di Vergarolla 

Sollecitiamo il Parlamento a istituire un gruppo di lavoro affinché sia fatta piena luce sulla tragedia perché emerga tutta la verità su quei fatti

La pubblicazione della ricerca archivistica Vergarolla 18 agosto 1946. Gli enigmi di una strage tra conflitto mondiale e guerra fredda di Gaetano Dato, la sua diffusione mediatica, i commenti immediati di alcuni organi stampa hanno reso indispensabile una presa di posizione da parte del Libero Comune di Pola in esilio, l’associazione che più direttamente raccoglie gli esuli da Pola, la città che ha subito, in quella tragica giornata, un martirio non ancora riconosciuto e ufficialmente ricordato. Nell’imminenza della prima concreta iniziativa parlamentare volta in prospettiva al perseguimento di questi obiettivi, chiedo la pubblicazione di questo comunicato sui mezzi di comunicazione e la sua lettura pregiudiziale nella giornata di commemorazione promossa dalla Vice presidente della Camera dei Deputati, on. Marina Sereni, su iniziativa dell’on. Laura Garavini, domani alla Camera dei Deputati del Parlamento italiano, a Roma. LaAssociazione “Libero Comune di Pola in Esilio”, che raccoglie e rappresenta gli esuli da Pola – tra cui i congiunti superstiti delle vittime dell’eccidio di Vergarolla – ed i loro discendenti, che da anni è impegnata nella ricerca della verità storica di quanto occorso e che da oltre un decennio è la co-promotrice e principale organizzatrice della Cerimonia che annualmente, nell’anniversario della strage, si svolge a Pola in suffragio ed omaggio a quelle povere vittime innocenti; Esprime il proprio apprezzamento per essere stata coinvolta, con la testimonianza del suo consigliere Lino Vivoda e l’intervento del suo vicesindaco Tito Lucilio Sidari, anche grazie all’interessamento dell’Università Popolare di Trieste, alla commemorazione che si terrà nella Sala Aldo Moro della Camera dei Deputati domani e che costituisce il primo riconoscimento ufficiale a livello istituzionale dell’atto criminoso che ha colpito la nostra gente; chiede che da parte delle istituzioni italiane venga fatta piena luce sulla strage di Vergarolla (Pola) occorsa, a seguito di una esplosione ormai universalmente riconosciuta non accidentale come da noi sempre sostenuto, di materiale bellico in data 18 agosto 1946 e che con i suoi 64 morti identificati e l’imprecisato numero di morti non potuti riconoscere, mutilati e feriti ammontanti a diverse decine si configura come la più sanguinosa verificatasi in tempo di pace nell’Italia Repubblicana; che le indagini accertino moventi, mandanti, esecutori e complici della strage mediante un esame obiettivo di tutte le fonti storiche e d’archivio, nonché delle testimonianze dirette concernenti il tragico episodio e di quant’altro eventualmente ancora reperibile a tanti anni di distanza a livello nazionale ed internazionale; che tutte le ipotesi sin qui formulate al riguardo siano considerate senza preconcetti orientamenti di parte; che dette risultanze vengano rese di pubblico dominio con l’avallo parlamentare astenendosi però dal formulare illazioni che, se non sostenute da più che comprovati dati di fatto o peggio prospettate con una rilevanza non riconosciuta ad altre risultanze, avrebbero l’unico effetto di rinnovare dolori e prestarsi a facili strumentalizzazioni da parte di quanti da sempre cercano di negare, sminuire o giustificare la tragedia vissuta dalla nostra gente, come occorso a Gorizia in occasione della prima presentazione del volume Vergarolla 18 agosto 1946. Gli enigmi di una strage tra conflitto mondiale e guerra fredda e come si evince dall’articolo apparso su Il Piccolo il 26 maggio u.s. a firma di Elisa Lenarduzzi, volume che in questa circostanza verrà presentato agli onorevoli Deputati; sollecita il Parlamento a prendere le iniziative necessarie per la costituzione di una Commissione di esperti, con le migliori caratteristiche di imparzialità, per le indagini sopra richieste, dando la propria disponibilità a parteciparvi; la stessa sollecitazione è rivolta alle Istituzioni Europee; invita una rappresentanza parlamentare ad intervenire ufficialmente all’annuale celebrazione che anche nel 2014 la nostra associazione co-organizzerà a Pola in occasione del 68° Anniversario della strage di Vergarolla. 

*presidente dell’associazione Libero Comune di Pola in Esilio 




231 - Mailing List Histria Notizie 09/06/14 Adriana Ivanov scrive a Io Donna, in merito all'articolo di Mariateresa Montaruli
Articolo di Mariateresa Montaruli

Spett. Redazione, la lettura dell'articolo “ Bosco di mare” di Mariateresa Montaruli e le immagini proposte in "Io Donna" del 7 giugno u.s. aprono il cuore per il paesaggio, i colori, i profumi, l'atmosfera che evocano, soprattutto in chi come me, esule dalmata, porta quel bagaglio di emozioni dentro il suo DNA. Molto meno felice é il riscontro che offre la toponomastica usata, vero coltello rigirato nella piaga,  per chi come me quel paesaggio d' incanto ha dovuto lasciarlo bambina, perché non le era più possibile vivere nella sua terra, dato che non era più la sua terra, dopo la cessione alla Jugoslavia di Istria, Fiume e Dalmazia col Trattato di Pace del 10 febbraio 1947. Ma, al di là dei fattori biografici personali, dovrebbe essere doloroso per qualsiasi italiano, ora che l' istituzione del Giorno del Ricordo ha recuperato la memoria di un' intera regione d'Italia perduta a causa di una guerra perduta, ma pagata solo dai 350.000 esuli del confine orientale, constatare che esiste una sorta di tabù onomastico, per cui chi scrive non osa utilizzare il toponimo italiano, che pure esiste, per località che sono state romane, veneziane e italiane. E' vero che nel primo capoverso si indica tra parentesi che Lošinj corrisponde a Lussino e  Cres a Cherso, ma poi si procede con l’ uso martellante del toponimo croato, l’ unico utilizzato per tutte le altre località (mentre Učka è il Monte Maggiore, Čikat corrisponde a Cigale, Mali Lošinj a Lussinpiccolo, Veli Lošinj a Lussingrande e così via). Per eventuali, comprensibili dubbi, visto che le pubblicazioni turistiche d’ oltreconfine propongono solo i toponimi in lingua locale, si può ricorrere al Glossario consultabile sul sito arcipelagoadriatico.it. Ci si potrà risparmiare così l’ inutile fatica di tentare di scrivere o pronunciare correttamente i toponimi in lingua serbocroata, rischiando anche di sbagliare, dati i suoni aspri che la caratterizzano ( Lošinj infatti si pronuncia “Loscign” e Cres  “Zres”). Ma, soprattutto, basterà serenamente constatare che, ovunque andiamo, noi utilizziamo il toponimo italiano ove presente, né ci sogneremmo di dire “ Paris” o “London”, quando disponiamo dei corrispondenti “Parigi” e “Londra”; dirò di più, perfino nominando Zagabria, capitale della Croazia, o Belgrado, capitale della Serbia, non ci passa certo per la testa di chiamarle “Zagreb” o “Beograd”. Dunque, non andiamo alla ricerca di esotismi proprio per toponimi di località che il nome italiano lo hanno da sempre: non è questione di revanchismo, è solo per un fattore di buon senso, oltre che per il rispetto culturale di terre cariche di storia, che non ci dovremmo vergognare di chiamare in  italiano luoghi in cui così si parlava fino al 1947.

Grata per l’ attenzione, porgo distinti saluti,

Adriana Ivanov Danieli



232 - La Voce del Popolo 09/06/14 Ettore Beggiato: «Non mi piace quando leggo Cres, Krk e Rijeka»
«Non mi piace quando leggo Cres, Krk e Rijeka» 

BUIE | Quest’anno la tavola rotonda del Festival dell’Istroveneto a Buie è stata dedicata in gran linea all’incontro tra Veneto e Istria, alla presentazione delle attività e allo scambio di esperienze che hanno come oggetto la salvaguardia, la tutela e la promozione della lingua veneta e del dialetto istroveneto.

Ospite d’onore Ettore Beggiato, autore della Legge regionale n°15/94, grazie alla quale da vent’anni a questa parte la Regione Veneto effettua “interventi per il recupero, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale di origine veneta nell’Istria e nella Dalmazia”. 
“Quello che voi istriani siete riusciti a creare qua, non si trova in nessun altro luogo europeo”, ha detto. Poi una critica agli italiani che vivono in
Italia: “La situazione non è delle migliori. I veneti continuano a ignorare quello che è stato il percorso storico comune e gli italiani in generale sbagliano ancor sempre approccio. A ogni articolo sull’Istria che viene scritto in Italia sembra perso qualcosa. Ogni volta che sui giornali e sulle riviste, anche turistiche, vediamo scritto Cres, Krk, Rijeka e Novigrad invece che Cherso, Veglia, Fiume e Cittanova, è come una sberla a tutti voi che vi prodigate per mantenere viva questa ricchezza, e questo non mi piace.
Eppure scrivono Londra, Parigi e Zagabria, e non London, Paris e Zagreb...”.

Il presidente della Giunta Esecutiva dell’UI Maurizio Tremul ha consegnato a Ettore Beggiato una targa come ringraziamento per quest’importante legge che porta il suo nome.
Moderata da Lionela Pauzin Acquavita, sabato mattina la conversazione in piazza Libertà che ha visto la partecipazione di Alberto Montagner, presidente dell’Associazione “Veneto Nostro – Raixe Venete”, il quale ha parlato de “La Cultura e le radici, vera ricchezza dei Popoli, fondamenta dell’Europa di domani” e di Alessandro Mocellin (“Accademia della Bona Creansa”), il quale a sua volta ha fatto l’esempio di personaggi che vivono in tutto il mondo e che hanno in comune la lingua, le diverse sfaccettature del veneto. “Sette milioni di persone al mondo parlano veneto. Siamo più o meno sette miliardi di persone. Significa che una persona su mille parla veneto”, ha fatto notare.
Andrea Lunardon, traduttore e membro dell’Istituto Lingua Veneta, spera “si possa un giorno insegnare il veneto nelle scuole, ma non come lingua aggiuntiva, bensì come lingua d’insegnamento per tutte le materie”. Norma Zani, titolare del Settore Educazione e Istruzione della Giunta Esecutiva dell’UI ha raccontato quanto si è fatto nell’ultimo periodo grazie agli scambi di classe e alla formazione congiunta dei docenti tra le nostre regioni e il Veneto.




233 - La Stampa 06/06/14 Novara, l'Atc "riapre" ai senzatetto le case del Villaggio Dalmazia 
Le case costruite per i profughi del ’50 potranno essere assegnate a tutti

Via Monte S. Gabriele. Le case del Villaggio Dalmazia furono edificate negli Anni 50 per ospitare i profughi dall’Istria

 Roberto Lodigiani - Novara


Il Villaggio Dalmazia apre le porte ai senzatetto del terzo millennio. Le palazzine costruite in tempi record negli Anni 50 del secolo scorso per ospitare i profughi dell’Istria e della Dalmazia si candidano a diventare le abitazioni per la (nuova) generazione dei rovinati dalla crisi economica. L’Atc, agenzia territoriale per la casa, assediata dalle richieste per l’assegnazione di spazi abitativi a canoni concordati, ha lanciato in questi giorni un nuovo bando.  

Entro il 18 luglio possono presentare la domanda per ottenere un appartamento non solo gli eredi dei fuggitivi dalmati ma anche coloro che hanno un reddito compreso tra i 28468 e i 3910 euro. «Da quando venne posata la prima pietra per gli edifici del Villaggio Dalmazia, nell’ottobre del 1954 - dice Antonio Sardi, presidente della sezione di Novara dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia - si sono succeduti ormai una ventina di bandi per la cessione degli appartamenti. I parametri e le credenziali all’inizio parecchio restrittivi, con il passare del tempo si sono "addolciti". Rimangono in vigore le agevolazioni per i discendenti dei profughi ma la novità sostanziale è che possono concorrere anche coloro che hanno bisogno di un’abitazione a canone non esorbitante».  

Finanziati con una legge nazionale, al Villaggio Dalmazia vennero consegnati alle famiglie reduci dal soggiorno alla caserma Perrone 16 condomini, 303 appartamenti: «La ristrutturazione di alcune palazzine è tuttora in corso - dice Antonio Sardi - a cura della Comunità di Sant’Egidio e dell’Opera Don Guanella, nell’ambito dei "contratti di quartiere"».  

Sarebbero invece una dozzina le «case chiuse», murate per impedire le occupazioni abusive, in attesa di interventi edilizi. Il bando dell’Atc permetterà di formare una graduatoria valida per 4 anni stilata da una commissione. Un punteggio di favore verrà ad esempio riconosciuto a richiedenti che «abitino da almeno due anni in dormitori pubblici o comunque in ogni altro locale procurato a titolo temporaneo dagli organi preposti all’assistenza pubblica». 




234 - La Voce del Popolo 07/06/14  Centro di Ricerche di Rovigno eccellenza italiana
CRS eccellenza italiana 

Ilaria Rocchi 
 
L’impegno di rigore scientifico, ma anche culturale, e un’invidiabile costanza che, praticamente da mezzo secolo, fanno del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno una “barriera” affinché la cultura e la civiltà italiana continuino a svolgere un ruolo guida nel territorio. Il CRS e la sua attività di ricerca e pubblicistica sono al contempo espressione e artefice dell’identità della comunità italiana autoctona, come pure di quella realtà specifica che nei secoli si è consolidata nell’Adriatico orientale, risultato di intrecci e scambi tra le diverse componenti italiana, croata, slovena e altre che si sono affacciate sulle sponde di questo mare comune.

Un ruolo importante per un’istituzione che è la memoria storica della CNI in Croazia e Slovenia, un fiore all’occhiello come si ripete da anni, per la sua impostazione, per la sua operosità, per quel gioco di squadra che, con tattica, il suo capitano Giovanni Radossi porta in campo fin dalla fondazione del CRS, coinvolgendo ricercatori connazionali, studiosi italiani, croati, sloveni e di tutto il mondo, promuovendo il dialogo e il confronto dialettico. Orgoglio: una parola che si è sentita dire in più momenti nel corso della presentazione del 43.esimo volume degli “Atti” del CRS, ieri a Castel Bembo, a Valle. Una ricca e calorosa serata tra amici e colleghi, a simboleggiare nel migliore dei modi anche il 45.esimo anniversario della nascita del Centro e il 50.esimo della collaborazione tra l’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume, oggi Unione Italiana – fondatore dell’istituto – e l’Università Popolare di Trieste, co-editori delle pubblicazioni del CRS.
Alla cerimonia, oltre a un numerosissimo pubblico di soci della CI di Valle e di altre CI dell’Istria, nonché di istriani esuli (una rappresentanza della Mailing List Histria) è intervenuto pure il sindaco del borgo, Edi Pastrovicchio, la vicepresidente della Regione Istriana per la minoranza italiana, Giuseppina Rajko, il presidente dell’UI, Furio Radin, il presidente dell’UPT, Fabrizio Somma, e il direttore generale dell’ente, Alessandro Rossit, i collaboratori del CRS. A fare gli onori di casa la presidente della CI vallese, Rosanna Bernè, mentre a dare il “la” alla serata è stato il coro misto della CI di Dignano, diretto dalla maestra Orietta Šverko, che ha eseguito tre brani della tradizione musicale.
Riconferma del sostegno al CRS da parte di UI e UPT, riconoscimento della validità del suo operato, appunto motivo di orgoglio per tutta la CNI, ma anche per il territorio nel suo complesso. “Ciò che ci rende grandi, nel nostro piccolo”, ha fatto notare Furio Radin, è l’aver saputo ricostruire, dopo i tanti marasmi del passato ‘una cultura creativa’. 
“Le oltre 770 pagine di questo volume sono una cosa che tanti centri culturali in Italia e in Europa vi possono invidiare – ha detto Fabrizio Somma –. È l’unione che fa la forza del CRS”, ha concluso.

Rottura con certo retaggio

“Per quanto ci riguarda, si sono fatti progressi maggiori nel campo della descrizione che in quello della spiegazione del passato. Tale interpretazione ha mosso i primi passi su questa nostra area in circostanze a dir poco sfavorevoli – premette il direttore del CRS, Radossi, e spiega: “Essa si basava su un retaggio teso innanzitutto a difendere interessi nazionali, per cui la presentazione della storia aveva una precisa connotazione pragmatico-politica che si prefiggeva di adeguare quanto più possibile gli argomenti storici alle sollecitazioni nazionali. La storia del nostro territorio si è trasformata gradualmente, e in parte appena di recente, in oggetto di interesse scientifico, lasciando ai margini gli scritti in odore di manipolazione nazionale e politica”. 
Dopo i radicali mutamenti nazionali e demografici provocati dall’esodo, a partire dagli Anni 60 l’attenzione maggiore degli studiosi croati e sloveni era rivolta alla storia della sfera culturale della nuova dominanza, in uno sforzo “di affermazione della sua priorità ed entrando così in nuovo polemico rapporto scientifico e nazionale con l’altra componente, quella italiana”.

Ritorni di storiografie nazionali?

È stato il CRS a indicare la via al cambiamento della specifica mentalità politicizzata nei confronti della storia regionale, della civiltà e dell’etnos italiani in particolare. 
“È un fatto che molte determinanti del microcosmo istriano non sono state neppure lontanamente oggetto di studi seri circa la conoscenza dei conflitti e della convivenza delle genti istriane etnicamente eterogenee. È proprio qui che si dovrebbero abbandonare completamente i vecchi postulati e le velleità rivaleggianti di dominazione, di appropriazione, di egemonia della storia e della cultura di un’etnia su quelle, ovviamente, di un’altra. È indubbio che l’attuale complessa situazione in cui vivono l’Istria, il Quarnero e la Dalmazia e in particolare il ripresentarsi dell’istigazione delle passioni e dei miti nazionali, potrebbero produrre un ritorno della storiografia al modello ‘nazionale’ del XX secolo, esponendole al pericolo di strumentalizzazioni ideologiche, quando anche non rasentino la minaccia per la cultura e la civiltà nostre – sottolinea Radossi –. Per noi è chiaro che non bastano le indicazioni metodologiche, se la visione storica del singolo non è sgombra da remore più o meno ideologiche. E queste, purtroppo, esistono e agiscono, checché se ne dica, ogniqualvolta si accede allo studio del cammino percorso dalla nostra civiltà regionale, non rimarcando le reali conquiste dell’emancipazione dell’essere umano, ma assegnando considerazione privilegiata, a prescindere dal contributo effettivo, al proprio popolo”.

Sempre più sradicati?

Per poter rispondere alle sfide del domani e creare condizione di vita più diginitose per tutti occorre allargare gli orizzonti, abbandonando ogni impostazione etnocentrica e di autocompiacimento delle conquiste, talvolta discutibili, attribuite alla propria comunità nazionale. “Si tratta di trovare il giusto equilibrio tra il riconoscimento e la valorizzazione di ogni alterità e le spinte integrazionistiche del mondo contemporaneo, adottando strumenti di acculturazione reciproca, che esaltino il contributo di ognuno e respingano ogni velleità egemonica. Purtroppo, la decimazione umana e l’emarginazione politica della componente romanza nel secondo dopoguerra, hanno intaccato pesantemente la sfera culturale veneta/italiana, riflettendosi anche sul graduale affievolimento della sua identità. Il travisamento irrazionale del nostro passato che ancor oggi ingombra i testi di storia e altra carta stampata, costituendo forma specifica e mirata di violenza sul nostro mondo reale, ha fatto dire a uno studioso che essere presenti come etnos su questo territorio per millenni, essere prodotto di una cultura plurisecolare, per non dire millenaria, e nel contempo trovarsi (come ci troviamo) sempre più sradicati, non è solamente un paradosso storico, ma anche una paurosa visione del futuro”, conclude Radossi.

«Memorie», tredici tasselli

Storia, arte, dialetto, economia e società, tematiche proposte con un approccio pluridisciplinare, una notevole larghezza di orizzonti e con il concorso di studiosi – accademici e “dilettanti” – con un’altezza scientifica che è testimonianza di eccellenza, come ha fatto notare Fulvio Salimbeni, lo storico che ha riassunto i contenuti della pubblicazione appena licenziata, che si dividono tradizionalmente in due sezioni, vale a dire “Memorie” e “Fonti e documenti”. La prima comprende i seguenti lavori: “Scoperta di tumuli dell’età del bronzo nei dintorni di Geroldia (Gradina presso Orsera)”, di T. Sadrić; “Le pitture murali di San Gerolamo a Colmo, alcune nuove proposte d’interpretazione”, di Nikolina Maraković; “La Madonna della Misericordia in Istria”, di Juraj p. Batelja; “Il compositore e le sue scelte poetiche: il caso di Fra Gabriello Puliti e i suoi poeti istriani”, di Ennio Stipčević; “Il complesso rapporto tra la città e i suoi rifiuti: l’igiene pubblica a Capodistria nei secoli XVIII e XIX”, di Rino Cigui; “Sulla frontiera. La percezione del Turco nella Dalmazia Veneta”, di Egidio Ivetic; “Il canonicato Angelini, nella storia di Rovigno”, di Gianclaudio de Angelini; “I tentativi di vendita e di restauro di fine secolo XVIII del Palazzo pretorio grisignanese. Contributo alla conoscenza degli ultimi anni di vita della ‘terra’ di Grisignana”, di Marino Budicin; “L’economia agricola istriana nei secoli XVIII e XIX. Il lungo cammino verso la modernizzazione”, di Denis Visintin; “Le strutture ospedaliere comunali e provinciali a Pola durante il governo austriaco”, di Raoul Marsetič; “La ‘questione’ del cimitero di Rovigno. Vicissitudini del trasferimento da Monte Alle Laste”, di Giovanni Radossi; “Contributo per una storia dei calighèri di Dignano in Istria”, di Paola Delton; e “Aspetti cultuali della festa di Sant’Eufemia a Rovigno d’Istria: la devozione alla Santa tra rito, musica e folclore”, di David Di Paoli Paulovich.

Toponimi, cognomi, tradizioni, carteggi...

Per quanto riguarda il capitolo “Fonti e documenti”, ci sono i seguenti contributi: “Appunti etimologici sul toponimo Zadar”, di Giovanni Rapelli; “I registri parrocchiali di Gallesano: analisi del più antico manoscritto (parte prima)”, di Matija Drandić; “Alcuni catastici dei boschi istriani del XVIII secolo”, di Slaven Bertoša; “Il carteggio Luciani-Millevoi” di Tullio Vorano; “La capra in Istria tra miti, tradizioni e ordinanze”, di Claudio Pericin; “Alcuni documenti sulla pesca dell’isola di Lesina sotto il governo austro-ungarico e durante l’amministrazione italiana”, di Ferruccio Delise; “Dodici cognomi istriani, quarnerini e dalmati”, di Marino Bonifacio; e “La tradizione paremiologica di Valle d’Istria”, di Sandro Cergna, quest’ultimo ritenuto forse uno dei più interssanti per la totalità degli aspetti trattati.





235 - Il Piccolo 08/06/14 L'Intervento - I maestri italiani in Istria missionari di cultura

L’INTERVENTO DI MARCO COSLOVICH

I maestri italiani in Istria missionari di cultura 

Il 21 giugno sulla facciata della scuola di Giurizzani verrà collocata una targa in ricordo dell’opera compiuta dai maestri italiani in Istria dal 1918 al 1952 e in particolare della maestra Giorgina Pellegrini che la istituì.
L’iniziativa è promossa dalla Famiglia umaghese e conta sulla disponibilità e appoggio del sindaco di Umago, del presidente del consiglio direttivo della scuola italiana, della scuola croata e di varie altre personalità, tra le quali le maestre Marya Purisic e Marisa Kodijlia. Libero Coslovich terrà, in quella occasione, un breve intervento. Come esule istriano e come insegnante, devo dire che non ho mai nutrito un particolare sentimento verso queste manifestazioni. Le ho spesso trovate retoriche e ancor peggio a volte contigue ad un sentimento di amor di Patria vagamente nostalgico non solo del tempo che fu, ma anche del “regime” che fu. E come non ricordare che spesso i maestri italiani sui confini orientali non furono ritenuti semplici maestri, ma strumenti di una cultura nazionalistica che si riteneva superiore a quella slava. Savina Rupel, ex deportata slovena di Ravensbruck, ricorda nel libro “storia di Savina” come il maestro italiano a Prosecco fosse durissimo con i ragazzi sloveni. In generale le vessazioni fasciste contro le componenti croate e slovene, non mi hanno mai permesso di guardare con occhi limpidi e benevoli l’operato dei maestri lungo i nostri ex-confini. Eppure come non ricordare il maestro Michele Pinnati di Petrovia dove mia madre (classe 1917) imparò a sillabare. Durante l’intervallo, ma che all’epoca si chiamava ricreazione, mia madre andava in soffitta a prendere una tazza di latte e una fette di pane raffermo per il maestro.
Infatti, i maestri e le maestre spesso vivevano a scuola, nel senso che vi alloggiavano. In non pochi casi venivano da altre zone del paese, anche con l’intento di amalgamare la componente nazionale dei confini. Ora non è una dimensione crepuscolare e deamicisiana da libro “Cuore” quella che qui amo ricordare. Non si tratta di questo, ma piuttosto del senso alto di sentire un mestiere che all’epoca era una vera e propria missione. Si tratta quindi nettamente di distinguere l’uso stravolto della cultura italiana che il regime e alcuni zelanti maestri fascisti fecero, con l’amore vero e profondo per la cultura e la lingua italiana. Sì perché era la lingua italiana quella che veniva difesa e diffusa e lo si può fare, lecitamente, liberalmente, civilmente, solo con l’amore per l’insegnamento e l’assoluto rispetto dell’altro, di chi è culturalmente diverso ed ha una altra identità. Ora, al di la di questi maestri di frontiera, la cultura italiana è una cultura essenzialmente umanistica, volta all’uomo, alla sua centralità. Questo è il suo carattere saliente se non unico e prevalente. È una cultura della pluralità, del senso laico del sentire accanto alla fede, della curiosità eclettica e nel contempo filologica, legata alla storia e alla filosofia e alla scienza sperimentale. In una parola alla cultura dell’apertura verso il mondo e non certo alla cultura del rigetto, del contrasto e dell’esercizio della propria superiorità. Se il fascismo ne fece un uso assolutamente distorto non è responsabilità storica dei nostri maestri. Se alcuni di essi ne interpretarono male i presupposti, tradendone le premesse, comunque non poterono, nemmeno volendo, vanificarne il senso del messaggio: pluralità e bellezza. Per questo finalmente mi sento di essere vicino al manipolo di quegli uomini e donne che ricorderanno i maestri italiani davanti alla scuola elementare di Giurizzani, la nostra piccola Eboli istriana. 


236 - Il Piccolo 12/06/14 Ronchi dei Legionari - "Ronchi dei Partigiani" al via una raccolta di firme
L’omonima associazione avvierà una petizione popolare per annullare
la denominazione “dei Legionari”. Su Facebook le adesioni sono già oltre 400

“Ronchi dei Partigiani” al via una raccolta di firme

di Luca Perrino

RONCHI DEI LEGIONARI L’idea è nell’aria ormai da mesi. Ma ora prende più corpo e in potrebbe prevedere anche un referendum popolare per arrivare al risultato finale. Come per la delibera del consiglio comunale che, nei mesi scorsi, ha cancellato la cittadinanza onoraria concessa nel 1924 a Benito Mussolini, ora si punta a rendere nullo anche il Regio Decreto che, il 2
novembre del 1925, avallò la richiesta del consiglio comunale, avanzata il 9 ottobre del 1923, di aggiungere a Ronchi la denominazione dei Legionari in omaggio all’impresa fiumana del 1919. L’associazione “Ronchi dei Partigiani”, ecco come si vorrebbe chiamare in futuro la cittadina, passa
all’azione. Dopo aver smosso le coscienze e avanzato le prime proposte attraverso gli ormai rituali social network e aver sostenuto la storica decisione del “parlamento” cittadino nel voler revocare la cittadinanza al Duce, ora guarda avanti. Come primo atto, ha messo in cantiere per sabato,
nel parco delle di Selz, un convegno storico, sociale e culturale sull’impatto che hanno avuto il regime fascista e la Repubblica Italiana sulla toponomastica locale e, in particolare, contro la denominazione dei Legionari di Ronchi. «Dopo aver ottenuto la revoca della cittadinanza
onoraria a Mussolini – sottolinea Luca Meneghesso -, adesso è il momento di mettere seriamente in discussione la denominazione dei Legionari e di tutto ciò che vi è connesso. Si tratta di una battaglia per la dignità e per l’antifascismo che sulla nostra pagina Facebook ha visto oltre 400 adesioni di diverse personalità del mondo della cultura e dello spettacolo, a sostegno della nostra iniziativa». Per analizzare e approfondire l’opera sistematica di rimozione e distorsione della storia locale a partire dai nomi dei luoghi in cui si vive, “Ronchi dei Partigiani” ha organizzato
sabato alle 16.30, con l’adesione di Anpi, Aned, dell’Istituto di studi storici Gasparini, dell’associazione Jadro, del circolo Arci Curiel di San Canzian, del circolo culturale e sportivo dell’Olmo e in collaborazione con la libreria la Linea d’Ombra e la casa editrice Kappa Vu, una “Giornata della cultura resistente”. Al centro il convegno che è stato intitolato “Cos’è il nome di un nome? La toponomastica a Ronchi e nella Venezia Giulia tra imposizione e mistificazione”. Il convegno vede tra i partecipanti Maurizio Puntin (esperto di toponomastica), Alessandra Kersevan (storica e editrice), Wu Ming1 e Boris Pahor (scrittori), Marco Barone (blogger,attivista) e Piero Purini (storico).


237 - Il Piccolo 08/06/14 Gli sloveni al voto sugli archivi di Tito
Gli sloveni al voto sugli archivi di Tito 

Referendum indetto per scongiurare possibili censure sui documenti. Sotto accusa le regole volute dal governo Bratusek 

di Stefano Giantin

Solo due settimane sono passate dalle elezioni per l’Europarlamento e la Slovenia torna già alle urne. Lo fa oggi per rispondere sì o no a un quesito referendario sulle nuove regole d’accesso ai documenti degli archivi di Stato, introdotte dal governo a gennaio. Regole che prescrivono tra le altre cose l’«anonimizzazione» dei dati personali sensibili nei documenti lì custoditi che contengano informazioni delicate sulle vittime ma anche su chi, al tempo del regime socialista, occupava posizioni di rilievo nelle organizzazioni responsabili della repressione del dissenso. Referendum abrogativo che è stato reso possibile dalla mobilitazione dell’Sds di Jansa, il partito d’opposizione più critico verso i potenziali effetti dei cambiamenti, sostenuto da sabato anche dai popolari dell’Sls. Cambiamenti che, per l’Sds, nasconderebbero solo il proposito di «bloccare» di fatto «l’accesso agli archivi» e ai documenti relativi ad agenti, collaboratori e attività della polizia segreta jugoslava, ha riassunto l’agenzia stampa Sta.
In pratica, si vorrebbe «proteggere chi ha spiato» alle spalle dei «propri concittadini», mettendo sullo stesso piano «vittime del regime e persecutori».

Una visione a grandi linee condivisa anche da Göran Lindblad, presidente delle “Piattaforma europea della memoria e della coscienza”. Già a febbraio, Lingblad aveva scritto al governo sloveno chiedendo che a «tutti sia garantito l’accesso agli archivi», unica via per «trarre l’appropriata lezione dagli orrori del passato». Se un ricercatore «deve attendere per due mesi» che i documenti richiesti vengano ripuliti dai dati sensibili «20 anni non basteranno per un singolo studio», ha denunciato invece il ricercatore Igor Omerza. Critiche che il governo uscente ha sempre rigettato con forza.
Non si tratta certo di serrare le porte degli archivi – dischiuse nel 2006 dal primo governo Jansa -, al contrario. La motivazione della norma che punta anche alla digitalizzazione del patrimonio documentario sarebbe solo quella di fare una selezione nell’accesso a dati e nomi sensibili, per proteggere la privacy. La Slovenia «avrà una legge rispettosa degli standard europei» e al contempo «consentirà l’accesso» ai documenti, «invito i cittadini a votare sì», ha chiesto Bratusek, mentre il numero uno dello “Zgodovinski arhiv” ha ricordato che solo lo 0,5% del totale dei materiali conservati riguarda la polizia segreta. Di questi, solo il 5% è oggi facilmente accessibile e con l’emendamento la quota salirà al 75%, ha poi specificato invece il ministro della Cultura, Grilc, aggiungendo che «il restante 25% diverrà consultabile dopo l’anonimizzazione». In pratica, si apre invece di chiudere, malgrado le denunce del centrodestra.

Rimane da vedere se gli sloveni si appassioneranno al complicato e divisivo tema. Perché sia valido il referendum, almeno il 20% degli elettori registrati dovrà presentarsi alle urne.

Si ringraziano per la collaborazione della Rassegna Stampa: L’Università Popolare di Trieste e l’Assoc. Nazion.Venezia Giulia e Dalmazia - ANVGD di Gorizia



 
RASSEGNA STAMPA MAILING LIST HISTRIA
 
a cura di Maria Rita Cosliani – Eufemia G.Budicin – Stefano Bombardieri

N. 916 – 06 Giugno 2014
Sommario



212 - La Voce del Popolo 02/06/14 Mailing List Histria onori ai vincitori (Vanja Stoiljković)
213 - La Voce del Popolo  27/05/14 Cultura - Concorso ML Histria - Dall'Istria a Fiume e giù fino a Cattaro (Ilaria Rocchi)
214 - La Voce del Popolo 22/05/14 Maestra Olga (Furio Radin)
215 - Il Piccolo 24/05/14 “Tutti per la Calle Larga” A Zara quasi 11mila firme (Andrea Marsanich)
216 - La Voce del Popolo 24/05/14 E & R - Adunata Alpini 2014 : Sezioni profughe in Patria di Zara, Fiume, Pola: «Vivi e morti sono qui»
217 - Il Piccolo 28/05/14 «Ragusa resta sotto tutela Unesco» (Andrea Marsanich)
218 - Il Piccolo 05/06/14 Torna la regata da Venezia a Cittanova  (p.r.)
219 - Pagine Ebraiche  23/05/14 Lesina, un'isola di solidarietà (Adam Smulevich)
220 - Il Piccolo 29/05/14 Gli eredi della Jugoslavia si spartiscono 24 milioni
221 - Il Piccolo 26/05/14 «Non fu l'esodo il movente della strage di Vergarolla» (Elisa Lenarduzzi)
222 - La Voce del Popolo 04/06/14 Il professor Franco Crevatin : Preferisco la formula di dialetto istriano»
223 - Il Piccolo 23/05/14 Zagabria assolve gli omicidi dell’Ozna (Andrea Marsanich)
224 - Il Piccolo 24/05/14 Geopolitica - Caracciolo: «La radice delle crisi odierne è balcanica» (Giulia Basso)





Rassegna Stampa della ML Histria anche in internet ai seguenti siti  :

http://www.arenadipola.it/
http://10febbraiodetroit.wordpress.com/
http://www.adriaticounisce.it/


212 - La Voce del Popolo 02/06/14 Mailing List Histria onori ai vincitori

Mailing List Histria onori ai vincitori

Vanja Stoiljković

Con la consegna dei premi del Concorso letterario della Mailing List Histria, si è conclusa ieri, con una cerimonia presso Palazzo Bradamante a Dignano, la XII edizione del Concorso. Gremita di gente, la sala spettacoli del sodalizio, decisamente troppo piccola per accogliere tutti gli invitati, i vincitori, i mentori e tutti gli interessati che hanno voluto prendere parte alla cerimonia di premiazione. A rompere il ghiaccio è stato il coro della CI locale, che, guidato dalla Maestra Orietta Šverko, ha proposto una serie di brani tradizionali dignanesi. A seguire, i bravissimi ragazzi del coro e del gruppo folcloristico della Sezione italiana della Scuola elementare di Dignano.

Un saluto, all’inizio della cerimonia, da parte del padrone di casa, Livio Belci, presidente del sodalizio dignanese, che ha innanzitutto voluto salutare i presenti, congratulandosi con tutti i vincitori. Si è rivolta poi al pubblico la vicezupano della Regione Istriana, Viviana Benussi, che ha colto l’occasione per ricordare che dallo scorso anno il Concorso si è arricchito di un riconoscimento, ovvero del Premio Speciale della Regione Istriana, che proposto dalla stessa Benussi, è rivolto non solamente agli alunni delle SEI, ma anche a coloro che frequentano le scuole croate e studiano l’italiano come seconda lingua. Il tutto con l’obiettivo di promuovere la multiculturalità quale realtà istriana.


Importanti parole di sostegno

Nel suo discorso, la vicesindaco della Città di Dignano, Rosanna Biasiol Babić, ha rivelato come si sia giunti alla conclusione di un percorso importante che ha visto partecipare numerosi alunni e docenti: un vero onore, quindi, per la Città, che ha da sempre riconosciuto l’importanza della salvaguardia della lingua e della cultura italiana, poter ospitarne il gran finale. 
A porgere il proprio saluto, pure il presidente del Senato della Repubblica Italiana, Pietro Grasso, che tramite lettera ha espresso ai partecipanti il suo sostegno all’iniziativa e il suo apprezzamento per quanti si impegnano a valorizzare e a promuovere la cultura istriana, fiumana, quarnerina e dalmata, di matrice italiana.
Ad inviare una lettera è stato pure Antonio Ballarin, presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, che ha ricordato come un popolo non ha futuro se non conosce e non conserva la propria identità: il concorso della MLH si muove proprio in questa direzione, ovvero si adopera per la tutela della lingua e della cultura italiana al di fuori dei confini nazionali.
Ben 216 i lavori pervenuti

È seguita poi la cerimonia di premiazione di tutti i vincitori all’edizione 2014 del Concorso, che è stata condotta dal presidente della Commissione di valutazione, Gianclaudio De Angelini, con l’aiuto di Gianna Belci, del sodalizio. Numerosissimi i lavori premiati, di un totale di 216 elaborati su cui hanno lavorato 346 studenti.
Ben 160 sono stati i lavori pervenuti dalle scuole elementari e più di 50 quelli inviati dalle medie superiori. Le scuole con il maggior numero di temi inviati sono state, per le elementari, la SEI “Galileo Galilei” di Umago con la sezione periferica di Bassania, con 51 temi, la SEI “Giuseppina Martinuzzi” di Pola con le sezioni periferiche di Sissano e Gallesano, con 32 temi, e le SEI di Fiume, dalle quali sono arrivati 21 temi. Per quanto riguarda le scuole medie superiori, la più attiva è stata la SMSI di Fiume, con 24 temi. A questa edizione del Concorso hanno partecipato anche tre Comunità degli Italiani, quella di Crevatini, la “Dante Alighieri” di Isola d’Istria e il sodalizio di Salvore.


Numerosi premi speciali

Oltre ai Premi ufficiali della sezione “A” – Mailing List Histria ed ai Premi ufficiali della sezione “B” – Associazione Dalmati Italiani nel Mondo, sono stati assegnati un Premio speciale alla memoria di Olga Milotti, un Premio Associazione per la Cultura fiumana istriana e dalmata nel Lazio, due Premi speciali Associazione Libero Comune di Pola in esilio, un Premio speciale Istria Europa, due Premi speciali Associazione Libero Comune di Fiume in Esilio, sette Premi speciali Famia ruvignisa, un Premio speciale Famiglia dignanese, sette Premi speciali Regione istriana, un Premio speciale Comitato Provinciale Gorizia, un Premio speciale alla memoria di Alessandro Boris Amisich.
E ancora due Premi Giuria (Regione Istriana), 27 Premi Giuria (Centro di Documentazione Multimediale della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata), 3 Premi Giuria (Associazione dei Dalmati Italiani nel Mondo), 26 Premi Simpatia, di cui 24 offerti dall’Associazione Libero Comune di Pola in Esilio. 
Non sono stati assegnati i tre primi premi ML Histria, Medie superiori, Lavori di gruppo; i tre primi premi Dalmazia in Croazia, Elementari; il terzo premio – Dalmazia in Croazia, Medie superiori; il Premio Medie superiori – Premio Speciale Famia Ruvignisa e il Premio Medie superiori, Lavori di gruppo, Scuole con lingua d’insegnamento croata – Premio speciale Regione Istriana.


Una manifestazione in crescita

Come ci è stato rivelato infine dal fondatore della MLH, Axel Famiglini, quest’anno si festeggiano i 14 anni dalla sua fondazione, che risale, appunto, all’aprile del 2000. Nel corso degli anni la MLH è cresciuta molto, tanto che se all’inizio questa svolgeva attività di carattere politico legato all’esodo, col tempo si è giunti pure all’introduzione di un concorso letterario. 
E tutto con lo scopo della tutela e della promozione della lingua e della cultura italiana, attraverso la ricerca storica e la raccolta delle testimonianze di vita vissuta, affinché ciò che rende uniche l’Istria, Fiume, il Quarnero e la Dalmazia non vada perduto per sempre a causa del trascorrere del tempo, ma venga invece tramandato alle giovani generazioni.

 
213 - La Voce del Popolo  27/05/14 Cultura - Concorso ML Histria - Dall'Istria a Fiume e giù fino a Cattaro

Dall’Istria a Fiume e giù fino a Cattaro

Ilaria Rocchi

La Mailing List Histria rende omaggio a Olga Milotti con un premio speciale in onore alla professoressa polese, già presidente della Comunità degli Italiani della città dell’Arena, membro fondatore della stessa MLH, “esempio carismatico di onestà intellettuale e morale, di grande garbo e umanità, nobile anima, che ha espresso una coraggiosa malinconia e nostalgia di memoria italiana nell’ambito attuale. È stata inestimabile testimone della verità”, si legge nel comunicato dell’associazione, che ha reso noti i nomi dei vincitori del concorso letterario 2014, riservato ai ragazzi delle scuole italiane dell’Adriatico orientale, promosso con il patrocinio dell’Associazione per la Cultura Fiumana, Istriana e Dalmata nel Lazio e dell’Associazione dei Dalmati Italiani nel Mondo. 

I riconoscimenti verranno conferiti domenica prossima a Dignano, con inizio alle ore 11.30. Seguirà, dalle ore 15 in poi, sempre il 1.mo giugno a Palazzo Bradamante, il IV raduno della MHL. Sono previsti i saluti di Axel Famiglini, fondatore della ML Histria, del presidente della Comunità degli Italiani di Dignano, Livio Belci, e del presidente della “Famiglia Dignanese”, Luigi Donorà. Nell’ambito dell’incontro verranno presentati il libro di Anita Forlani, “Costumi e tradizioni dignanesi”, il CD “Istria Addio”, realizzato dal Libero Comune di Pola in Esilio, e “L’arte giuliano- dalmata nel Lazio”, di Eufemia Giuliana Budicin. Chiuderà la manifestazione la musica del maestro compositore Luigi Donorà, nato appunto a Dignano.

Con il pensiero rivolto a Olga Milotti

Per quanto riguarda i vincitori del concorso letterario – che si prefigge di preservare e tutelare l’identità culturale istriana, fiumana, quarnerina e dalmata di carattere italiano in base allo spirito multietnico dei nostri tempi –, il premio speciale intestato alla memoria di Olga Milotti, scomparsa poco più di una settimana fa, è andato a 19 ragazzi della Comunità degli Italiani di Salvore, che hanno partecipato sotto il motto “Ribon”. Si tratta di: Andrea Lakošeljac, Leo Laganis, Jordan Marfan e Leonardo Vigini della scuola materna; Chiara Breščić e Mattea Glišić Rota della I classe elementare; Erika Vižintin ed Elian Conti della II elementare, rispettivamente Kevin Breščić, Giulia Brosolo, Lucio Laganis, Joan Marfan e Alex Radin della III e Timoti Cociancich, Federica Glišić Rota, Luca Vigini, Timothy Lakošeljac e Samanta Radešić della IV, nonché Luca Laganis della VI classe, guidati dall’insegnante Carmen Rota.

Elementari e medie superiori

Veniamo al concorso ML Histria nella categoria elementari: primo premio ad Anna Rosso (classe VIII, SEI “Vincenzo e Diego de Castro” di Pirano, insegnante Marina Dessardo), secondo premio a Gabriella Baković (classe VIII, SEI “Gelsi” di Fiume, insegnante Ksenija Benvin Medanić) e terzo a Lucas Skerbec (classe V, SEI “Belvedere” di Fiume, insegnante Roberto Nacinovich). 

Tra i lavori di gruppo, il podio più alto è andato ad Alessio Benussi, Andrea Blažević, Leo Bogdanović Vlah, Nereo Cafolla, Davide Jozić, Gabriel Lleshdedaj, Toni Massarotto, Marianna Pashmina Pellizzer, Kristian Tanushi, Timi Validžić e Laura Verdnik, allievi dell’VIII classe della SEI “Bernardo Benussi” di Rovigno (insegnante Ambretta Medelin), seguiti dai “sognadori” di Dignano, alias Chiara Bonassin, Elisabetta Borghetti, Eleonora Privrat, Marilena Privrat (classe II), Erica Ostoni (della II) ed Andrea Muraja (della IV), coadiuvati dalle insegnanti Fabiana Lajić e Liliana Manzin; sul gradino più basso, invece, Iva Biondić, Katia Makovac, Sara Miloš, Sara Mutapčić, Fabiana Piuka, Petra Grace Zoppolato (tutte della VII), Andrea Furlan, Massimo Pincin e Christian Špringer (dell’VIII) della SEI “Edmondo De Amicis” di Buie (insegnante Sandro Manzin). 

Tra gli studenti delle medie superiori italiane, trionfa la fiumana Nina Rukavina e dietro di lei la sua compagna di classe Martina Ban (entrambe della II della SMSI di Fiume, insegnante Emili Marion); terza Anna Frlič (classe I, Ginnasio “Antonio Sema” di Pirano, insegnante Dora Manzo). 

Dalmazia e Montenegro

Ad aggiudicarsi invece il premio dell’Associazione dei Dalmati Italiani nel Mondo per le scuole elementari del Montenegro sono state Jelena Popović (classe VII, SE “Srbija” di Antivari, insegnante Jadranka Ostojić), Matija Marinović e Doris Kordić, entrambe della classe IX della SE “Njegoš” di Cattaro (insegnante Gordana Franović). Il concorso per le medie superiori in Dalmazia ha visto l’affermazione – nell’ordine – del gruppo spalatino formato da Petrana Caktaš, Marija Čorić, Ena Kegalj, della classe IIIa del Liceo Linguistico Informatico “Leonardo da Vinci” (insegnante Jelena Boban) e quindi di Petra Jadrić (classe IIIa, medesimo indirizzo, scuola e insegnante); tra le SMS montenegrine, prima Vedrana Nikolić (classe IVg, SMS “Mladost” di Teodo, insegnante Tamara Božinović), secondo Miljan Krivokapić (classe III, Ginnasio di Cattaro, insegnante Slavica Stupić), terza Jelena Ljubojević (classe II, SMS “Mladost” di Teodo, insegnante Tamara Božinović).

Tutti gli «speciali»

Per quanto riguarda i premi speciali banditi dalle varie realtà dell’esodo, Denise Jurman (classe IV, SEI di Dignano, insegnante Marisa Chiavalon) conquista quello dell’Associazione per la Cultura fiumana, istriana e dalmata nel Lazio; 24 alunni della II classe della SEI “Giuseppina Martinuzzi” di Pola (Lorenzo Zanghirella, Dean Suligoj Valli, Andrea Delmonaco, Diego Sošić, Petra Ostović, Rebeka Jankulovski, Petra Kovačić,Tara Sladaković, Fabian Matošević, Hana Hubanić, Daniel Katačić, Mauro Belci, Diego Belci, Nandi Gruner Bajlo, Veronica Ravarotto, Paolo Castellicchio, Marko Cukon, Mateo Knežević, Antonio Orešković, Fabian Pamić, Dorotea Sellan, Nora Šijan, Ervina Škornjak e Aleksandar Ćupić, insegnante Rosanna Biasiol Babić) ed Elena Zukon Kolić (classe I, Liceo Generale, SMSI “Dante Alighieri” di Pola, insegnante Annamaria Lizzul) ottengono quello dell’Associazione Libero Comune di Pola in Esilio; a Chiara Kalebić (classe II, Liceo Generale, SMSI “Dante Alighieri” di Pola, insegnante Annamaria Lizzul) va quello di “Istria Europa”, mentre il premio speciale del Libero Comune di Fiume in Esilio finisce nelle mani di Luka Bukša (classe VI, SEI “Gelsi” di Fiume, insegnante Ksenija Benvin Medanić) e quelle di Carla Čupić (classe I, Liceo Scientifico – Matematico, SMSI di Fiume, insegnante Gianna Mazzieri Sanković). 

La “Famìa ruvignisa”, invece, ha promosso Alessio Giuricin (classe VII, SEI “Bernardo Benussi” di Rovigno, insegnante Vlado Benussi) e ha dato sei premi di partecipazione: a Elena Lucrezia Ćurić (classe IIIb, SEI “Giuseppina Martinuzzi” di Pola, insegnante Laura Lonzar Mušković), ad “Arcobaleno” (Tara Bernè, Dorotea Cerin, Martin Popović, Erika Vošten, Luka Zonta, classe III, SEI “Bernardo Benussi” – Sezione Periferica di Valle, insegnante Miriana Pauletić) a Timi Validžić (classe VIII, SEI “Bernardo Benussi” di Rovigno, insegnante Ambretta Medelin), a Leo Bogdanović Vlah (classe VIII, SEI “Bernardo Benussi” di Rovigno, insegnante Ambretta Medelin), a Dorian Macan (classe I, SEI “Bernardo Benussi” – Sezione Periferica di Valle, insegnante Miriana Pauletić), a Trinity Pancheri (classe II, SEI “Bernardo Benussi” – Sezione Periferica di Valle, insegnante Miriana Pauletić).

Il premio speciale della “Famiglia Dignanese” va a Lorenzo Privrat, Ian Čikada, Chiara Moscarda, Leonardo Piccinelli, Myriam Scabozzi della V, e a Paulina Moscarda della VI classe dell’elementare di Dignano (insegnante Manuela Verk). A incassare il premio speciale della Regione Istriana per gli allievi delle istituzioni scolastiche italiane sono Nora Đurić (classe VI, SEI “Giuseppina Martinuzzi” di Pola, insegnante Ingrid Ukmar Lakoseljac), il gruppo della SEI “Galileo Galilei” – Sezione periferica di Bassania (Chiara Breščić, Mattea Glišić Rota – I classe, Elian Conti, Erika Vižintin – II classe; Kevin Breščić, Lucio Laganis, Alex Radin, Alex Valentić, Joan Marfan, Giulia Brosolo, homas Rota – III classe; Timoti Cociancich, Federica Glišić Rota, Timothy Lakošeljac, Luca Vigini – IV classe, insegnanti Carmen Rota e Loretta Giraldi Penco), Adamandia Sofija Koželj Pashalidi (classe II, Liceo Generale, SMSI “Dante Alighieri” di Pola, insegnante Annamaria Lizzul) e Sara Perić e Mario Milotić (classe III – Liceo Generale della “Dante Alighieri” di Pola, insegnante Luana Moscarda Debeljuh). La Regione Istriana ha inoltre premiato anche i ragazzi delle istituzioni croate: Nikka Brajković (classe V, SE “Vladimir Nazor” di Rovigno, insegnante Branka Grzunov), Dina Bartolić (classe VI), Anamarija Guzijan (classe VII) ed Ela Pahor (classe VIII) tutte dell’elementare “Vazmoslav Gržalja” di Pinguente (insegnante Snježana Lovrinić), ed Elisa Sošić (classe III, Liceo Linguistico, SMS “Mate Balota” di Parenzo, insegnante Germide Minozzi). 

Il premio speciale alla memoria di Alessandro Boris Amisich, offerto dall’Associazione dei Dalmati Italiani nel Mondo, è stato attribuito a Jelena Penko (classe Ia, Ginnasio Generale, SMSI di Fiume, insegnante Gianna Mazzieri Sanković), quello del Comitato provinciale di Gorizia dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia a Matea Linić (classe IIIa, Ginnasio Generale, SMSI di Fiume, insegnante Emili Marion Merle). Inoltre, a insindacabile giudizio della giuria, riconoscimenti di partecipazione (offerti dalla Regione Istriana) per Valentina Lubiana (classe IIc, Istituto Professionale di Buie, insegnante Katarina Badurina) e Mia Belci (classe IIa, Liceo Classico del Collegio di Pisino, insegnante Sandra Sloković).

Riconoscimenti assegnati dalla giuria

Premi della giuria, messi a disposizione dal CDM – Centro di Documentazione Multimediale della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata, per: Matija Penca (classe VI, Comunità degli Italiani “Dante Alighieri” di Isola d’Istria, mentore Giorgio Dudine), Marko Čačić (classe VII, SEI “San Nicolò” di Fiume, insegnante Sara Vrbaški), Lara Kinkela (classe VI, SEI “San Nicolò” di Fiume, insegnante Sara Vrbaški), Marko Martinolić (classe VI, SEI “San Nicolò” di Fiume, insegnante Sara Vrbaški), Alba Bukša (classe VIII, SEI “Gelsi” di Fiume, insegnante Ksenija Benvin Medanić), Gabriel Tagliaferro (classe III, SEI “Giuseppina Martinuzzi” – Sezione Periferica di Sissano, insegnante Barbara Markulinčić), Stella Orzan (classe IV, SEI “ Edmondo De Amicis” – Sezione Periferica di Verteneglio, insegnante Fiorenza Lakošeljac), Krista Noelle Rajko (classe III, SEI di Dignano, insegnante Fabiana Lajić); il gruppo Manuel Peršić-Alba Rukonić-Alessandro Gregorović-Emanuel Capolicchio-Valentina Patrun-Eni Vukovič-Erika Pustijanac (classe I, SEI “Giuseppina Martinuzzi” – Sezione Periferica di Gallesano, insegnante Anna Giugno Modrušan), quello di Emily Alessio Kocmanić-Carlotta Coronica-Moira Đurđević-Elison Jakac-Gemma Lakošeljac Preden-Oscar Fattor Hlaj-Lara Ivošević-Stella Jugovac, Marko Modrić-Nicole Visković-Lana Ščulac-Lana Gaborov-Luna Krpan-Ema Krajcer (classe I, SEI “Galileo Galilei” di Umago, insegnante Maura Miloš), quello di Anna Mesaroš-Francesco Lakošeljac-Ines Juričić Polunić- Lara Villanovich-Maxim Filippov-Nicola Paljuh-Novak Milošević-Rafael Sinožić-Gabriel Tolj (classe II SEI “Galileo Galilei” di Umago, insegnante Svjetlana Pernić Ćetojević); le “Leggende” Michelle Rotar, Manuela Benvegnù, Mia Radešić, Maj Bisaki, Lara Manzin, Laura Alessio, Marianna Zugan, Kevin Deklić, Gabriel Nadal, Dominik Rabak Vukić, Linda Villanovich, Serena Coronica, Alex Ćetojević, Erik Kozlović ed Edoardo Gjini (classe IV, SEI “Galileo Galilei” di Umago, insegnante Ilenija Anić); quindi Laura Burolo e Karin Klabot (classe VIII, SEI “Galileo Galilei” di Umago, insegnante Elisa Piuca), Larissa Rota e Marianna Benčić (classe VIII, SEI “Galileo Galilei” di Umago, insegnante Elisa Piuca), Lana Maria Bernetič, Matej Koljesnikov, Thomas Marijanovič e Alex Smotlak (classe IV SEI “Vincenzo e Diego de Castro” – Sezione di Sicciole, insegnante Katja Dellore); Selina Toffoletti (classe I), Miriel Toffoletti (classe II), Lorenzo Orlandini (classe III), Beatrice Mellone (classe IV), Chiara Lepore, Elisa De Marchi (classe V), tutti della Comunità degli Italiani di Crevatini (mentore Nicoletta Casagrande); Romina Mihalič, Ajda Dujc, Alex Auber (classe VI), Metka Mihalič (classe VIII), Sara Gec e Karen Taurino (classe VI), tutti della Comunità degli Italiani di Crevatini (mentore Maria Pia Casagrande). E ancora: Eligio Boccali Ayrton, Sandi Božić, Alexander Brajković Maximilian, Filip Ištoković (classe I), Leo Božić Sparagna, Gordana Denić, Alex Flego, Enea Topani (classe II), Martina Biloslavo, Jessica Štokovac (classe III), Martina Matijašić, Paola Sertič, Dominik Savić (classe IV) della SEI “Edmondo De Amicis” – Sezione Periferica di Momiano (insegnanti Marino Dussich, Serena Kljajić, Morena Disiot Dussich); Tamara Ljesar, Lea Bujković, Lena Uzelac (classe IX, SE “Njegoš” di Cattaro, insegnante Gordana Franović), Kris Dassena (classe III, Comunità degli Italiani “Dante Alighieri” di Isola, mentore Giorgio Dudine), Nina Macuka (classe IIIa, Scuola Media Superiore di Economia di Pola, insegnante Silvana Čulić), Ani Čudina (classe Ia, Ginnasio Generale, SMSI di Fiume, insegnante Gianna Mazzieri Sanković), Astrid Popić (classe Ia, Ginnasio Generale, SMSI di Fiume, insegnante Gianna Mazzieri Sanković), Loris Flego (classe IIc, Istituto Professionale di Buie, insegnante Katarina Badurina), Massimiliano Bevitori (classe V, Comunità degli Italiani “Dante Alighieri” di Isola, mentore Giorgio Dudine), Martina Scalia (classe II, Comunità degli Italiani di Crevatini, mentore Maria Pia Casagrande).

Altri premi della giuria, assicurati dall’Associazione dei Dalmati Italiani nel Mondo, vanno a Martina Lekočević (classe VIIb, SE “Srbija” di Antivari, insegnante Jadranka Ostojić), Gianluca Pelonzi (classe I 2, Ginnasio di Cattaro, insegnante Slavica Stupić), Sanja Matković (classe III g1, SMS “Mladost” di Teodo, insegnante Tamara Božinović). 

Ai più piccoli, con simpatia

Premi “simpatia” ad Andrea Blažević (classe VIII, SMSI “Bernardo Benussi” di Rovigno, insegnante Ambretta Medelin) e 
Davide Jozić (classe VIII, SMSI “Bernardo Benussi” di Rovigno, insegnante Ambretta Medelin); ancora premi “simpatia” per i più piccoli (un libro, gli altri premi sono in denaro, con importi da 50 a 200 euro, ossia da 375 a 750 kune, più targa o coppa), questi dati dal Libero Comune di Pola in Esilio, a: Evan Paljuh, Deni Piutti e Antonella Drandić (classe I, SEI “Bernardo Benussi” – Sezione Periferica di Valle, insegnante Miriana Pauletić), Sara Rustja, Luana Penca, Timothy Dassena (Comunità degli Italiani “Dante Alighieri” di Isola, mentore Giorgio Dudune), Emanuel Capolicchio, Alba Rukonić, Manuel Peršić, Alessandro Gregorović (classe I SEI “Giuseppina Martinuzzi” – Sezione Periferica di Gallesano, insegnante Anna Giugno Modrušan), Lana Gaborov, Ema Krajcer, Nicole Visković, Elison Jakac, Maura Miloš, Moira Đurđević, Luna Krpan, Stella Jugovac, Lara Ivošević, Emily Alessio Kocmanić (classe I SEI “Galileo Galilei” di Umago, insegnante Maura Miloš), Chiara Križman, Antonio Bonazza, Michelle Delbianco, (classe I, SEI “Giuseppina Martinuzzi” – Sezione Periferica di Sissano, insegnante Barbara Markulinčić) e Nina Sirotić (classe Ia, SEI “Giuseppina Martinuzzi” di Pola, insegnante Loredana Franjul).

Dai racconti dei nonni a Cicerone

Un esercito in erba di scrittori, storici e cultori delle nostre tradizioni, che quest’anno si sono cimentati “trasversalmente”, su volere della ML Histria, con la traccia “I nostri veci ne conta” ovvero “I nostri nonni ci raccontano”, prevista in quasi tutte le sezioni e categorie. Nello specifico, poi, per i lavori individuali – a livello elementare – erano stati assegnati i temi “Se avessi la bacchetta magica” e “Storie d’amore o di dolore della mia terra, vicende in cui un sentimento non esclude l’altro”, mentre per i lavori di gruppi, oltre alle vicende narrate dai nonni, “A Roma il Colosseo o San Pietro, ma nel vostro posto natio, se vi guardate attorno, tra la natura e i monumenti che vi circondano troverete tante cose altrettanto mirabili... tanti motivi per amare la propria terra” e “Parlate delle vostre migliori vacanze: reali o immaginarie”. Per i ragazzi delle SMSI erano stati pensati ancora “Ci sono momenti in cui ascoltando la musica ci sentiamo in armonia col mondo che ci circonda; quali generi musicali, quali composizioni sceglieresti come colonna sonora nella contemplazione del paesaggio che ti circonda?” e “Prendete i vostri libri e le vostre penne, sono la vostra arma più potente. Un bambino, un insegnante, una penna e un libro possono cambiare il mondo. È il messaggio di Malala Yousafzai, la ragazza simbolo del diritto allo studio, a quali riflessioni ti portano le sue parole?”, in riferimento ai lavori individuali, nonché “‘Ignorare cosa sia accaduto prima della propria nascita, significa restare per sempre bambini’. Verifica se la conoscenza della storia della tua regione ti ha reso consapevole e fatto maturare come suggerisce questo pensiero di Cicerone” e “Le tradizioni sono molto importanti ma, in questo mondo che viaggia alla velocità della luce, quali sono per voi fondamentali e quali superate?”. I testi potevano essere redatti in lingua italiana o in uno dei dialetti romanzi parlati nel territorio.

Le finalità

Da aggiungere che l’Associazione per la Cultura Fiumana, Istriana e Dalmata nel lazio ha teso a premiare l’elaborato che al meglio ha valorizzato la permanenza della cultura istriana, fiumana, quarnerina e dalmata romanza di stampo autoctono; l’Associazione Libero Comune di Pola in Esilio ha messo in evidenza il miglior tema in concorso proveniente dalla Scuola elementare italiana “Giuseppina Martinuzzi” e dalla Scuola media superiore italiana “Dante Alighieri” di Pola e lo stesso lo hanno fatto il Libero Comune di Fiume in Esilio e la “Famìa Ruvignisa” per quanto concerne rispettivamente le istituzioni scolastiche italiane del capoluogo quarnerino e quelle del rovignese; il Comitato Provinciale di Gorizia dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia ha invece posto in risalto il lavoro che ha espresso al meglio la particolarità del mondo adriatico orientale. Il premio speciale “Istria-Europa” è stato creato da Lino Vivoda, direttore del giornale “Istra Europa”, per la SMSI “Dante Alighieri” di Pola, mentre quello della “Famiglia Dignanese” per la sezione italiana della Scuola elementare di Dignano. 
La ML Histria è sorta per preservare e tutelare l’identità culturale istriana, fiumana, quarnerina e dalmata di carattere italiano e per promuovere – nella consapevolezza dell’ineludibile realtà, che vede attualmente nella regione la prevalenza della componente slovena e croata – e far conoscere e la componente italiana ora minoritaria. Conseguentemente, cerca di valorizzare l’identità della Comunità nazionale degli Italiani in Slovenia, Croazia e Montenegro, sensibilizzando soprattutto i cittadini e i mezzi d’informazione italiani. A questo scopo sollecita la collaborazione di tutti per il superamento d’ogni anacronistica contrapposizione storica tra gli uomini e gli Stati europei di Italia, Slovenia, Croazia e Montenegro al fine di ricostruire insieme la storia, soprattutto il futuro, della regione nel pieno rispetto di tutte le culture in essa storicamente presenti. “La ML Histria riconosce pertanto la necessaria complementarietà di queste etnie – si legge nel programma – che un secolare percorso formativo, venutosi a distillare in quelle terre, ha visto unite in stretti rapporti d’interdipendenza dando vita ad uno ‘specifico culturale’ che, per la sua stessa natura, non può rinunciare a nessuna di queste componenti senza perdere parte significativa della sua originaria identità storica e culturale”.

 





214 - La Voce del Popolo 22/05/14 Maestra Olga
Maestra Olga 

Scritto da Furio Radin 

Olga Milotti, italiana e polesana, amata maestra e autorità indiscussa per molti esuli e rimasti, è stata l’icona dell’identità forte, della polesanità intesa come zoccolo duro di un “no pasaran” che, purtroppo, è passato già da molto tempo, di un sentimento intriso di molteplici sogni, malinconie e nostalgie, da farlo sembrare, a tratti, un progetto.
Ho voluto bene all’insegnante Olga, mia capoclasse alle medie inferiori, dalla quinta all’ottava. Noi alunni, la sentivamo tutti vicina. Italiana in una classe di italiani sempre più immersa in un mondo croato e jugoslavo.
Era una realtà di equilibristi, la scuola di quegli anni: maestri e insegnanti che si facevano in quattro per apparire in linea con il sistema e al contempo rimanere italiani.
Oggi può sembrare ridicolo, ma a quei tempi, gli italiani erano sottoposti a duplice verifica: ideologica, come tutti gli altri, ma anche civile, dato che non era scontato che tu, individuo italiano, facessi parte di quella società. Molti se ne erano andati, altri erano stati cacciati, molti continuavano a partire per l’Italia o per terre lontane, e agli occhi del potere, queste persone non erano degne di fare parte di una società in evoluzione, “progressista” come quella socialista jugoslava. E, perciò, gli italiani erano in permanente odore di scomunica.
Gli insegnanti prima di tutti, dato che i comunisti capivano, a loro modo, e dal loro angolo visuale, il valore della scuola.
Olga Milotti, come molti altri insegnanti, riusciva a trasmettere l’identità, senza contaminarla con l’ideologia, camminando sugli specchi. Ma lo faceva in modo speciale, con calore, passione, perseveranza. Apparteneva a una categoria di docenti ora in via di estinzione: quelli che vivono per la scuola e che con gli studenti hanno un rapporto personale, che ognuno sente come privilegiato. Un rapporto che si basa anche sulle emozioni, che non ci si vergogna di comunicare; e con le emozioni si trasmette la cultura, l’identità.
Molto più tardi, nei miei rapporti con Olga Milotti, ormai presidente della mia Comunità di base, si è intrufolato un fenomeno apparentemente strano, anche se abbastanza comune nei connazionali. Un meccanismo per il quale, pur condividendo in grandissima parte valori ed opinioni, il flusso della nostra comunicazione ha iniziato ad incepparsi, abbiamo incominciato a intavolare con troppa frequenza i pochi argomenti sui quali non eravamo d’accordo. In apparenza, pur nel reciproco rispetto, si è instaurato un disaccordo, anche se non si è mai capito su cosa, se non forse sull’intensità con cui alcuni problemi venivano posti.
Ora che Olga Milotti non c’è più, mi è chiaro che ho sempre continuato a vedere in lei la mia maestra. È così che l’ho sempre chiamata, ormai vecchio anch’io, ma bambino al suo cospetto.
È una maledizione per la maggior parte di noi non riuscire a dire le cose se non quando ormai è troppo tardi, e l’interlocutore non c’è più. Però mi dispiace tanto che non ci sia, e sarà per me molto strano non salutarla, oggi, perché era quasi sempre ai funerali che ci incontravamo, e a lei piaceva molto che le dicessi: eccoci qua, di nuovo nell’unico posto dove siamo ancora in maggioranza.
Con Olga Milotti indubbiamente se ne va un pezzo di quella Pola che amiamo, anche perché ormai non c’è più.





215 - Il Piccolo 24/05/14 “Tutti per la Calle Larga” A Zara quasi 11mila firme
I promotori dell’iniziativa civica hanno consegnato la petizione in Municipio  I consiglieri comunali dovranno esprimersi nella sessione di giugno 

“Tutti per la Calle Larga” A Zara quasi 11mila firme

di Andrea Marsanich 

ZARA Li hanno definiti antizaratini, anticroati e addirittura paladini dell'italianizzazione di Zara. Ma gli ideatori dell'iniziativa civica intitolata “Tutti per la Calle Larga“ sono andati avanti e in una sola settimana hanno raccolto la bellezza di 10 mila e 823 firme con le quali si chiede il ripristino dell'antico toponimo che dai tempi della Serenissima stava ad indicare la via centrale e più famosa di questa città dalmata. Come da noi già scritto, da quando la Croazia è diventata sovrana e indipendente (1991) questo simbolo di Zara è stato ribattezzato in Via Larga o Široka ulica in croato, nome che naturalmente non ha fatto presa tra gli zaratini e non solo tra essi. I responsabili dell'iniziativa, Tamara Šoletic, Nenad Marcin, Valter Pero, Boris Marin e Hrvoje Bajlo, hanno deciso coraggiosamente di farsi avanti, promuovendo la sottoscrizione della petizione in una città dove il nazionalismo croato è ancora sentitissimo e prova ne siano le pluriennali fatiche dell'Uniona Italiana (alla fine premiate) per avere dopo lunghi decessi un asilo infantile italiano. Senza badare agli “ultrà croati“ l'altro giorno le quasi 11 mila adesioni sono state consegnate dai promotori al presidente della Commissione comunale per la ridenominazione di vie e piazze, Rade Šimi„evi„, che ora ha l'obbligo di sottoporre la richiesta al consueto iter procedurale. Da palazzo municipale è subito arrivata la conferma che i consiglieri del parlamentino dovranno esprimersi sulla proposta nella sessione in programma il mese prossimo. Interessante rilevare come all'iniziativa non abbia aderito proprio il sindaco di Zara, l'accadizetiano Božidar Kalmeta (centrodestra), che però ha pubblicamente esternato di appoggiare la raccolta di firme a favore dello storico toponimo Calle Larga. «L'adesione è stata massiccia in quanto gli zaratini sono emotivamente molto legati a questo plurisecolare nome – ha dichiarato Boris Marin, meglio noto in città come Boro Postino – purtroppo ci hanno attaccato da molte parti, anche tramite i mass media, con accuse assurde e fuorvianti. La gente è però dalla nostra parte ed ha premiato gli sforzi del sottoscritto e dei miei colleghi». Giorni fa i responsabili di Tutti per la Calle Larga avevano manifestato ottimismo sul fatto che i consiglieri comunali voteranno a favore del ripristino, aggiungendo che i ragusei non vogliono neanche sentir parlare di cancellazione del toponimo Stradone o Stradun, mentre i fiumani si tengono ben stretto il loro Corso.





216 - La Voce del Popolo 24/05/14 E & R - Adunata Alpini 2014 : Sezioni profughe in Patria di Zara, Fiume, Pola: «Vivi e morti sono qui»
ADUNATA

Tra le migliaia di alpini anche una rappresentanza di esuli dalle nostre terre per rivivere la magia dell’incontro, la gioia della condivisione

Sezioni profughe in Patria di Zara, Fiume, Pola: «Vivi e morti sono qui»     

La magia si è ripetuta, come sempre. Quest’anno è toccato a Pordenone, per l’87.esima volta. Prima i colpi della gran cassa a segnare il passo. Poi le note squillanti della fanfara che trasmettono entusiasmo. Ed ecco un’onda di penne nere inizia ad avanzare sulle note della “33”, il loro inno ufficiale. Davanti a tutti il tricolore portato dal Gruppo Ufficiali e Sottufficiali in servizio.
A seguire i reduci di guerra con le loro medaglie e subito dietro le Sezioni Profughe in Patria di Zara Fiume - Pola recanti lo striscione “Gli Alpini dell’Istria della Dalmazia e del Carnaro vivi e morti sono qui!”. Un applauso fragoroso le accoglie mentre alle loro spalle sono già 70mila e forse più gli alpini di ogni età, provenienti da ogni dove, pronti a marciare tra le vie imbandierate. Una marea perlopiù grigioverde arginata, lungo il suo fluire ordinato e composto, da una cornice di folla plaudente e festante. Inneggiante a loro, agli Alpini e ai valori che da sempre essi incarnano e rappresentano: onestà, solidarietà, coraggio, amore per la Patria. “Alpini esempio per l’Italia” è il motto di quest’anno. La sfilata domenicale rappresenta però solo l’atto finale di ogni Adunata degli Alpini che, come ogni numero di magia, è composto da tre parti. La prima è “La promessa” e consiste nell’attesa dell’evento. La città designata si prepara, si organizza, si fa bella perché non vuole sfigurare, desidera offrire un palcoscenico degno dell’evento ma nel frattempo si interroga un po’ preoccupata su quali saranno le modalità e gli effetti di quell’invasione pacifica che subirà nei giorni a seguire.

Nel contempo, non solo in Italia, è iniziato il frenetico tam tam dei messaggi, delle telefonate, delle mail: “Tu ci sarai?”. ‘Allora ci vediamo?”. “Quando pensi di arrivare?”. “Come ai bei tempi allora...”. “Pordenone aspettaci, stiamo arrivando!”. La seconda parte è “La svolta”, come quando l’illusionista prende qualcosa di ordinario e lo trasforma in qualcosa di straordinario. In genere inizia il giovedì con l’arrivo dei primi esploratori, le avanguardie, le teste di ponte. Piantano le tende nei giardini pubblici, attrezzano le cucine da campo, mettono in fresco le birre e il vino. È solo il preludio all’invasione che segue nei tre giorni successivi quando 300-400mila persone tra alpini, famigliari, cittadini e curiosi danno vita ad uno spettacolo di folla ed entusiasmo che non ha eguali. Amici che si ritrovano, commilitoni che si riuniscono, nuovi contatti che si creano il tutto accompagnato da canti, sorrisi, pacche sulle spalle e qualche bevuta, quella sì. Il vino fluidifica le parole, scioglie i cuori, predispone al contatto ma non corrode gli animi. Tutto si svolge in un clima di gran festa. Pordenone sprizza gioia e partecipa soddisfatta. Ogni piazza è un coro, ogni parco un concerto. Il momento più toccante sabato alle 2 di notte, sotto il Municipio: una tromba intona “Il silenzio” per un compagno “andato avanti”, seguito dall’Inno di Mameli cantato col cuore e le lacrime da tutti i presenti. La domenica è il giorno del “Prestigio”, il terzo atto. Quella massa, fino a poche ore prima straripante e scomposta, si trasforma d’incanto in un ordinato e pacifico esercito di uomini (e donne) orgogliosi e fieri di marciare uniti, per dimostrare a tutti il loro attaccamento a quel cappello con la penna sotto cui hanno servito il proprio Paese, ognuno in modo diverso ma tutti con lo stesso spirito di appartenenza, solidarietà, amor di Patria. La sfilata inizia alle 8 di mattina quando su Pordenone splende un tiepido sole. Dalla Sicilia al Friuli sfileranno gli Alpini di tutta la penisola e andrà avanti ininterrottamente per 12 ore, per finire al buio, sotto la grandine, ma tra gli applausi del pubblico rimasto inchiodato sulle gradinate. Al termine ci si saluta. Un abbraccio, una foto, un’ultima pacca sulle spalle ed una promessa reciproca “Allora ci vediamo il prossimo anno, all’Aquila...”.
 Sten Stefano De Franceschi  prossimo anno, all’Aquila...”. Sten Stefano De Franceschi 144° SMALP 1.ma Compagnia





217 - Il Piccolo 28/05/14 «Ragusa resta sotto tutela Unesco»
Il ministero croato della Cultura smentisce le voci sulla perdita dello status di patrimonio dell’umanità 

«Ragusa resta sotto tutela Unesco»

di Andrea Marsanich 

RAGUSA (DUBROVNIK) Il ministero della Cultura croato ha voluto seccamente smentire le voci secondo cui la dalmata Ragusa (Dubrovnik) potrebbe perdere prossimamente lo status di città sotto tutela dell'Unesco. Nel comunicato diffuso l'altro giorno, il dicastero ha dichiarato che Ragusa continuerà a figurare nell'elenco dei Patrimoni dell'umanità, in cui è stata inserita nell'ormai lontano 1979. Nei giorni scorsi si erano rincorse le voci che parlavano di Unesco contraria al progetto che vedrà sul sovrastante monte Sergio la costruzione di un esteso campo da golf, con tanto di strutture ricettive di lusso. Alla presenza del golf resort raguseo si è aggiunto anche il continuo andirivieni in questi anni di un alto numero di navi da crociera. Da queste imbarcazioni – e praticamente ogni settimana – sbarcano migliaia di crocieristi che vanno a visitare la città di San Biagio, aggiungendo ulteriore confusione ad una località (42,6 mila abitanti) già congestionata dai turisti. Il ministero ha precisato che il progetto del monte Sergio non riguarda in alcun modo l'area in regime di tutela dell'Unesco, né i beni ritenuti Patrimonio dell'umanità. I dubbi sono venuti a galla di recente dopo la pubblicazione della proposta di bozza della competente commissione dell'Unesco, in cui si esortano le autorità locali di Ragusa a fermare i lavori di approntamento del “green“ e dei relativi villini, appartamenti, ristoranti e altro ancora, legati all'impianto sportivo. Contemporaneamente è stato chiesto all'amministrazione cittadina di presentare il piano di gestione e quello turistico riguardanti la presenza di navi bianche di fronte agli antichi bastioni ragusei. Nel rimarcare che il Piano regolatore e lo studio di impatto ambientale del Golf resort tengono in massimo conto quelle che sono le esigenze e priorità nel proteggere il patrimonio storico–architettonico della città, il ministero ha aggiunto che nella sessione di giugno a Doha della competente commissione dell'Unesco, gli esperti della Croazia spiegheranno quanto fatto e quanto si farà nel tutelare l'antico nucleo storico di Ragusa. Va ricordato all'uopo che dal 1991 al 1998, Ragusa si trovava nella lista del Patrimonio mondiale minacciato, quale conseguenza dei bombardamenti contro la città perpetrati dalle truppe serbo–montenegrine. Dopo anni di paziente e sapient* opera di restauro e recupero di quanto danneggiato (grazie anche al supporto degli esperti dell'Unesco), Ragusa è stata encomiata quale esempio di città dove la ricostruzione postbellica ha dato risultati più che lusinghieri.




218 - Il Piccolo 05/06/14 Torna la regata da Venezia a Cittanova
Dopo una pausa di dieci anni stasera parte la tradizionale “Transadriatica”
riservata alle barche a vela 

Torna la regata da Venezia a Cittanova 

CITTANOVA Dopo una pausa di dieci anni torna la Transadriatica a vela, sicuramente la regata più antica, avviata negli anni Settanta, che collega Venezia e Cittanova. Stasera alle 20.30 da Venezia partiranno 35 equipaggi, ma la traversata durerà fra le 10 e le 15 ore, a seconda delle condizioni del mare e del meteo. Rispetto alle edizioni precedenti la partenza sarà anticipata di alcune ore per motivi di sicurezza. L’iniziativa per il ripristino di questa tradizionale regata è partita dal club “Diporto velico veneziano” come illustrato da Vesna Ferenac, direttrice dell’Ente turistico di Cittanova, che assieme al Municipio e all’Autorità portuale fa parte dell’organizzazione della tappa istriana. «Abbiamo accolto con entusiasmo la proposta degli amici di Venezia - spiega Ferenac - Dopo il completamento del nostro porticciolo nautico, eravamo alla ricerca di una manifestazione che ci offrisse visibilità e la Transadriatica calza a pennello». Oltre alla parte agonistica, la regata avrà anche un aspetto familiare: la maggioranza degli equipaggi, infatti, sarà composta da intere famiglie. Alla regata viene abbinata la tradizionale serata delle capesante cittanovesi organizzate al mandracchio cittanovese. Sono per la precisione due serate nelle quali ci sarà posto anche per la degustazione di vini e altre specialità culinarie locali. Il tutto accompagnato da gruppi musicali e anche un torneo di bocce. Il viaggio di ritorno, invece, inizierà sabato alle 20.30. «Alla regata erano invitati anche gli equipaggi istriani - spiega Ferenac - per i quali sarebbe stato assicurato l’ormeggio gratuito, una settimana prima e una dopo la regata, nel centro di Venezia. Ma purtroppo nessuno si è fatto avanti». Il direttore dell’Autorità portuale di Cittanova, Sergio Stojnic, ricorda con una certa nostalgia delle prime regate, quando c’era un solo membro d’equipaggio: «La formula era stata poi modificata per motivi di sicurezza - ricorda aggiungendo alcuni aneddoti - Il record di partecipazione era stato di 85 imbarcazioni e, nei primi anni Novanta, la Transadriatica aveva assunto un carattere umanitario, con le imbarcazioni arrivate cariche di aiuti dall’Italia destinati alle popolazioni colpite dalla guerra». (p.r.)




219 - Pagine Ebraiche  23/05/14 Lesina, un'isola di solidarietà
Lesina, un'isola di solidarietà
È una delle mete più amate dai turisti: mare, natura selvaggia, un’emozione continua. L’isola dalmata di Lesina (Hvar in lingua croata), è un punto di ritrovo estivo conteso da migliaia di turisti da ogni dove. Le scorie, i dolori di un passato angosciante sembrano ormai lontani affogati in un cocktail nel corso e in una romantica passeggiata lungomare. A farli riaffiorare, assieme a una straordinaria vicenda di solidarietà che vede protagonisti gli abitanti dell’isola, è la testardaggine di Mario Viola, romano molto vicino alle vicende ebraiche, che con pazienza certosina è andato a scavare nei meandri più reconditi di una vicenda di cui sembrava essersi persa la memoria. Una grande storia di solidarietà nell’Adriatico infuocato dall’odio antisemita e in cui trovare un approdo, un rifugio sicuro dalle persecuzioni, è più di una assicurazione sulla vita. È la fine dell’autunno del 1942 quando, da Sarajevo e Mostar, arrivano sull’isola oltre 400 ebrei scampati ai nazisti e agli Ustascia, le forze collaborazioniste cui Hitler affiderà il governo del neonato Stato Indipendente di Croazia sorto con la complicità del fascismo. Sono sotto il controllo di un contingente dell’esercito italiano, che ha stanziato a Lesina una pattuglia composta da circa 100 soldati. Il comando del XVIII Corpo d’Armata, in base all’ordine emanato il 28 ottobre dello stesso anno, fa internare gli ebrei in alcuni alberghi dell’isola ritenendo questo dispositivo nient’altro che un compromesso accettabile in vista di una più ‘adeguata’ sistemazione nelle settimane successive. L’input, in regime di internamento, è infatti quello di mantenere una netta separazione tra abitanti del posto e prigionieri. Una situazione che, tuttavia, a Lesina sfuggirà quasi del tutto al controllo dei soldati italiani. Un po’ per la negligenza di alcuni, molto per il coraggio e l’umanità dimostrata dal giovane albergatore Tonci Milicic che non esiterà a prodigarsi per il benessere di ciascuno dei suoi ospiti e per allontanare, nei limiti del possibile, l’incubo di un futuro che si fa sempre più oscuro e tormentato. È il suo profilo, in particolare, ad emergere nella ricerca condotta in loco da Viola. Incuriosito da una testimonianza rilasciata al sito di Centropa da una delle “ebree di Lesina”, Vida Eskenazy, si muove immediatamente per comporre il puzzle di stimoli suscitati da quelle parole. A Centropa Vida e altri suoi congiunti hanno infatti raccontato quei giorni lasciando trasparire un affetto e una gratitudine mai venuti meno nel tempo. “Appena arrivati – spiega Vida, oggi scomparsa – fummo trasferiti nell’hotel di Tonci (l’hotel Slavija). Fu così gentile con noi. Gli italiani pagavano per il nostro alloggio ma lui andò ben oltre gli accordi e si impegnò a risolvere ogni possibile problematica. Ci ha lasciato piena autonomia, siamo diventati amici e abbiamo mantenuto questo rapporto anche dopo la guerra. Andavamo a trovarlo a Lesina e lui ricambiava recandosi in visita a Sarajevo e Zagabria dove molti dei ‘suoi’ ebrei erano tornati a vivere”. Per Mario, che è da 40 anni assiduo frequentatore di Lesina, questo è il segnale: è il momento di ottenere informazioni più precise. L’obiettivo è di tratteggiare ancora meglio la figura e le azioni di Tonci. La migliore fonte, pensa, devono per forza essere gli anziani di Lesina. Qualcuno avrà visto, qualcuno potrà raccontare. E così la ricerca ha inizio. Tre sono gli alberghi scelti dall’esercito italiano per internare gli ebrei: oltre al già citato Slavija, vengono individuati il Kovacic e l’Overland. Palazzi che oggi ospitano chi si può permettere una vacanza di sogno furono, oltre 70 anni fa, l’approdo temporaneo per centinaia di profughi che tornarono ad assaporare il bene prezioso della ‘normalità’. L’inizio, per Viola, non è dei più semplici: la storia, lo scorrere incessante del tempo, l’alternarsi di bandiere, guerre e difficoltà geopolitiche, sembra aver confinato le vicende in questione in un cassetto. Ma non si arrende e, a forza di colloqui e pause caffè, i tanti capitoli di questa storia iniziano a svelarsi nella loro profondità. Lo confermano le parole di alcuni testimoni come Sime Fio, bambino all’epoca dei fatti, che in una nitida testimonianza registrata ricorda la convivenza e le tante occasioni di incontro con gli ebrei giunti dalla terraferma. I suoi ricordi, e quelli di altri anziani, sono un fondamentale supporto per uno dei nipoti di Tonci, Prosper Maricic. Completamente all’oscuro dei meriti dello zio, Prosper si unisce a Viola nel lavoro di rielaborazione di un passato con il quale mai si era rapportato. Registra, ascolta, confronta. E decide, affinché niente più si disperda, di mettere assieme un documento che sintetizza ore e ore di approfondimenti. La testimonianza, inviata a Pagine Ebraiche in doppia lingua (inglese e croato), dà il senso di una prova di solidarietà che emoziona e commuove. Insieme alle parole arrivano anche alcune foto inedite. Una, pubblicata in pagina, ritrae Tonci e alcuni ebrei internati a Lesina in un momento di serenità. L’immagine, raccontano i testimoni, li immortala in occasione di una gita (ufficialmente vietata) in un’isoletta vicina. “È una foto che parla più di tante parole – racconta Viola – e che ci aiuta a capire la straordinaria umanità che caratterizzò l’impegno di Milicic. Si sarebbe potuto semplicemente attenere alle disposizioni e invece fu campione di generosità esponendosi anche a molti rischi e pericoli per la sua incolumità”. E così fecero anche altri abitanti di Lesina, che mantennero un rapporto con i loro ospiti: la prova più evidente la si ha con le tre unioni che sarebbero state successivamente celebrate. Prosper ha ricostruito tre matrimoni: Marica Bracanovic Baco che sposa l’ebreo David Altarac di Travnik, Lucia Luce Vucetic Babuk che sposa Otto Lusic (Sarajevo) e Ljubica Maljkovic che sposa Elias Konfortija (Sarajevo). Tutte e tre le coppie si trasferiranno in Israele appena finita la guerra. L’ultima, dopo alcuni anni, farà ritorno a Lesina. All’inizio dell’estate del ’43 la situazione cambia drasticamente e gli ebrei confinati a Lesina sono riuniti in nuovo punto di raccolta sull’isola di Arbe (Rab, in lingua croata). Le condizioni di prigionia sono molto dure, anche se esiste un minimo margine di autonomia che permette un contatto con le forze partigiane attive nella regione. Gli ebrei saranno protagonisti attivi di questa fase e, dopo l’otto settembre, prenderanno possesso del campo assieme agli altri prigionieri al grido di “Morte al fascismo”. Si uniranno poi ai gruppi di liberazione per affrancare la Croazia dall’incubo degli Ustascia. Tanti cadranno, altri riusciranno a veder compiuto il loro sogno di libertà. Mario Viola sarà a Lesina nei prossimi giorni per proseguire la ricerca e incontrare gli eredi della coppia Maljkovic‐Konfortija che fece ritorno in Croazia dopo l’aliyah. Con un obiettivo: aumentare la consapevolezza sulle attività di Tonci così da fargli conferire – in memoria – un pubblico tributo per la sua indole e il suo coraggio. “Tonci Milicic – spiega – è un eroe del Novecento e merita di essere riconosciuto come tale. L’emozione di aver dormito, inconsapevolmente, in uno degli hotel che lo videro al servizio di civili perseguitati, senza alcuna pretesa ma con la sola finalità di rendersi utile agli altri, è un qualcosa che porterò con me per tutta la vita”. È possibile contattare Mario Viola scrivendo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Adam Smulevich, Italia Ebraica, maggio 2014



220 - Il Piccolo 29/05/14 Gli eredi della Jugoslavia si spartiscono 24 milioni
Il Tribunale di Parigi scongela il “tesoretto” conservato al Credit Lyonnais accogliendo la causa intentata un anno fa dalla Banca centrale della Serbia 

Gli eredi della Jugoslavia si spartiscono 24 milioni

Secondo la formulazione proposta dal Fondo monetario internazionale l’eredità della Repubblica socialista federativa di Jugoslavia sarà suddivisa in quote tra i Paesi sorti sulle sue ceneri. L’accordo originario prevede così che il 16,39% vada alla Slovenia, il 36,52% alla Federazione jugoslava (Serbia e Montenegro), con la variabile che il Montenegro è oggi uno Stato indipendente, il 28,49% alla Croazia, il 13,20% alla Bosnia-Erzegovina e il 5,40% alla Macedonia. Il grosso della “torta” da spartire è costituito da un patrimonio immobiliare che qualche anno fa veniva stimato in 90 miliardi di dollari con sedi diplomatiche prestigiose come la rappresentanza di New York situata in un edificio della Quinta strada, all’altezza di Central Park. (m. man.)di Mauro Manzin wTRIESTE Il neanche tanto “caro estinto” è spirato 23 anni fa. Ma gli eredi, nonostante gli accordi di Vienna, ancora non sono riusciti a mettere le mani su tutto il patrimonio di quella che fu la Repubblica socialista federativa di Jugoslavia. L’illustre defunto ha lasciato un’eredità quantificata in oltre 100 miliardi di dollari nei quali è compreso un patrimonio immobiliare stimato sui 90 miliardi sempre di bigliettoni verdi made in Usa. Nel tesoro ci sono anche 6 miliardi di dollari delle riserve valutarie della Banca popolare dell’estinta Jugoslavia. E in tempi di crisi come questi mettere le mani su liquidità può costituire una grande boccata d’ossigeno per i disastrati bilanci statali di Slovenia, Croazia, Serbia, Montenegro, Bosnia-Erzegovina e Macedonia, gli eredi di cotanto “defunto”. In questo senso a predicare la buona novella è il Tribunale di Parigi che ha sentenziato a favore dello scongelamento di 24,47 milioni di euro tenuti nelle casseforti del Credit Lyonnais. Orbene alla Slovenia spetteranno, in base proprio agli accordi di Vienna (vedi cornice a fianco), 3,9 milioni di euro più gli interessi fin qui maturati. L’Istituto di credito francese Credit Lyonnais aveva congelato i beni dell’allora Jugoslavia negli anni Novanta quando era ancora incerto chi sarebbe stato l’erede legittimo della “creatura” di Tito. Non dimentichiamo che nella primissima fase della dissoluzione la Federazione Serbia e Montengro guidata da Slobodan Miloševi„ ostinatamente si autoproclamava unica erede della Repubblica socialista federativa di Jugoslavia. Eppoi a confermare il congelamento del denaro giunsero anche le sanzioni emanate dalle Nazioni Unite sul capo proprio della Jugoslavia di Miloševi„. Credit Lyonnais poi si è rifiutato più volte di scongelare la ragguardevole somma di denaro senza una precisa sentenza o una scrittura legale con tutti i crismi. Per questo motivo la Banca centrale della Serbia ha intentato nel 2013 una cuasa al Tribunale di Parigi, causa alla quale si sono spontaneamente unite anche le banche centrali degli altri Paesi ereditieri. E la vittoria giudiziaria è stata piena. Il Tribunale parigino, infatti, ha intimato al Credit Lyonnais non solo di restituire il denaro, 24,47 milioni di euro come dicevamo, agli ora legittimi eredi della defunta Jugoslavia, ma di pagare i relativi interessi e i danni fin qui subiti nonché il pagamento delle spese processuali. Ma per gli eredi ci sono ancora tanti motivi per litigare. Ricordiamo solamente i due miliardi di dollari in crediti esigibili dalla Russia (che se ne è fatta carico ereditandoli a sua volta dall’ex Unione sovietica) e 600 milioni di dollari in 42 tonnellate di lingotti d’oro depositati nella Banca di Basilea assieme a un cospicuo pacchetto azionario costituito da almeno 8mila cedole.




221 - Il Piccolo 26/05/14 «Non fu l'esodo il movente della strage di Vergarolla»
Il libro dello storico Gaetano Dato apre nuovi scenari su quanto accadde a Pola
nel 1946. Due le piste inedite suggerite, tra cui quella monarchico-fascista 

«Non fu l’esodo il movente della strage di Vergarolla»

Il libro di Dato spariglia le carte sulla strage di Vergarolla a cui 6 anni fa sembravano aver dato una risposta Fabio Amodeo e Mario J. Cereghino: in un documento scovato negli archivi inglesi, si affermava che la strage era stata voluta e pianificata dall’Ozna, la polizia segreta di Tito. L’informativa indicava anche il nome del possibile attentatore: Giuseppe Kovacich. Conclusioni che Dato non condivide: «Non ho trovato elementi che mi portino a sostenere la stessa tesi: la descrizione di Kovacich non corrisponde a quella degli investigatori e niente lo collega a Pola. In più l’informativa in questione era considerata “di scarto”».

di Elisa Lenarduzzi

La strage di Vergarolla, che il 18 agosto 1946 provocò la morte di 63 persone e centinaia di feriti, tutti civili, non fu voluta da Tito per provocare l’esodo degli italiani da Pola, come di fatto avvenne l’anno successivo. L’esodo sarebbe stato solo una conseguenza secondaria dell’attentato. La verità sul movente e sugli autori dell’attacco terroristico, avvenuto mentre intere famiglie si trovavano sulla spiaggia per assistere alla gara natatoria “Coppa Scarioni”, sarebbe ancora impossibile da stabilire con chiarezza, anche se su quel tragico evento emergono due nuove piste, del tutto inedite, destinate provocare non poco scalpore.

A quasi 70 anni da uno degli episodi più drammatici del dopoguerra italiano, a offrire una nuova verità è lo storico Gaetano Dato, ieri protagonista a èStoria assieme ad Anna Vinci, con la quale ha tracciato un quadro del complesso contesto storico nel quale si inserisce la strage di Pola, a cui ha dedicato il libro “Vergarolla 18 agosto 1946. Gli enigmi di una strage tra conflitto mondiale e guerra fredda”, edito dalla Leg. Dato, su impulso del circolo “Istria”, ha trascorso gli ultimi due anni immerso negli archivi di Washington, Londra, Zagabria e Roma, confrontando dati e versioni ufficiali, senza disdegnare la stampa dell’epoca, cercando di tirare le fila su quanto accaduto, anche tenendo conto della complessità del quadro internazionale di quegli anni che separarono la fine della Seconda guerra mondiale all’inizio della Guerra fredda. Ne è emerso un libro che non regala verità assolute, ma al contrario apre nuovi scenari. 

L’unico dubbio che sembra essere dissolto è quello che per decenni ha accompagnato la verità sulla strage: fu un incidente o un attentato? «I documenti degli investigatori dell’epoca - la polizia civile e quella militare che indagarono sul fatto - parlano chiaro: le 28 mine accatastate sulla spiaggia non potevano esplodere senza un detonatore» ha spiegato Dato. 

Nonostante la strage di Vergarolla sia da sempre ritenuta il simbolo dell’avvio dell’esodo da Pola, però, lo storico sostiene che non fu quello il movente dell’attentato, ma solo una sua conseguenza secondaria. «In quegli anni - ha spiegato - in Istria stava nascendo una guerriglia italo-croata a bassa intensità: solo la settimana prima della strage, a Pisino vennero uccisi alcuni soldati titini».

Una delle ipotesi, quindi, è che furono sì gli jugoslavi a far esplodere le bombe, ma «per bloccare l’insurrezione italiana in Istria in chiave anti-croata, tra l’altro sostenuta dallo stesso De Gasperi e dal generale Cadorna». Ci sarebbe, però, anche una seconda pista che secondo Dato non sarebbe da escludere: quella che vedrebbe nei monarchici e neofascisti italiani i veri autori della strage. «Il loro intento sarebbe stato quello di provocare una guerra tra Stati Uniti e Jugoslavia, della quale loro avrebbero approfittato per riportare il Re e la dittatura in Italia».

Gaetano Dato presenterà le sue tesi a Roma, alla Camera dei Deputati, il prossimo 13 giugno, assieme alla deputata Laura Garavini per chiedere che l’Italia, attraverso una commissione di storici indipendenti, faccia chiarezza una volta per tutte su quel drammatico 18 agosto 1946. 




222 - La Voce del Popolo 04/06/14 Il professor Franco Crevatin : Preferisco la formula di dialetto istriano»
Preferisco la formula di dialetto istriano» 

Il professor Franco Crevatin è uno dei maggiori studiosi della linguistica dell’istroveneto. Di origine istriana, docente alla Scuola Internazionale per Interpreti e Traduttori dell’Università degli Studi di Trieste, nella sua vita di studioso ha fatto di tutto, si è occupato dei dialetti italiani, in particolare dei dialetti istriani ma anche di greco, latino, sanscrito, di egiziano antico e di lingue africane. Per oltre trent’anni è stato un mese all’anno in Africa, a studiare le lingue. Ha scritto pure un atlante linguistico dei dialetti sloveni dell’Istria. Ciò che interessa a Franco Crevatin è il rapporto che intercorre tra la lingua e la cultura. 

“Il dialetto istroveneto nasce da due genitori – premette Franco Crevatin –.
Da una parte c’è il dialetto di Venezia, che raffigura il modello acquisito dalle popolazioni istriane. Venezia rappresentava, infatti, un sistema che non era solo politico, ma anche economico e culturale. Inevitabile che la lingua che Venezia esportava si affermasse con facilità. Tuttavia, la ‘mamma’ dei nostri dialetti erano le parlate dell’Istria più antiche rispetto alle ‘dedizioni’ delle varie cittadine a Venezia. Questi dialetti erano di tipo italiano nordorientale, che non appartenevano alla famiglia veneziana. In tutti i nostri dialetti sono presenti le cicatrici di questi matrimoni, sia dalla parte della mamma sia da quella del padre. In altre parole i nostri dialetti sono veneziani, ma conservano ancora sempre esempi dei dialetti adoperati nel passato”.

È corretto chiamarlo dialetto istroveneto?

“Se proprio si vuole, è corretto. Personalmente preferisco la formula di dialetto istriano”.

Quanto è autoctono il dialetto istroveneto rispetto alle parlate neolatine e romanze che hanno interessato l’Istria, come l’istrioto?

“L’istrioto si parlava nell’Istria meridionale. In quella settentrionale si parlavano dei dialetti italiani nordorientali che non erano di matrice veneziana. Ad esempio, nel retroterra di Isola, il recipiente con cui si porta da mangiare il pranzo al contadino che lavora in campagna si dice ‘cialdina’. È palesemente una parola pre-veneziana, che si ricollega addirittura al Friuli, dove la parola ‘ciald’ significa caldo. Quindi serviva, appunto, a portare il cibo caldo. Esempi di questo genere ne abbiamo a decine e rappresentano le influenze da una lingua all’altra. Ossia cicatrici delle antiche parlate. E su queste si è innestato il veneziano”.

Come l’istroveneto è riuscito a prevalere su queste parlate?

“È prevalentemente un fatto di ordine culturale. Mi spiego. Quando il musicista di Pirano, Giuseppe Tartini, volle approfondire la propria ispirazione, dove andò? Si recò nel Veneto, perché in quel contesto epocale era la patria della musica. Allo stesso modo nel costruire una casa che non fosse un edificio colonico, quale modello architettonico si seguiva? Quello veneto. E attraverso l’amministrazione è ovvio che la nostra gente accolse quella che era la parlata della Serenissima, come oggi noi abbiamo recepito l’italiano. È probabile poi che molti, tra le quattro mura di casa, continuassero a parlare il proprio più antico dialetto. Però quando avevano a che fare con gli uffici, con l’ambiente pubblico, adoperavano il veneziano. E dal pubblico esso è rifluito al privato. È un fenomeno d’evoluzione assolutamente normale”.

Come s’inserisce in questo schema il fiumano, considerato che la città non è mai stata dominio di Venezia?

“Venezia non volle mai imporre né la propria cultura né la propria lingua nelle terre conquistate o amministrate. L’unica cosa che la Repubblica desiderava era il legno per le proprie navi, che la gente pagasse le tasse, e, eventualmente, che prestasse servizio militare. Nell’Adriatico, in Istria, Dalmazia, coste dell’Albania e Grecia, il veneziano rappresentò la lingua internazionale per eccellenza. Moltissimi lo recepirono come strumento che legava genti diverse. Basti ricordare il vecchio proverbio ‘Se ti vol andar del Suldan (Sultano, ndr) parla venezian’. Era un proverbio che rispecchiava la vera realtà. Tantissime parole veneziane si trovano in Grecia. Non sono state imposte, ma fanno parte delle dinamiche culturali della storia. A Fiume è accaduta la stessa identica cosa”.

Praticamente qualcosa di importato, non indigeno?

“Dal punto di vista della lingua il concetto d’indigeno non esiste. Il friulano è una parlata indigena? Non lo è, perché deriva dall’occupazione romana del Friuli. Non esiste l’indigeno. Le parlate non sono indigene, ma hanno, invece, una continuità nei secoli passati rispetto ad altre”.

Il Festival dell’istroveneto?

“È una bella iniziativa. Io credo che il nostro dialetto sia una marca identitaria. Non una marca che noi possiamo portare all’occhiello della giacca, noi e solo noi. Ma continua a essere qualcosa di internazionale. Per cui, un rovignese, un fiumano, un chersino parlando questo dialetto e che gira per tutta l’Italia nordorientale capisce ed è capito. Non è una cosa da poco”.

Siamo purtroppo testimoni della lenta e inesorabile scomparsa dell’istroveneto. Che cosa si può fare per la sua salvaguardia?

“Purtroppo non è possibile tutelare lingue, dialetti e parlate dall’esterno.
Non si può neanche insegnarlo a scuola perché tutto ciò che viene portato negli ambienti scolastici è di solito disprezzato. Occorre la partecipazione convinta della gente che condivide questa parlata. A mio parere l’identità linguistica e culturale italiana sta mutando. La prima cosa da fare è creare occasioni di coagulo sociale ed economico per i giovani. In altre parole, che si sentano sé stessi in una realtà che consenta loro di vivere, produrre e di programmare il loro futuro. Ma non come farfalle di una collezione di oggetti da museo, ma come persone vive di una società attiva. Quindi, prima di tutto, economia e società, e poi arriverà anche la lingua”.




223 - Il Piccolo 23/05/14 Zagabria assolve gli omicidi dell’Ozna
Il titino Boljkovac di 94 anni, accusato della morte di 21 civili a guerra finita, se la cava. Il giudice: «Crimini frutto del sistema» 

Zagabria assolve gli omicidi dell’Ozna

di Andrea Marsanich 

ZAGABRIA Verdetto assolutorio per mancanza di prove. È l'esito del processo di primo grado, svoltosi al tribunale regionale di Zagabria, nei riguardi del 94.enne Josip Boljkovac, accusato dalla Procura statale di avere ordinato l'arresto e la successiva liquidazione di 21 civili di Duga resa e dintorni (a sud di Zagabria), crimini commessi subito dopo la conclusione della Seconda guerra mondiale. All'epoca, l'allora 25.enne Boljkovac era il responsabile della sezione di Karlovac dell' Ozna, il Dipartimento per la sicurezza del popolo, i famigerati servizi segreti militari jugoslavi. Secondo il presidente della corte, giudice Tomislav Juriša, i crimini furono effettivamente commessi ma «erano il frutto di quel sistema di 70 anni fa e non la conseguenza del comportamento di un singolo». Boljkovac, indebolito dagli anni e da acciacchi vari, non si è presentato a quella che è stata definita la prima sentenza nei riguardi di un delitto partigiano dopo il secondo conflitto mondiale. Anche nell'ultima udienza, quello che fu il primo ministro dell'Interno della Croazia indipendente e sovrana e per un certo tempo stretto collaboratore del presidente croato Franjo Tudjman (deceduto nel 1999), aveva dichiarato di non essere responsabile di quanto gli veniva addebitato. «Non sono colpevole – così Boljkovac – e resto dell' avviso che il processo nei miei riguardi sia un tentativo per sviare l' attenzione da quelli che sono i reali problemi della Croazia». Secondo il giudice Juriša, al tempo delle liquidazioni – perpetrate tra il 7 maggio e la metà di giugno del 1945 – Boljkovac si trovava ricoverato in ospedali per problemi di salute e non avrebbe potuto ordinare l'uccisione di 21 civili, tutti accusati di avere collaborato con il regime ustascia di Ante Pavelic, nemico acerrimo dei partigiani di Tito. L'avvocato di Boljkovac, Anto Nobilo, ha dichiarato che si attendeva una simile sentenza in quanto nessun testimone ha tirato fuori prove che potessero inchiodare il suo assistito. «Voglio ricordare – ha aggiunto il noto avvocato – che si tratta del primo verdetto riguardante un appartenente alle forze antifasciste della seconda guerra mondiale e mi riferisco a tutta l' Europa». La Procura statale di Zagabria, che ha annunciato l'intenzione di ricorrere in appello, era certa invece di avere presentato prove inequivocabili a carico di Boljkovac, «uomo che aveva un'autorità illimitata – questa l'accusa – e il potere di vita e di morte su tantissime persone. Boljkovac ordinò l' uccisione dei civili, attuata dagli appartenenti alla I brigata croata dell'Esercito popolare di liberazione jugoslavo, con le vittime che furono sepolte in località Vidanka Curak, nei pressi di Duga Resa». A causa dei crimini commessi dai partigiani jugoslavi, in Croazia sono state denunciate una trentina di persone, in gran parte deceduti o irreperibili.



224 - Il Piccolo 24/05/14 Geopolitica - Caracciolo: «La radice delle crisi odierne è balcanica»
Caracciolo: «La radice delle crisi odierne è balcanica» 

di Giulia Basso 

TRIESTE La radici delle crisi geopolitiche di oggi sono balcaniche: non solo perché la prima guerra mondiale è scoppiata come conseguenza delle guerre balcaniche e dell’attentato di Sarajevo, ma soprattutto perché quella che a seguito della storia recente della “polveriera d’Europa” è stata definita balcanizzazione, la frammentazione degli Stati in entità sempre più piccole ed etnicamente connotate, è un fenomeno che, anziché regredire sulla spinta di tendenze europeistiche, è tuttora in piena espansione. Per Lucio Caracciolo, direttore di Limes e uno dei massimi esperti italiani di geopolitica - ieri a Trieste per una conversazione organizzata dall’Associazione Amici del Caffè Gambrinus e dal Centro Studi di Diritto Comparato sul tema “Europa 2014 – 1914: l’eredità dei grandi imperi” - Trieste può essere considerata un osservatorio privilegiato alla frontiera di uno spazio fortemente balcanizzato. «Con la fine della Prima Guerra Mondiale e il collasso contemporaneo di quattro grandi imperi – spiega Caracciolo – si aprì il vaso di Pandora delle balcanizzazioni. Proprio da Trieste si snodano due “itinerari della balcanizzazione”, che raccontiamo in questo numero di Limes, uno verso est e uno verso sud, per dimostrare come partendo da qui si incontrino solo frontiere contestate, dal Golfo di Pirano al Donbass ucraino. La balcanizzazione è basata su un principio: perché io devo essere in minoranza nel tuo Stato se tu puoi esserlo nel mio?». Anche l’ingresso nell’Unione Europea, dice Caracciolo, è stato vissuto dalla Slovenia prima e dalla Croazia poi come un modo per distinguersi dai vicini.
E se l’euroscetticismo non attecchisce nei Paesi entrati di recente nell’Ue, Slovenia e Croazia, Romania e Bulgaria, è anche perché questi stati hanno potuto attingere ai fondi europei in maniera consistente. Pure il fatto di non avere ancora l’euro, Slovenia esclusa, smussa le polemiche eurofobe. 

Si ringraziano per la collaborazione della Rassegna Stampa: L’Università Popolare di Trieste e l’Assoc. Nazion.Venezia Giulia e Dalmazia - ANVGD di Gorizia




 
RASSEGNA STAMPA MAILING LIST HISTRIA
 
a cura di Maria Rita Cosliani – Eufemia G.Budicin – Stefano Bombardieri

N. 915 – 21 Maggio 2014
Sommario


202 - La Voce del Popolo 10/05/14 Concorso letterario della ML Histria avrà luogo a Dignano, quest'anno sono in gara 380 ragazzi (Roberto Palisca)
203 - La Voce del Popolo 19/05/14 Pola - Esuli: «Non è poca cosa essere tornati a casa»
204 - Il Piccolo 16/05/14 Gli esuli tornano a Pola e premiano "Magazzino 18" (p.r.)
205 - La Voce del Popolo 19/05/14 Nel ricordo di Olga Milotti (Ester Sardoz Barlessi)
206 - La Voce del Popolo 20/05/14 Pola -  Non ci stancheremo di dire: «Grazie Olga» (Nelida Milani  Kruljac) 
207 - Il Piccolo 14/05/14 Gorizia - Lettera di Romoli al presidente del Consiglio: «Sia fatta chiarezza su quei tragici giorni del 1945» (mb)
208 - Il Piccolo 13/05/14 Zara si ribella e rivuole la sua Calle Larga (Andrea Marsanich)
209 - La Voce del Popolo 10/05/14 L’Istria nell’Euregio Senza Confini (Lara Musizza)
210 - Il Piccolo 18/05/14 La nostalgia di Tito esplode a Fasana
211 - Il Piccolo 12/05/14 Zagabria entrerà in Schengen nel 2015 (Mauro Manzin)


Rassegna Stampa della ML Histria anche in internet ai seguenti siti  :
http://www.arenadipola.it/
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http://www.arcipelagoadriatico.it/
202 - La Voce del Popolo 10/05/14 Concorso letterario della ML Histria avrà luogo a Dignano, quest'anno sono in gara 380 ragazzi

La cerimonia di premiazione dei vincitori della 12.esima edizione della gara avrà luogo il l.mo giugno a Dignano

Concorso letterario della ML Histria   quest’anno sono in gara 380 ragazzi

A cura di Roberto Palisca

Sono scaduti nei giorni scorsi i termini di tempo previsti per la partecipazione alla 12.esima edizione del tradizionale concorso letterario bandito dal gruppo di discussione in Internet Mailing List Histria e destinato agli allievi delle scuole italiane e ai ragazzi che frequentano le Comunità degli Italiani di Croazia e Slovenia che conoscono la lingua italiana o il dialetto locale di origine veneta ed istriota, e da quanto apprendiamo dai promotori dell’iniziativa questa volta alla gara hanno aderito circa 380 bambini e ragazzi che frequentano le scuole italiane dell’Istria croata e slovena
o          che imparano la lingua italiana in Dalmazia e in Montenegro. Un numero notevole, che riempie gli organizzatori del concorso di orgolgio e di soddisfazione, poiché segno di un crescente aumento di interesse per questa bella iniziativa (l’anno scorso i partecipanti erano in tutto 362 e gli elaborati 240).
La Giuria del concorso, incaricata di prendere visione di tutti i lavori pervenuti e di decidere chi premiare, é dunque in questi giorni indaffaratissima. Le premiazioni dei vincitori della gara avranno luogo in occasione del 14.esimo Raduno della Mailing List “HISTRIA’, che si svolgerà a Dignano domenica 1.mo giugno, con inizio alle ore 11.15.
A coordinare tutte le operazioni di segreteria sono anche quest’anno gli instancabili Walter Cnapich e Maria Rita Cosliani.

Sostegno anche dall'Istria              
Quest’anno la gara letteraria gode, oltre che del patrocinio dell’Associazione per la cultura fiumana, istriana e dalmata nel Lazio e dell’Associazione dei Dalmati italiani nel mondo, anche del sostegno della Regione Istriana, che ha previsto l’assegnazione di otto premi speciali, ciascuno del valore di 100 euro, per i vincitori delle varie categorie (singoli e gruppi di alunni). Andranno ad aggiungersi, dunque, a quelli ormai tradizionali, che vengono assicurati ogni anno dall’Associazione per la cultura fiumana, istriana e dalmata nel Lazio (200 euro per l’elaborato che meglio valorizza la permanenza della cultura istriana, fiumana, quarnerina e dalmata romanza di stampo autoctono), delle Associazioni dei Liberi comuni di Fiume e di Pola in esilio (ciascuna con un monte premi di 300 euro destinati ai migliori lavori pervenuti da una delle quattro elementari italiane di Fiume e dalla SMSI, rispettivamente dall’elementare italiana “Giuseppina Martinuzzi“ e dalla SMSI di Pola), dal Comitato provinciale di Gorizia dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (un premio di 100 euro per il tema che esprime al meglio la particolarità del mondo adriatico orientale); ci sono poi in palio il premio speciale dedicato alla memoria di Alessandro Boris Amisich (100 euro a insindacabile giudizio della Commissione di valutazione alla memoria del noto musicista e amico della Mailing List Histria prematuramente scomparso), quello offerto dalla Famìa Ruvignisa (500 euro destinati al miglior tema proveniente dell’elementare italiana “Bernardo Benussi” di Rovigno e al miglior tema proveniente dalla SMSI di Rovigno e altri 150 euro per tre premi da assegnare ad alunni rovignesi), il premio speciale “Istria Europa“ (100 euro posti in palio da Lino Vivoda, direttore dell’omonimo giornale e destinati all’autore all’autrice del miglior tema proveniente dalla SMSI di Pola) e i premi di 50 euro e tanti libri posti in palio dalla giuria.

Un ponte tra nonni e nipoti            
I temi individuali per i ragazzi delle scuole elementari (Sezione A del concorso), erano quest’anno i seguenti: “I nostri veci ne conta...” ovvero “I nostri nonni ci raccontano”;”Se avessi la bacchetta magica” e “Storie d’amore o di dolore della mia terra, vicende in cui un sentimento non esclude l’altro”. I lavori di gruppo, invece, dovranno essere incentrati sui temi “A Roma il Colosseo o San Pietro, ma nel vostro posto natio, se vi guardate attorno, tra la natura e i monumenti che vi circondano troverete tante cose altrettanto mirabili... tanti motivi per amare la propria terra”; “Parlate delle vostre migliori vacanze: reali o immaginarie” e, come per i temi individuali, “I nostri veci ne conta...”. A questo tema si sono potuti ispirare nei loro lavori pure gli allievi delle scuole medie superiori, che avevano comunque l’alternativa di scegliere anche altri due interessanti argomenti: “Ci sono momenti in cui ascoltando la musica ci sentiamo in armonia col mondo che ci circonda; quali generi musicali, quali composizioni sceglieresti come colonna sonora nella contemplazione del paesaggio che ti circonda?” e “Prendete i vostri libri e le vostre penne, sono la vostra arma più potente. Un bambino, un insegnante, una penna e un libro possono cambiare il mondo. È il messaggio di Malala Yousafzai, la ragazza simbolo del diritto allo studio. A quali riflessioni ti portano le sue parole?”
Anche nei lavori di gruppo (la giuria considererà tali gli elaborati svolti da almeno due concorrenti), uno dei temi a cui ispirarsi era “I nostri veci ne conta...“. Gli altri due erano invece“Ignorare cosa sia accaduto prima della propria nascita, significa restare per sempre bambini. Verifica se la conoscenza della storia della tua regione ti ha reso consapevole e fatto maturare come suggerisce questo pensiero di Cicerone” e “Le tradizioni sono molto importanti ma, in questo mondo che viaggia alla velocità della luce, quali sono per voi fondamentali e quali superate?”.

Fino all'Albania e al Montenegro   
Nella sezione B del concorso, patrocinata dall’Assocazione Dalmati italiani nel mondo e destinata agli allievi delle scuole elementari e medie dell’antica Dalmazia (da Cherso e Veglia fino ai confini con l’Albania) i temi dei lavori per i bambini delle elementari erano gli stessi della sezione A. Per i lavori di gruppo, invece, le tracce erano: “I nostri veci ne conta”, “Ignorare cosa sia accaduto prima della propria nascita, significa restare per sempre bambini”. “Verifica se la conoscenza della storia della tua regione ti ha reso consapevole e fatto maturare come suggerisce questo pensiero di Cicerone” e “Le tradizioni sono molto importanti ma, in questo mondo che viaggia alla velocità della luce, quali sono per voi fondamentali e quali superate?”.
Da rilevare che la Segreteria della Mailing List Histria ha trasmesso alla Commissione di valutazione esclusivamente i testi identificati da un motto o da uno pseudonimo. I dati dei concorrenti saranno trasmessi alla Commissione soltanto al termine della valutazione.
Tutti i lavori con i quali i ragazzi hanno partecipato al concorso verranno pubblicati sul sito Internet “Histria” www.mlhistria. it e sul sito collegato “Adriatico che unisce” www.adriaticounisce. it, dedicato al concorso letterario indetto da MLHistria. In seguito, a cura del Centro di documentazione multimediale della cultura giuliana, istriana, fiumana e dalmata di Trieste, sarà inoltre pubblicata un’antologia dedicata interamente al concorso letterario che verrà data in omaggio ai ragazzi partecipanti, alle scuole e alle Comunità degli Italiani.

Raduni da Cesenatico a Dignano  
Nata 14 anni fa su iniziativa di Axel Famiglini e Gianclaudio de Angelini, dal 2000 la MLH si é sviluppata come gruppo di discussione in Internet tra esuli e rimasti, rispettivi discendenti e simpatizzanti. Già dopo il primo anno di esistenza in gruppo cominciò a organizzzare dei raduni veri e propri, il primo dei quali, seppure informale, si svolse a Cesenatico. Nel 2002 il Raduno divenne un avvenimento istituzionale. l’anno di svolta fu il 2003, quando il III Raduno si tenne, per la prima volta in Istria, per l’esattezza nella Comunità degli italiani di Pirano. In questo contesto venne inaugurato il concorso letterario e poi stampata l’antologia che raccoglie tutti gli elaborati dei partecipanti.




203 - La Voce del Popolo 19/05/14 Pola - Esuli: «Non è poca cosa essere tornati a casa»
Esuli: «Non è poca cosa essere tornati a casa» 

Daria Deghenghi 

Sono cinquantott’anni che gli esuli da Pola s’incontrano annualmente in assemblee plenarie, che fino a qualche tempo fa erano convocate in una città italiana diversa, però mai nella città di origine. Da quattro anni in qua, il Raduno nazionale del Libero Comune di Pola in Esilio alloggia regolarmente a Pola, e ultimante ha messo su casa all’albergo Brioni di Verudella, che l’accoglie con grande ospitalità. Fin qui niente di nuovo, si dirà, ed è vero. Ma gli esuli ci tengono a ribadirlo quand’anche i “rimasti”
non avessero orecchie per udire: non è poco essere tornati a casa. Non è poco essersi lasciati alle spalle decenni di rancori e taciti atteggiamenti di accusa. Non è stata poca cosa aver cercato il dialogo con le istituzioni di Pola e, certamente, non è stata poca cosa stringere amicizie personali, come hanno fatto per l’appunto diversi esuli con alcuni italiani residenti in città, complice anche la “rete delle reti”, Internet, con i suoi social e le sue liste di posta elettronica. Tuttavia molto resta da fare. Talvolta l’accoglienza è tiepida, altre volte ci s’innervosisce per poco e comunque “continua a dispiacere lo scarso interesse del sindaco per quella parte della storia di Pola che precede il periodo jugoslavo”. Claudia Millotti lo ha detto chiaro e tondo in sede di Assemblea generale dei soci, sabato
pomeriggio: “Basta con le cerimonie per Vergarolla tra soli italiani!”
Giustamente. L’esplosione in spiaggia del 18 agosto 1946 è stata la più grande sciagura polese in tempo di pace e chi è venuto dopo non ha il diritto di dire: “Non ci riguarda”. Sindaco compreso.

Chiusa parentesi sulle considerazioni ricorrenti di anno in anno, entriamo nel particolare. Il raduno di quest’anno, il 58.esimo in ordine di tempo (il quarto in città) è stato forse meno impegnativo politicamente, forse anche più rilassante del solito, a dire il vero anche meno affollato, ma sempre vivo e interessante da seguire. La mattinata di venerdì (16 maggio) è stata riservata a una gita in barca alle Isole Brioni, mentre in serata si è svolto un incontro nella sede della Comunità degli Italiani. Saluti reciproci da parte del presidente Fabrizio Radin e di Silvio Mazzaroli, assessore della Giunta comunale LCPE; quindi un omaggio musicale offerto dal coro giovanile “Carillon” e dagli allievi del Centro studi di musica classica “Luigi Dallapiccola”. Infine è stato proiettato il film “Istria addio”, interpretato dalla compagnia Grado Teatro.
Quella di sabato è stata la giornata più intensa del Raduno. Dedicata esclusivamente alle ricerche e alle pubblicazioni del LCPE, la mattinata ha visto la presentazione dei recentissimi studi di Gaetano Dato e William Klinger sulla strage di Vergarolla, dei tre volumi con le ristampe anastatiche de “L’Arena di Pola” (1945-47), degli Atti del convegno su Mirabella Roberti (promosso in cooperazione con il Museo archeologico due anni fa) e del libro “Storie e leggende istriane”. In serata, invece, un piacevolissimo incontro col giornalista e scrittore Jan Bernas, autore del libro “Ci chiamavano fascisti, eravamo italiani” e coautore di “Magazzino 18” assieme a Simone Cristicchi. Bernas e Cristicchi (assente) sono stati premiati quest’anno dal LCPE con la targa “Istria terra amata”.

Daria Deghenghi



204 - Il Piccolo 16/05/14 Gli esuli tornano a Pola e premiano "Magazzino 18"
Nella città dell’Arena si apre il cinquantottesimo raduno con un ricco programma che va dalla visita alle isole Brioni al tradizionale incontro con gli italiani rimasti 

Gli esuli tornano a Pola e premiano “Magazzino 18”

POLA Ormai da qualche anno il raduno nazionale degli esuli dalla città dell’Arena si svolge nella località natale visto il clima decisamente favorevole alla manifestazione. Questa volta il raduno è il numero 58 e vanta un programma decisamente ricco che va dall’albo dei ricordi alla visita dei luoghi più belli e suggestivi dell’Istria passando ovviamente per gli incontri con gli italiani rimasti. La comitiva è arrivata già ieri pomeriggio all’albergo Brioni nell’insediamento turistico di Verudella.
Quella di oggi si preannuncia come una giornata molto intensa con la visita delle Isole Brioni e, in serata, il tradizionale incontro con i connazionali e i concittadini alla Comunità degli italiani dove verrà proiettato l’audiovisivo “Istria addio”, messo in scena dalla compagnia Grado Teatro.
Nell’occasione i canti della Pola di una volta saranno riproposti dalla corale della Società Lino Mariani, mentre la Comunità offrirà un intrattenimento musicale. Nella mattinata di domani è invece in programma la presentazione di alcune pubblicazioni, per la precisione i recenti studi di Gaetano Dato e William Klinger sulla strage di Vergarolla, i tre volumi con le ristampe anagrafiche del giornale “L’Arena” di Pola (1945-1947), gli atti del convegno sull architetto Mario Mirabella Roberti (tra l’altro autore del restauro del Tempio d’Augusto rimasto seriamente danneggiato nei bombardamenti della II guerra mondiale) che si era svolto due anni fa nonché del volume “Storie e leggende istriane” di Maria Secacich e Iginio Udovicich. Il pomeriggio sarà dedicato all’assemblea dei soci, si riuniranno anche il Consiglio e la Giunta del Libero Comune di Pola in esilio. In serata avverrà la consegna delle benemerenze “Istria terra amata”.
Quest’anno il riconoscimento andrà a Jan Bernas e al cantautore italiano Simone Cristicchi, autori di Magazzino 18, il famoso musical sull’esodo.
Domenica mattina l’appuntamento è alla cattedrale per la Santa messa italiana, canterà la corale Lino Mariani. A seguire ci sarà la deposizione di una corona di fiori sul cippo che ricorda la strage di Vergarolla. Più tardi sul campo di Verudella si svolgerà una partita di calcetto tra formazioni composte dagli esuli e dai soci della Comunità degli Italiani.
Dopo il pranzo al ristorante Bi Village a Valbandon, la partenza per il viaggio di ritorno. Con tanti nuovi ricordi nel cuore per tutti i partecipanti. (p.r.) 




205 - La Voce del Popolo 19/05/14 Nel ricordo di Olga Milotti
Nel ricordo di Olga Milotti 

Ester Sardoz Barlessi 

Olga Milotti ci ha lasciati per sempre. Una frase piccola piccola, ma con un nome che la riempie tutta, e che per i polesani vuole dire tanto, e per le amiche e gli amici in particolare, è legata a ciò che si suole definire onestà, discrezione, forza, coraggio e bontà d’animo.

Olga ha camminato sempre nella vita con decisione ma in punta di piedi, attenta a non urtare i sentimenti della gente, ad aiutare quando poteva, a portare alta la bandiera della famiglia, degli affetti, orgogliosa della sua lingua, la sua cultura e la sua appartenenza nazionale.

Una donna di una trasparenza cristallina, rispettosa di tutto e di tutti.
Io, personalmente, di lei, ho dei ricordi indelebili. Era una persona con la quale ti potevi confidare con la certezza assoluta che ti avrebbe capita.
Rammento il suo sorriso dolce, quasi timido, la felicità che mi dimostrava quando sentiva che uno dei miei nipoti veniva iscritto alla “Martinuzzi“, perchè ci teneva che tutti noi polesani iscrivessimo i nostri figli e nipoti alla scuola italiana, per perpetuare le nostre radici.

Indimenticabile è anche il suo indefesso lavoro quand’era, come presidente, alla guida della nostra Comunità. Erano gli anni duri della guerra nei Balcani, con i nostri ragazzi al fronte, e lei si informava di tutti e per i genitori trovava sempre una parola di conforto. In contatto con il Consolato Generale d’Italia a Capodistria, si interessava presso il console Solari per poter avere medicinali per i nostri connazionali malati e anche per la farmacia dell’Ospedale cittadino, nonchè viveri e indumenti per i più bisognosi per cui aveva contattato personalmente gli esuli di sua conoscenza, quelli che avevano lasciato Pola, e che lei desiderava ardentemente di riuscire a fare riallacciare i rapporti con i fratelli rimasti, e a questo scopo aveva coniato uno slogan “Dalla nostra gente, alla nostra gente.“

Non si è mai risparmiata, ha lavorato fianco a fianco con i nostri attivisti salendo e scendendo scale per portare aiuti umanitari, in pesanti pacchi pieni di viveri e indumenti, a quelli che avevano bisogno.
Ha attirato in Comunità i giovani, li ha spronati, incitati e incoraggiati quando hanno messo con successo in scena “Istriolina“, di cui andava orgogliosa. Dopo le lunghe ore trascorse a lavorare in Comunità, bastava che qualcuno le accennasse che avrebbe voluto fare un giro per Pola, per conoscerne le origini romane e medievali, che lei già organizzava il giorno, l’ora e l’itinerario per portare la comitiva in giro per la città sciorinando fatti e date: aveva insegnato per anni storia a scuola e aveva tutto sulla punta delle dita, e illustrava la storia della nostra città con parole semplici alla portata di tutti. I soci del sodalizio aspettavano con impazienza quelle uscite e grazie a lei moltissimi si sono fatti una cultura sui nostri monumenti.

Chi l’ha conosciuta la ricorderà con tristezza e rimpianto, gli amici con dolore. È stata una leonessa che ha lottato fino all’ultimo, fino a che il male, uno di quelli che non perdona, ha avuto il sopravvento lasciando la famiglia, a cui tutti siamo vicini, in un profondo dolore.

Ci sarebbe tanto da dire di lei, ma questi sono momenti difficili nei quali i pensieri scappano e non si vogliono soffermare ancora sui verbi che la ricordano al passato. Ti ricorderemo sempre con dolore, ma ci reputiamo anche fortunati perchè abbiamo potuto conoscerti, starti vicino e volerti bene. In questo doloroso momento tu sei ancora con noi e non puoi fare parte del passato: eri, e lo sarai sempre, una grande donna.

Ester Sardoz Barlessi



206 - La Voce del Popolo 20/05/14 Pola -  Non ci stancheremo di dire: «Grazie Olga»

Non ci stancheremo di dire: «Grazie Olga»

La notizia che in mille modi abbiamo cercato di non ricevere, quasi esorcizzandola, ma che da giorni il sotterraneo tam-tam tra amici ce la imponeva, è infine giunta in tutta la sua spietata realtà. In questo momento il coinvolgimento emotivo è forte, la sincera commozione profonda, i ricordi tanti.
Di Olga Milotti voglio ricordare la forza da leonessa, il suo amore per la verità e la giustizia, la coerenza nel sostenere le idee in cui credeva, il coraggio pari alla determinazione discreta ma 
indefettibile, la costanza unita alla pacatezza d'animo che le permetteva di raggiungere gli obiettivi prefissati.
Protagonista autentica del rinnovamento politico e civile dopo la disgregazione della Jugoslavia, in un collettivo plauso senza riserve, è entrata nella dirigenza del Circolo.
Da presidente acuta e competente, ha fatto della gestione del Circolo e dell'organizzazione delle attività un impegno forte che ha portato a risultati visibili: alla proprietà della sede, all'intestazione nel catasto, ai contributi per lo stradario, la toponomastica e il bilinguismo cittadino, agli aiuti umanitari ai concittadini e ai profughi arrivati dalle zone di guerra,  alle azioni di concreta solidarietà alle persone in difficoltà, agli  anziani e indigenti.

Un ruolo, quello di presidente, svolto sinergicamente con i membri della Giunta, che ha segnato positivamente la vita della nostra Comunità. Con grande umiltà e grande passione, ha dato molto alla CI di Pola, ha reso la politica degna di essere vissuta in maniera onesta e al servizio dei concittadini, nei piccoli gesti quotidiani come in tante battaglie che erano di tutti, come pure nei grandi progetti sociali e culturali.

Riscatto e speranza

È per questo che ha fatto convogliare la gente al Circolo, soprattutto i giovani che in quella stagione felice hanno allestito lo spettacolo "Istriolina" sulla falsariga della goldoniana "Mirandolina".
Con lei, il Circolo diventa il simbolo del riscatto e della speranza e fa sentire più intensamente il suo richiamo, il richiamo alle origini di ognuno di noi. Una seconda Casa che Olga si sforza di modificare sempre, di arricchirla, di farla vivere con la cura e la valorizzazione del patrimonio identitario, perché solo così sente che potranno sopravvivere le nostre speranze.
Le nostre e quelle dei polesani dispersi in Italia e nel mondo. Sin dal 1991, per statuto e orientamento programmatico, dedica particolare cura ai rapporti con gli esuli, rapporti di accoglienza, di riavvicinamento ai polesani in esilio, con le sue conferenze in varie città d?Italia, 
con la sua presenza costante nella Mailing List Histria e i suoi messaggi di riconciliazione tra 'andati via' e 'rimasti', tra dolori diversi e uguali, ai fini di chiudere per sempre il tempo dei risentimenti.

Per una Comunità coinvolgente

Olga Milotti è stata l'affermazione di un'idea di Comunità coinvolgente, partecipativa, aperta e solidale, è stata la testimonianza sofferta e autentica di una ricerca umana che abbiamo sentito sempre così vicina e alla quale avremmo dovuto rispondere meglio.
Siamo tutti debitori nei suoi confronti e non ci stancheremo mai di dirle "grazie". Grazie per aver goduto del privilegio della sua amicizia, grazie per la sua generosità, per la sua dedizione al prossimo, per il suo impegno indirizzato alla dignità e ai diritti di tutti.
Dopo aver rinunciato ad altri mandati per star vicina alla famiglia, pur nella consapevolezza che la ricerca del sogno perfetto è impossibile nella vita umana, ha continuato a spendersi caparbiamente, con indomita passione civile, fino alla fine, offrendo la sua onestà e la sua combattività al servizio della collettività.
Donna di grande umanità e dal carattere deciso, rispettata, apprezzata e amata da tutti, è stata una moglie straordinaria, una madre vicinissima a sua figlia e ai suoi ragazzi della "Giuseppina 
Martinuzzi".
Nell'ora dell'addio, al marito Carlo e alla figlia Lara giunga l'affettuosa vicinanza di tutti i polesani.

Nelida Milani  Kruljac 








207 - Il Piccolo 14/05/14 Gorizia - Lettera di Romoli al presidente del Consiglio: «Sia fatta chiarezza su quei tragici giorni del 1945»
Lettera di Romoli al presidente del Consiglio: «Sia fatta chiarezza su quei tragici giorni del 1945» 

«Foibe, Renzi tolga il segreto di Stato»

«Il Governo tolga il segreto di Stato sulla tragedia delle foibe». Lo chiede il sindaco di Gorizia Ettore Romoli direttamente al presidente del Consiglio Matteo Renzi, al quale il primo cittadino invierà il 1 giugno una lettera formale. 
Con quella Romoli, a nome di tutta la cittadinanza goriziana, chiederà che Renzi faccia seguito alla simile iniziativa relativa alle stragi che hanno segnato gli anni Settanta e Ottanta del Paese, togliendo il segreto di Stato anche ai documenti ancora in possesso del Governo sui tragici fatti dei “quaranta giorni” iniziati nel maggio del 1945, quando a guerra conclusa oltre 600 persone vennero prelevate dalle loro case dai partigiani titini per non fare più ritorno a casa. «Il presidente Renzi ha encomiabilmente tolto il segreto di stato sulle stragi italiane del passato, e prendendo spunto da questo gli chiediamo ora che faccia lo stesso sui fatti che riguardarono Gorizia in quei tragici giorni del '45 – dice Romoli -. La mia iniziativa, sia chiaro, non ha nella maniera più assoluta nessun intento vendicativo, o di riapertura di vecchie ferite, ma tende solo alla verità.
Vorremmo che i documenti rimasti sino ad ora celati potessero essere messi a disposizione degli storici, per stabilire esattamente cosa accadde in quei giorni, e dare soprattutto a centinaia di famiglie un luogo dove piangere i propri cari scomparsi». Romoli, che ha presentato ieri l'iniziativa, si è detto «certo della sensibilità di Renzi nell'accogliere la nostra richiesta», ed ha anche aggiunto che prossimamente chiederà una mediazione nel confronto con il presidente della Repubblica alla presidente della Regione Debora Serracchiani, che gli è particolarmente vicina e ha modo di incontrarlo in diverse occasioni. 
Ma il sindaco allarga il suo progetto a tutta la cittadinanza. «In un primo momento avevo pensato di far sottoscrivere la richiesta a tutti i cittadini che fossero interessati, ma poi mi sono reso conto che questo avrebbe richiesto sforzi organizzativi notevoli, e soprattutto tempi piuttosto lunghi – dice Romoli -. Così chiedo piuttosto a tutte le associazioni della città, di ogni tipologia e settore, di sottoscrivere se interessate la lettera che invierò al presidente Renzi. Se nessuno dovesse voler partecipare, comunque, andrò avanti da solo in questa mia battaglia». Le associazioni potranno aderire fino alla fine di maggio mandando un fax al numero 0481-383218, o scrivendo all'indirizzo mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. . Poi il 1 giugno la lettera, corredata di tutte le adesioni, verrà inviata alla Presidenza del Consiglio. (m.b.)








208 - Il Piccolo 13/05/14 Zara si ribella e rivuole la sua Calle Larga
I titini avevano trasformato la principale via della città in “Široka ulica”. Raccolte oltre 10mila firme per il vecchio toponimo 

Zara si ribella e rivuole la sua Calle Larga

di Andrea Marsanich 

ZARA Un'adesione massiccia ed entusiasta, volta a riparare i torti verso la storia, ossia verso quell'antico nome, Calle Larga, cancellato dall'idiozia umana e trasformato in un improbabile “Široka ulica“, che tradotto fa Via larga. Un obbrobrio. Per più di una settimana si è tenuta a Zara la raccolta di firme per il ripristino dell'antico toponimo che riguarda la via principale e più famosa della città del maraschino, nome nato ai tempi della Serenissima. L'iniziativa è partita dall'azione civica zaratina intitolata “Desidero che il nome Via Larga sia mutato per sempre in Calle Larga“ ed in sei giorni ha raccolto la bellezza di 10 mila firme, la qual cosa ha stupito e nel contempo reso felici gli stessi organizzatori, assai indaffarati in questi giorni. La petizione viene firmata in Piazza del Popolo, in via Branimir e in una decina di esercizi alberghieri di Zara. Il principale organizzatore e anima della pregevole iniziativa è Hrvoje Bajlo, il quale ha voluto far presente ai giornalisti che la richiesta di tornare ad avere il popolarissimo toponimo non ha alcuna valenza politica. «Qualcuno ci ha accusati di volere italianizzare o romanizzare la nostra città, ma sono cretinate – ha detto Bajlo – noi vogliamo riavere la Calle Larga, un nome che amiamo, per il quale Zara è nota in tutto il mondo. Del resto i ragusei non si sognano di rinunciare al loro Stradone o i fiumani al loro Corso, denominazioni storiche e legate in modo indissolubile a passato, presente e futuro di queste due città. Siamo contentissimi che migliaia di zaratini abbiano voluto abbracciare la nostra azione, che prossimamente sarà consegnata al sindaco Božidar Kalmeta e ai consiglieri municipali». La raccolta di firme si è interrotta sabato scorso. Ora spetterà alle autorità comunali decidere quali passi adottare. La volontà dei cittadini (Zara ha circa 71 mila abitanti) è stata espressa in modo chiaro e abbisogna di precise risposte. Non si tratta comunque di un'iniziativa nata l'altro giorno. Già un anno fa alcuni consiglieri del parlamentino locale tentarono di ripristinare il toponimo Calle Larga, ma furono costretti a battere in ritirata perché in minoranza. Stavolta però è diverso, essendo il desiderio corroborato da più di 10 mila autografi. Grazie a Facebook, è nato un gruppo intitolato come la predetta azione civica e in un paio di giorni ha registrato più di 3 mila e 300 adesioni. Uno degli organizzatori è Nenad Mar„ina, orgoglioso di essere zaratino: «Ci sono toponimi a Zara come Fossa, Puntamica, Campo Castello, Marasca o Bellafusa, che non cambierei per nessuna ragione al mondo – ha dichiarato – la nostra Calle Larga è lunga più di 800 metri ed è importantissima per noi, per i nostri ricordi. Nessuno ha il diritto di cancellare per sempre questo nome. Sono ottimista per quanto attiene al ripristino, convinto che ora la maggioranza dei consiglieri cittadini approvi la nostra idea». Se la proposta dovesse venire bocciata al consiglio comunale, sostengono i promotori, non è esclusa l'opzione del referendum.





209 - La Voce del Popolo 10/05/14 L’Istria nell’Euregio Senza Confini
L’Istria nell’Euregio Senza Confini 

Lara Musizza 
 
PARENZO | Quella di ieri è stata una giornata storica per l’Istria. Il GECT-Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale “Euregio Senza Confini-Euregio ohne Grenzen” sta per allargare i propri confini: oggi, infatti, è stata avviata la procedura che porterà presto la Regione Istriana a far parte di questa aggregazione, fondata nel 2012 dalle Regioni italiane del Veneto e del Friuli Venezia Giulia e dal Land austriaco della Carinzia. Nell’assemblea tenutasi ieri a Villa Polesini, a Parenzo, i presidenti della Regione del Veneto (presidente pro tempore dell’Euregio Senza Confini) Luca Zaia, della Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani e del Land della Carinzia Peter Kaiser, con il supporto tecnico del direttore del GECT Dieter Platzer, hanno deciso di dare il proprio assenso preventivo all’ingresso della Regione Istriana nel Gruppo, consentendo in tal modo, in base allo Statuto del GECT e al Regolamento comunitario, di avviare le procedure formali per l’adesione del nuovo componente. Una decisione assunta all’unanimità dopo aver sentito il presidente della Regione Istriana Valter Flego, che ha ribadito le motivazioni che lo hanno portato a firmare (lo scorso 9 gennaio) la richiesta ufficiale di adesione preventiva, nella quale, oltre a ‘’una proficua e pluriennale cooperazione, fondata sui principi di stima e intesa reciproca’’, sottolineava il ‘’significato straordinario dei processi d’integrazione europea, dello sviluppo regionale e della coesione economica’’. ‘’La creazione di forme innovative di cooperazione futura nei settori previsti dagli atti costitutivi dell’Euregio Senza Confini - aveva rilevato Flego - contribuirà a dare una spinta sociale ed economica alle rispettive regioni’’.
Il GECT è uno strumento creato dall’Unione europea nel 2006 che definisce un quadro legislativo unico per le Euroregioni. Grazie al riconoscimento della personalità giuridica, permette a territori regionali e locali di differenti Paesi della Ue di collaborare in un contesto giuridico comune - indicato dall’ordinamento comunitario e avvallato dagli Stati nazionali - superando le difficoltà derivanti dall’avere differenti strutture giuridiche, contabili e di gestione. Quella di Parenzo è di fatto la terza assemblea del GECT, che fa seguito a quella tenutasi lo scorso novembre a Venezia, nella quale furono definite le linee del primo programma politico d’azione e il budget finanziario per l’anno in corso, e a quella, ancora precedente, d’insediamento dell’Euregio Senza Confini, avvenuta a Klagenfurt, capoluogo della Carinzia, nel febbraio 2013.
Alla riunione di Parenzo, da rilevare, hanno partecipato anche il ministro del Turismo della Repubblica di Croazia, Darko Lorencin, l’ambasciatore italiano a Zagabria, Emanuela D’Alessandro, e il Console generale d’Italia a Fiume, Renato Cianfarani.
E ovviamente Ivan Nino Jakovčić, presidente della commissione per la collaborazione internazionale, che nell’ultimo decennio con tenacia e pazienza ha creduto in questo importante progetto, fino ad arrivare alla sua piena realizzazione, in concomitanza del 9 maggio, giornata dell’Europa.
Alla conferenza stampa a Villa Polesini si è parlato in croato, italiano e tedesco, il che ha dato un tocco in più all’atmosfera di festa. Valter Flego non ha nascosto la sua soddisfazione per il fatto che l’Istria, che per prima anni addietro ha aderito a varie associazioni organizzazioni europee e trasfrontaliere, che per prima ha avuto accesso ai fondi UE, sia oggi anche la prima Regione croata ad aderire al GECT. Flego si è detto convinto che una collaborazione del genere, tra partner e amici che cooperano e che si conoscono da tanto tempo ormai, darà i suoi frutti anche nel prossimo futuro. Il via libera all’Istria nell’ambito del GECT contribuirà sicuramente alla valorizzazione delle tante potenzialità in tutte le sfere d’attività. La penisola potrà avvalersi del pieno appoggio dei partner nel contesto di una fruttuosa collaborazione territoriale, abbattendo appieno le barriere confinarie e creando ponti di collegamento con le aree contermini. Verrà dato così un valido esempio, partendo dal basso, di creazione del territorio comune europeo.
Non è mancata l’emozione nel caso di Ivan Nino Jakovčić perché, “chiuso il capitolo di guerre e disordini del passato”, oggi si schiude un mondo nuovo. A Parenzo si continua a costruire assieme un nuovo futuro comune europeo, proposto oggi dall’Europa stessa. Jakovčić ha ringraziato tutti colori che in questi decenni hanno creduto in questo progetto e lo hanno sostenuto. Perché soltanto assieme si può far sempre meglio e di più.


Stessa storia stesso mare

Piena soddisfazione è stata manifestata anche da parte dei partner, la Serracchiani, Zaia e Kaiser per i quali si apre un nuovo capitolo con straordinarie possibilità di progredire e crescere. Per dirla con la Serracchiani si è sicuri di aver fatto la scelta giusta. Zaia ha rilevato l’indefesso lavoro di Nino Jakovčić sia nel mantenimento dei rapporti di collaborazione, sia nel rafforzamento degli scambi e dell’amicizia tra le regioni. Il governatore del Veneto ha anche constatato che “l’Istria per noi è stessa storia, stesso mare“ ed ora (con l’Istria) il progetto euroregio in qualche modo si completa. “Bisogna continuare a crescere e progredire, affrontando insieme le sfide, è stato il commento di Kaiser, per il quale il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e l’Istria assieme alla Carinzia sono un asse forte, un modello di vera convivenza europea che certamente darà ottimi frutti. C’è già un progetto concreto da realizzare assieme, che sarà posto all’attenzione dei fori UE e sottoscritto già entro l’anno, ha concluso Valter Flego.

Lara Musizza




210 - Il Piccolo 18/05/14 La nostalgia di Tito esplode a Fasana

A due passi da Brioni le giornate dedicate al Maresciallo. In mostra una collezione di francobolli e molti oggetti personali 

La nostalgia di Tito esplode a Fasana

POLA Gli anni passano ma il mito di Josip Broz Tito non sembra tramontare. Almeno per i nostalgici del Maresciallo che, a 34 dalla sua morte, continuano a raccogliere numerosi estimatori. Anzi, la nostalgia verso la figura di Tito cresce perché «quando comandava lui - stando almeno agli estimatori del defunto presidente dell’ex Jugoslavia - si viveva in maggior tranquillità e sicurezza sociale, mentre la criminalità economica e la corruzione non abitavano da queste parti».
Succede anche in Istria. E così, per non dimenticare il Maresciallo, ogni anno di questi tempi vengono organizzate le “Giornate di Tito” a Fasana, nella località dove a volte si fermava a parlare con la gente del luogo, prima di imbarcarsi per Brioni. L’evento è iniziato venerdi sera con l’inaugurazione di due mostre: “Tito sui francobolli”, curata da Giancarlo Moscarda, noto esponente della locale Comunità italiana e “Ricordi 33”, curata invece dal collezionista Velimir Dragas. Quest’ultima in particolare espone oggetti curiosi, interessanti e di grande valore storico, capaci di di far tornare indietro il tempo di numerosi decenni. Tra i pezzi più originali l’orologio d’oro Marvin con tanto di firma, che Tito aveva regalato al suo giardiniere al momento di andare in pensione, poi uno dei dodici bossoli di proiettile di cannone fatti sparare nel 1980 a Belgrado durante i suoi funerali. Ma anche il pugnale aprilettere regalato a Jozo Dragas, delegato della finalissima di Coppa Maresciallo Tito di calcio fra Rijeka e Partizan giocata nel 1979. Accanto ai cimeli, inoltre, vengono proiettati i servizi audio originali sui soggiorni di Tito a Brioni tra il 1960 e il 1970 che la Tanjug (l’agenzia di stampa jugoslava) aveva diramato a tutte le agenzie del mondo. E poi tantissime fotografie di Tito con i suoi ospiti a Brioni come Fidel Castro, Haile Selassie, Gamal Abdel Naser, Indira Gandhi e numerosi potenti del mondo. L’inaugurazione della mostra, introdotta da Martin Matosevic presidente dell’Unione delle società Tito in Istria e dal “titologo” Mirko Urosevic, è stata seguita da folto pubblico.
Non sono mancati riferimenti all’attualità e paralellismi. Ad esempio è intervenuto lo stesso autore Velimir Dragas sostenendo che il cambiamento del nome delle isole da Brioni in Brijuni (imposto dallo scomparso presidente Tudjman) ha arrecato un notevole danno all’immagine turistica dell’arcipelago. Le due esposizioni si possono visitare ancora oggi, giornata di chiusura, mentre ieri si è svolto il consueto “comizio del popolo” con fagiolata finale. E non finisce qui: tra pochi giorni un’altra rievocazione del Maresciallo a Umago con la partenza, alla volta di Belgrado, della famosa “Staffetta della gioventù” per fare gli auguri di buon compleanno al “compagno Tito”. 




211 - Il Piccolo 12/05/14 Zagabria entrerà in Schengen nel 2015
Stanziati dall’Unione europea 120 milioni di euro. Ma a Soperga spesi 5,7 milioni per un valico sloveno-croato attivo soli due anni 

Zagabria entrerà in Schengen nel 2015

di Mauro Manzin 

TRIESTE Europee difficili per il premier croato Zoran Milanovic e per il suo Partito socialdemocratico (Sdp). Permier che potrebbe anche vederesi sfilare la poltrona di primo ministro se la sentenza delle urne fosse una sconfitta (peraltro annunciata nei sondaggi). Caduta dovuta a una politica di austerity estremamente pesante e non digerita affatto dalla popolazione, da strani affari di sospetta corruzione nel governo (leggi vicenda del ministro delle Finanze Linic) e dalle lacerazioni interne alla stessa Sdp. E così Milanovi„ si gioca la carta Schengen. La Croazia, membro dell'Ue da dieci mesi, deve essere pronta già nell'estate del 2015 ad adempiere a tutti i criteri per fare domanda di ingresso nella zona Schengen di libera circolazione delle persone. Lo ha annunciato proprio lui, Zoran Milanovic, facendo coincidere l'auspicio con la campagna per le elezioni europee. Milanovic ha promesso che sarà lui personalmente a sorvegliare che tutto il processo di adeguamento della Croazia alle norme di Schengen proceda senza intoppi. A questo scopo il governo di Zagabria ha approvato un decreto che regola l'organizzazione e il funzionamento dei valichi di confine croati che in futuro, con l'ingresso del Paese nella zona Schengen, saranno i confini esterni dell'Ue, con Serbia, Bosnia-Erzegovina e Montenegro, come anche dei porti e degli aeroporti. Il decreto afferma che i cosiddetti «scali di maggiore importanza», siano gli aeroporti di Zagabria, Spalato e Dubrovnik. Per quanto riguarda invece i valichi stradali quelli principali saranno Macelj, Bregana, Kaštel, Bajakovo, Slavonski Brod, Plovanija, Stara Gradiška, Nova Sela e Karasovici. Sul mare per il traffico navale capeggiano invece Fiume, Spalato e Dubrovnik. La Croazia per l'adeguamento ai criteri Schengen ha a disposizione dai fondi europei 120 milioni di euro. Fondi europei che non sempre vengono investiti con “intelligenza” e con rispetto del contribuente. È il caso proprio di un confine, quello di So›erga tra Slovenia e Croazia. Inaugurato da pochi giorni è costato la bellezza di 5,7 milioni di euro, la gran parte attinti dalle casse di Bruxelles. Oggi è confine sterno di Schengen, tra due anni con l’ingresso della Croazia nell’area “senza confini” sarà rottamato. Insomma un investimento di quasi 6 milioni di euro per soli due anni. Il minimo e storcere la bocca. La Slovenia difende la scelta affermando che il valico andava assolutamente ristrutturato (è interessato da anni da un’enorme movimento franoso) anche per garantire buone condizioni di lavoro agli agenti di polizia. Il ministero degli Interni di Lubiana spiega che i locali appena costruiti potranno essere riutilizzati, la momento dell’ingresso della Croazia in Schengen, come info point turistico, o dati alla comunità locale. Comunque vada 5,7 milioni di euro per un info point ci sembrano decisamente un po’ troppi.


Si ringraziano per la collaborazione della Rassegna Stampa: L’Università Popolare di Trieste e l’Assoc. Nazion.Venezia Giulia e Dalmazia - ANVGD di Gorizia
Vi invitiamo conoscere maggiori dettagli della storia, cultura, tradizioni e immagini delle nostre terre, visitando i siti :
http://www.mlhistria.it
http://www.adriaticounisce.it/
http://www.arupinum.it




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