a cura di Maria Rita Cosliani – Eufemia G.Budicin – Stefano Bombardieri
N. 901 – 11 Gennaio 2014
Sommario
16 - Comitato 10 Febbraio 07/01/14 Comunicato Stampa - Risposta a "Il Manifesto" su Magazzino 18
17 - Il Tempo 08/01/14 Cristicchi "infoibato" I partigiani si dividono (Luca Rocca)
18 - Secolo d'Italia 08/01/14 «Lo spettacolo di Cristicchi offende i partigiani». E lui replica: «Vi restituisco la tessera dell’Anpi» (Valter Delle Donne)
19 - Il Tempo 10/01/14 Magazzino 18 - Bernas: «Revisionismo? Questo tema era stato occultato dalla storia ufficiale» (Gabriele Antonucci)
20 - Il Tempo 08/01/14 Quella fuga per la vita degli italiani negati (Federico Guiglia)
21 - Il Tempo 09/01/14 Intervista a Nino Benvenuti: nel ’54 fui costretto a fuggire Tito imprigionò mio fratello senza motivo (Gabriele Antonucci)
22 – L’Unità 03/01/14 Simone Cristicchi in «Magazzino 18»: L’esodo degli italiani cancellati dalla storia (Francesca De Sanctis)
23 - Società di Studi Fiumani Roma - Comunicato 10/01/14 - Che fine farà la Legge del Ricordo dell'esodo e delle foibe?
24 - L'Arena di Pola 12/12/13 - 58° Raduno degli Esuli da Pola: Pola, 15-18 maggio 2014
25 - Il Piccolo 08/01/13 Prigionieri nel lager di Tito Esce la lista dei 16mila nomi (Stefano Giantin)
26 – La Voce del Popolo 08/01/14 Cultura - Il patrimonio di versi in dialetto fiumano un tesoro culturale che va riscoperto (Patrizia Venucci Merdžo)
27 - East Journal 09/01/14 Croazia: L'isola di Brioni sarà concessa a privati. Zagabria cerca di fare cassa (mat)
Rassegna Stampa della ML Histria anche in internet ai seguenti siti :
http://www.arcipelagoadriatico.it/
http://10febbraiodetroit.wordpress.com/
http://www.arenadipola.it/
Risposta a “Il Manifesto” su Magazzino 18
COMUNICATO STAMPA 7 GENNAIO MAGAZZINO 18. COMITATO 10 FEBBRAIO: SURREALE
RECENSIONE DE “IL MANIFESTO” SU SPETTACOLO CRISTICCHI
“È molto triste leggere recensioni sullo spettacolo “Magazzino 18” di Simone Cristicchi del tenore di quella scritta da Stefano Crippa su “Il Manifesto”
dello scorso 29 dicembre, anche se poi seguita da un’altra della stessa testata e di tutt’altra portata, forse per le vive polemiche suscitate dalla precedente. Quasi surreale è constatare che, a fine 2013 e a poche settimane dal Decennale dell’Istituzione della Legge sul Ricordo, vi sia ancora chi strumentalizza il dramma delle foibe e del conseguente esodo giuliano-dalmata. Innanzitutto, il giornalista del quotidiano comunista accusa il cantautore-regista di proporre al pubblico una “interpretazione parziale, se non univoca, degli accadimenti”.
In realtà il testo dello spettacolo è stato analizzato da diversi storici e, soprattutto, dagli esuli e dai rappresentanti istituzionali di quel variegato mondo. Risulta pertanto falso dire che sia basato soltanto sul lavoro (comunque pregevole) di Jan Bernas. Tutto quello che viene raccontato è purtroppo realmente accaduto ed esperti e testimoni oculari dei fatti, presenti a teatro a Trieste o a Roma, hanno confermato la buona fede del racconto messo in scena. Sappiamo inoltre che Cristicchi si è rivolto a diversi archivi illustri ed ha condotto un lavoro di ricerca accurato e mai prevenuto, considerando anche il fatto che l’artista romano non è certo “di parte”.
A differenza di quanto afferma il Crippa, poi, lo spettatore è in grado di valutare gli accadimenti storici, in quanto ben narrati, senza cadere in confusione sulla differenza tra fascismo e comunismo. Circa i “tre minuti tre” di racconto sulle violenze fasciste in Slovenia, partendo dal presupposto che forse sono l’unico “neo” dello spettacolo di Cristicchi perché non direttamente pertinenti al racconto dello specifico dramma, siamo all’assurdo più totale. Il giornalista ciurla nel manico, aggrappandosi ai soliti, triti e ritriti luoghi comuni del cosiddetto “giustificazionismo”.
Per questo giornalista ed i suoi degni compagni, il Giorno del Ricordo e tutte le iniziative attinenti diventano un pretesto per far sfoggio della più obsoleta vulgata storiografica, in cui si passano in rassegna e si ingigantiscono a dismisura sparando cifre a casaccio tutti i mali compiuti dagli italiani e alla fine non c’è spazio per il ricordo, la compassione e la comprensione di quanto hanno patito i nostri connazionali per mano di un altro sistema totalitario, che però per Crippa & co. risulta evidentemente gradito ed impeccabile.
Per non parlare del fatto che si strumentalizza anche un artista come Sergio Endrigo, colpevole secondo Crippa di aver scritto una canzone, “1947”, che nelle mani di Cristicchi avrebbe assunto un significato “irredentista”. Il tutto sarebbe per certi versi anche divertente se non fosse che sono proprio le persone come Stefano Crippa ad “avvelenare”, a distanza di 70 anni e dopo un lunghissimo periodo di orribili e colpevoli silenzi storici, il tessuto sociale del nostro Paese. Egli dovrebbe solo chinare il capo di fronte al dolore di chi ha perduto un congiunto che credeva nella propria Patria ed ha sofferto il giudizio ignobile di persone “ideologizzate” come questo fazioso cronista. Il proficuo incontro di Padova avvenuto di recente fra rappresentanti degli esuli e dell’associazionismo partigiano per rielaborare congiuntamente il dramma del confine orientale è stato pertanto un singolo episodio che non riesce ad intaccare le inossidabili certezze dei “trinariciuti” di guareschiana memoria.
Un plauso ancora più grande infine a Cristicchi, per aver avuto la forza e il coraggio di raccontare, certamente consapevole di quanto ne sarebbe seguito”.
Lo dichiara il direttivo del Comitato 10 Febbraio.
17 - Il Tempo 08/01/14 Cristicchi "infoibato" I partigiani si dividono
Cristicchi "infoibato" I partigiani si dividono
Sullo show degli esuli istriani l`Anpi nel caos. Si punta a ritirare la tessera al cantautore
Luca Rocca
La «guerra civile culturale» in Italia non è mai finita. Se intorno a un cantante che mette in scena la «verità storica»sull`esodo istriano, giuliano e dalmata che «condannò» migliaia di italiani alla fame, alla sete e alla morte, si produce ancora uno «squarcio storico», allora
siamo ancora lontani da una «storia condivisa». Con «Magazzino 18» andato in scena a Trieste, Simone Cristicchi racconta la verità stabilita dai documenti storici. La verità di italiani, non di fascisti, in fuga dalle «speciali purghe» titine e in cerca dell`agognata libertà.
Una verità che a quanto pare può essere raccontata solo dopo una preventiva revisione del «copione» da parte dei «depositari» della verità. E se da una parte la onlus Cnj ha annunciato di aver raccolto qualche centinaio di firme di aderenti all`Anpi per chiedere che a Cristicchi venga ritirata la tessera onoraria dell`associazione dei partigiani, dall`altra c`è chi, fra i rappresentanti dei partigiani, nello spettacolo storico-teatrale di Cristicchi vede una ventata di verità. È il caso di Elena Improta, vicepresidente Anpi Roma, a cui abbiamo chiesto un commento sulla vicenda.
La vicenda Cristicchi ha riaperto una ferita che in realtà non si era mai chiusa. Che posizione ha l`Anpi sulla polemica innescata da «Magazzino18»?
«Le posizioni nell`associazione non sono univoche. Mi sono informata, ho letto tutto e poi ho parlato con persone che hanno visto lo spettacolo di Cristicchi. Si tratta di iscritti al Partito democratico, persone che hanno avuto parenti deportati ad Auschwitz. Gente,
insomma, vicina alla Resistenza e alla lotta di Liberazione. Ebbene, tutti mi hanno riferito che in quello spettacolo non hanno trovato assolutamente nulla di sconvolgente e che si tratta di una polemica assolutamente ideologica. Cristicchi ha solo voluto evidenziare
che vanno condannate tutte le forme di violenza chehanno segnato la nostra storia.Non ci possiamo più nascondere».
Qualcuno, come la onlus Cnj, vorrebbe addirittura togliere la tessera onoraria dell`Anpi al cantante per aver ricordato le foibe e il destino di quegli esuli.
«Quelle associazioni e quegli esponenti territoriali dell`Anpi che hanno sottoscritto l`appello contro Cristicchi per il ritiro della tessera per-
ché nel suo spettacoloha ricordato le foibe, mi sembrano fuori dal mondo. Non c`è nulla di sconvolgente in quelle dichiarazioni.
Ricordare quello che furono le foibe non è uno scandalo e nulla toglie al valore della Resistenza e alla lotta partigiana.Se memoria dev`essere, si ricordi tutto. È arrivato il momento di riconoscere che chi scappava da Tito non era fascista,ma cercava la libertà come la cercavano i nostri partigiani. Mi chiedo se chi ha rilasciatocerte dichiarazioni abbia realmente visto lo spettacolo di Cristicchi. Il "negazionismo" va condannato a 360 gradi, anche quello sulle foibe».
C`è chi nell`Anpi ha una posizione molto rigida e si accoda alla richiesta di Cnj.
«Le opinioni di chi persegue rigidamente i valori dell`Anpi sono univoche nel senso che ricordano solo la violenza fascista, riconoscono e condannano solo quella, non quella delle foibe. Sto parlando della parte "conservatrice" che fari ferimento o che è vicina ai Comunisti italiani e a Rifondazione comunista. Sbagliano e lo ripeto. Ricordare le foibe non vuol dire negare la Resistenza o la lotta parrtigiana».
Accanto a Elena Improta c`è Mario Bottazzi, ex combattente partigiano ora nel comitato provinciale dell`Anpi romana.
Va oltre, Bottazzi, e si chiede perché non si debbano ammettere nell`Anpi anche persone legate alla destra più moderna e antifascista. Sul «caso Cristicchi» abbiamo sentito anche Carlo Smuraglia, presidente nazionale dell`Anpi che si chiede: «Chi, come e quando ha deciso di dare la tessera ad honorem a Cristicchi? In ogni caso l`Anpi toglie le tessere solo ln casi eccezionali, solo in
presenza di gravissimi fatti di indegnità». Sottolinea, il presidente dell`Anpi, che «si occuperà della cosa, lo farà la sezione locale, per verificare di che spettacolo parliamo e di questa tessera ad honorem. Sarà una verifica seria e non improvvisata».
E poi prosegue: «In genere sono per rispettare le manifestazioni d`arte, prenderle per quelle che sono e poi discutere. Certe cose non si affrontano a picconate, vanno rispettate. Se poi uno fa uno spettacolo per negare l`esistenza delle camere a gas, allora ci si arrabbia. Se invece affronta qualcosa che è ancora oggetto di discussione, è diverso». Infine Smuraglia ammette che su quegli esuli italiani in fuga da una dittatura perché in cercadella libertà e non in quanto fascisti, «è arrivato il momento di discutere seriamente, di affrontare l`argomento nelle sedi opportune».
18 - Secolo d'Italia 08/01/14 «Lo spettacolo di Cristicchi offende i partigiani». E lui replica: «Vi restituisco la tessera dell’Anpi»
«Lo spettacolo di Cristicchi offende i partigiani». E lui replica: «Vi restituisco la tessera dell’Anpi»
di Valter Delle Donne
Non c’è pace per i martiri delle foibe, neanche quando le loro storie sono messe in versi, come ha fatto Simone Cristicchi nel suo spettacolo teatrale Magazzino 18. Lo riporta il quotidiano romano Il Tempo, nell’ennesima puntata di questa telenovela che vede il cantautore romano vittima periodicamente di insulti, di velate minacce o di semplici scomuniche dal mondo culturale e artistico di sinistra. Stavolta si è mossa addirittura l’Anpi che ha chiesto, attraverso un centinaio di suoi iscritti, che sia ritirata a Cristicchi, da sempre schierato a sinistra, la tessera di partigiano onorario. Centinaia di firme sono arrivate sotto un fluviale appello che recita, tra l’altro: «Il Signor Simone Cristicchi, nell’ambito del suo spettacolo teatrale Magazzino 18, che ha come tema la “trasposizione” di alcuni vissuti drammatici degli esuli d’Istria, di Fiume e Dalmazia… sembra alimentare a livello mediatico e diffusivo a mezzo web una propaganda politica antipartigiana, che ancor più gravemente si mostra priva di analisi storica, riportando interpretazioni che riteniamo falsino fatti e circostanze, con un esito di palese natura strumentale… Evidenziamo inoltre che le tesi, le congetture, i toni delle polemiche, l’accettazione di messaggi e manifestazioni di scherno ed offesa rivolte alla memoria storica della Resistenza sia italiana che jugoslava, presenti nel profilo facebook e in altri siti gestiti dal cantautore, non ci appaiono politicamente ed ideologicamente espressioni vicine alla storia e rispettose dei principi ispiratori dell’Anpi…».
E per capire quanto sia oscurantista la sinistra italiana, basterebbe leggere quel che scrive il manifesto del 28 dicembre. «Cristicchi inciampa rovinosamente mettendo in scena uno spettacolo che si basa quasi esclusivamente sul testo di Ian Bernas Ci chiamavano fascisti. Eravamo italiani e propone un’interpretazione di quegli accadimenti parziale, se non univioca». Il terrore del quotidiano comunista? Il testo «avvicina pericolosamente le due ideologie contrapposte, comunismo e fascismo, per omologarle. E generando confusione». Insomma Cristicchi «presta solo il fianco al revisionismo storico che avvelena il tessuto sociale di questo paese da troppo tempo». Alle accuse e agli anatemi, Cristicchi ha risposto a più riprese sulla bacheca di Facebook: «Da antifascista, sono schifato da tutto ciò. La tessera gliela rispedisco io! In posta prioritaria. Altrimenti – scrive in un altro post il cantautore – senza tante chiacchiere…si facciano loro uno spettacolo con la loro “sacrosanta” verità. In fondo, ma molto in fondo, siamo un paese democratico, no?»
19 - Il Tempo 10/01/14 Magazzino 18 - Bernas: «Revisionismo? Questo tema era stato occultato dalla storia ufficiale»
Al Magazzino 18 sembrava di stare ad Auschwitz
Bernas: «Revisionismo? Questo tema era stato occultato dalla storia ufficiale»
di Gabriele Antonucci
«La storia non deve essere di nessuno, ma la verità deve essere di tutti». Così il giornalista e scrittore Jan Bernas, esperto di geopolitica e di storia, ha spiegato l’urgenza artistica della genesi di «Magazzino 18», spettacolo scritto insieme a Simone Cristicchi. Un’idea accarezzata per vent’anni dal regista Antonio Calenda, che ha trovato finalmente compimento grazie ai fortunati incontri con Cristicchi e con Bernas, contattato dal cantante dopo aver letto il suo libro «Ci chiamavano fascisti.Eravamo italiani».
Lo spettacolo, dopo il trionfale debutto a Trieste, ha ricevuto grandi consensi in tutta Italia per l’equilibrio del testo, la sensibilità di Cristicchi e la regia emozionante di Calenda. «Magazzino 18» diventerà un libro, che uscirà a febbraio per Mondadori, corredato dalle foto realizzate dall'autore all’interno del silos dove sono ancora accatastati i beni lasciati dagli esuli italiani in fuga. Per Bernas entrare al Magazzino 18 «è stata un’esperienza incredibile, mi ha ricordato l’atmosfera del campo di concentramento di Auschwitz. Prima di tutto è necessario un permesso speciale per entrare. Una volta dentro, sono rimasto colpito da un salone enorme, pieno di sedie accatastate una sopra l’altra. Dietro ognuna è riportato il nome e il cognome del proprietario. Una stanza è piena di giocattoli, un’altra di libri, registri e perfino di lettere d’amore. Fa venire i brividi».
Quanto alle polemiche sullo spettacolo, l’autore se le aspettava, «ma non così forti, violente e preconcette. Le critiche più odiose sono quelle che sono arrivate prima che lo spettacolo andasse in scena o, dopo il debutto, da chi non l’aveva neanche visto. In "Magazzino 18" non diamo colpe, è semplicemente un atto di educazione alla memoria». Per Jan la parola foiba non è soltanto un tabù, ma «una semplificazione simbolica di una vicenda molto più complessa e articolata. Le foibe, in realtà, sono la punta dell’iceberg, visto che in quel periodo tanti italiani sono morti di crepacuore, chi a seguito dell’internamento, chi morto dentro, rimanendo a Pola o a Fiume». Sono state numerose le difficoltà nello scrivere un testo che affrontava una materia così delicata. «»È stato più duro che scrivere un libro. Quando devi raccontare sopra un palcoscenico avvenimenti così poco conosciuti non puoi dare nulla per scontato, né dal punto di vista storico né da quello drammaturgico. Devi condensare una vicenda complessa in meno di due ore».
Sulle accuse di revisionismo, lo scrittore mostra di avere idee chiare: «Se per revisionismo intendiamo che per la prima volta in Italia viene rappresentato a teatro un argomento così occultato, allora lo è. Se con quel termine indichiamo una mistificazione storica a favore di una sola parte, non lo è certamente. È stato difficile realizzare uno spettacolo equilibrato: sarebbe stato molto più facile scrivere un testo di parte». Bernas si è accostato all’esodo degli italiani dalla Jugoslavia fin da giovanissimo. «Quando ero al liceo già mi interessavo di storia. Un giorno chiesi alla mia insegnante: "Come mai sono partiti tutti quegli italiani dall'Istria?" "Perché erano tutti fascisti". Non mi sono accontentato di quella secca risposta e ho iniziato una ricerca di molti anni che mi ha condotto a visitare quei luoghi, a conoscere e a intervistare decine di esuli».
Grandi emozioni gli ha riservato la prima dello spettacolo a Trieste, dove era stata allarmata perfino la Digos per il rischio di scontri tra opposte fazioni politiche: «Quella sera c’era una tensione molto forte, ma l’applauso di un quarto d’ora con il pubblico in piedi, gli anziani esuli in lacrime che ci hanno abbracciato, l’inno nazionale cantato alla fine da tutta la sala sono stati i migliori regali che io, Cristicchi e Calenda potessimo ricevere».
Gabriele Antonucci
20 - Il Tempo 08/01/14 Quella fuga per la vita degli italiani negati
Quella fuga per la vita degli italiani negati
Tra il 1943 e i1 1947 la carneficina di Tito
Poi lo sradicamento dalla terra d`origine
Federico Guiglia
Ma quanto tempo deve ancora passare perché il dramma dell`esilio giuliano-dalmata e la tragedia delle foibe diventino memoria per tutti? Memoria è quel luogo del nostro animo dove il ricordo dell`orribile pagina di storia, che si è scritta sul confine nord-orientale italiano soprattutto dal`43 al `47, può ancora ferire gli anziani testimoni, commuovere i giovani che non conoscevano, far riflettere un`intera nazione chiamata a custodire per sempre un capitolo di sé per troppi anni rimosso. Ed è incredibile che a Simone Cristicchi, artista di valore di una generazione del tutto estranea alla vicenda, venga oggi scagliato l`anatema di «propaganda anti-partigiana» per lospettacolo profondo e delicato, esattamente com`è lui, dedicato
all`esodo di trecentocinquantamila connazionali. Come ormai si sa o si dovrebbe sapere, essi furono costretti ad abbandonare la terra in cui erano nati o cresciuti per evitare, nel migliore dei casi, di perdere la loro identità italiana. Anzi, italianissima, tipica della gente di confine, lontana da Roma e perciò amante di un amore travolgente verso la nazione italiana. Nel peggiore dei casi, gli esuli fuggivano per evitare la fine orrenda dei ventimila infoibati, uccisi o torturati dai partigiani comunisti di Tito con la sola «colpa» d`essere italiani. Senza dimenticarel`esproprio dei loro beni, che spesso erano il frutto di sacrifici che si tramandavano di padre in figlio, perché in Istria, Fiume e Dalmazia si parlava italiano dalla notte dei tempi.
Dunque, è stata un`epopea triste. E stata una fuga per la vita di chi, da quel giorno, da quell`ultimo imbarco verso la madre-patria, avrebbe perduto tutto, fuorché la dignità. La dignità di raccontare quel che era successo, ma senza piangersi addosso. La dignità di ricominciare daccapo in Italia o all`estero, perché una parte notevole degli esiliati è partita
due volte: la prima dalla propria terra verso la propria patria. La seconda dalla patria verso il mondo. L`Australia; il Canada, l`America, sempre portandosi nel cuore quel dramma silenzioso e quasi inconfessabile, tanto tremendo era stato. Portandoselo, il lutto collettivo, con straordinaria civiltà. È un esodo che non ha prodotto alcun atto di violenza per reazione o per vendetta, a differenza di altri esodi sradicati ed espulsi in tante parti dell`universo. Di più. Questi nostri fratelli mai hanno mostrato né fatto valere rancore nei confronti di chi li aveva cacciati da casa loro.Chiedevano e chiedono solo «giustizia». Le loro lacrime mai hanno riempito gli studi televisivi, a cui per anni i sopravvissuti e le loro famiglie si sono sottratti con discrezione. Anche nel dolore essi hanno dato prova di un`italianità esemplare: gente che non protestava,
che non dava la colpa agli altri dei propri e terribili guai subiti, che non s`inventava partiti per lucrare voti sulla sofferenza. Solamente e nient`altro che un grande, infinito rispetto, dunque, possiamo noi oggi restituire ai vivi e ai morti, chiedendo scusa d`essere arrivati così tardi a «comprendere»e a «condividere» la vicenda.
È quel che ha fatto Simone Cristicchi con lo spettacolo «Magazzino 18», andando a spulciare, per poi narrare, le cose senza nome e senza numeri, ma da oggi con nuova anima, abbandonate dagli esiliati in quel disperato magazzino di Trieste. Cristicchi ha dato voce e senso a una storia che è rimasta muta per decenni. L`artista, che non ha ancora trentasette anni, ha potuto e saputo più degli storici paludati, perfino, che poco o niente hanno voluto ricordare di quell`esodo alla frontiera, voltando per anni la testa e la penna dall`altra parte. Il giovane Cristicchi ha potuto e saputo
più dei politici navigati, mondo al quale non appartiene. E si vede, e si sente: libero artista in libero Stato. Un mondo, quello politico, che ha scoperto l`esilio e le foibe solo in tarda Repubblica quando, con legge del 2004, fu proclamato «giorno del ricordo» il 10 febbraio, anniversario del Trattato di Pace che staccò dall`Italia quei territori italiani.
Da alloral`esilio e le foibe sono tornati nella nostra storia nazionale. E ogni volta la cerimonia al Quirinale rende omaggio alla memoria dei vinti e innocenti troppo a lungo dimenticati. Il tesoro della memoria.
Perciò la polemica che si è scatenata contro Cristicchi e riportata dal «Tempo», con chi sollecita la cacciata dell`artista dall`Anpi reo non si capisce di che cosa, non è né giusta né sbagliata: è semplicemente incomprensibile. La verità non può far male, neanche settant`anni dopo. Neanche quand`è raccontata con forza e dolcezza per non
dimenticare.
21 - Il Tempo 09/01/14 Intervista a Nino Benvenuti: nel ’54 fui costretto a fuggire Tito imprigionò mio fratello senza motivo
«La storia dell’Istria pesa sulla coscienza di chi nega i fatti»
Benvenuti: nel ’54 fui costretto a fuggire Tito imprigionò mio fratello senza motivo
di Gabriele Antonucci
«Dobbiamo raccontare la storia, ciò che è successo veramente in Istria, ma senza risentimento». È un messaggio di buon senso e di pacificazione, quello che proviene dal campione di pugilato Nino Benvenuti, a proposito della dolorosa vicenda dell’esodo istriano che lui ha vissuto sulla sua pelle.
Non si sono ancora placate le polemiche per la richiesta della onlus Cnj (coordinamento Nazionale per la Jugoslavia) di ritirare la tessera onoraria dell’Anpi a Simone Cristicchi, colpevole di essere il protagonista di un bellissimo spettacolo di teatro civile, «Magazzino 18», che ha fatto luce su una ferita ancora aperta della nostra storia. Scritto a quattro mani dallo stesso Cristicchi insieme a Jan Bernas e reso ancora più emozionante dalla regia di Antonio Calenda, abile a tenere alta la tensione per tutta la durata del monologo, «Magazzino 18» ricostruisce, a partire da un capannone di Trieste colmo di beni abbandonati degli esuli, la storia di trecentomila italiani che da un giorno all’altro si sono ritrovati senza nulla.
Pur non avendo visto lo spettacolo, Benvenuti, nato e cresciuto a Isola di Istria, un piccolo paese di seimila abitanti, ricorda bene il Magazzino 18. «Certo che mi ricordo. Noi lo chiamavamo il silos. Avevo degli amici che ci abitavano, non c’erano soltanto cose. Per noi era un posto come un altro, non ci piangevamo addosso, sa, le cose le accettavamo». Il campione, informato sulle recenti polemiche, mostra di avere una grande serenità nel ricordare quella drammatica esperienza. Serenità che emerge anche dalle pagine del libro «L'isola che non c'è» (Edizioni Libreria Sportiva Eraclea), scritto a quattro mani insieme al giornalista Mauro Grimaldi, dedicato alla sua terra natia. «Il libro è una storia personale, ma anche anche universale, perché riguarda tutti quelli che come me hanno vissuto sulla loro pelle la terribile esperienza dell’esodo. L’ho scritto perché non andasse perduta la memoria, la mia memoria. In esso racconto la mia vita, fino al periodo delle Olimpiadi».
Dal volume emerge tutto l’amore dello sportivo per la sua terra, dove l’Istria è descritta come «una terra baciata dal sole, da Dio, dalla geografia ma anche dagli abitanti che hanno goduto della specialità di quella terra. Io abitavo a Isola di Istria, un paese straordinariamente bello, ricco per quello che poteva dare. Avevamo una flotta di barche da pesca, che dava lavoro a tante persone, mentre la campagna ci dava tutti i prodotti della terra. A Isola c’erano due pasti sicuri per tutti, a nessuno è mai mancato nulla perché avevano sia terra che mare. Sono tornato spesso là, perchè c’è il cimitero con tutti i miei parenti». Un luogo dove Benvenuti ha vissuto fino a sedici anni e dove ha imparato a tirare i primi pugni. «Ho cominciato a boxare in modo professionale nella palestra aperta a due passi da casa mia, ma avevo già iniziato da bambino a tirare pugni in cantina, dove avevo appeso un sacco pieno di frumento. Come guanti usavo dei calzettoni pieni di stracci». Il 1954 è l’anno in cui lui e la sua famiglia sono stati costretti a fuggire. «La nostra storia dovrebbe pesare sulla coscienza di chi per anni ha negato, di chi sapeva e non ha fatto niente per intervenire. Noi non saremmo mai andati via da casa, ci hanno cacciati. Non pativamo la fame, non eravamo disperati. Eravamo felici». Il campione olimpico, però, negli anni è riuscito a ragiungere una visione più distaccata e serena di questa brutta vicenda. «Le cose che sono successe probabilmente doveva andare così. Non dobbiamo avere astio e risentimento per nessuno. C’è sempre una ragione e un torto. Purtroppo non si può avere sempre ragione. Io avrei tanti motivi di risentimento nei confronti di Tito, mia madre è morta di crepacuore a quarantasei anni perché mio fratello è finito ingiustamente in prigione, ma ho capito che l’odio non serve a nulla».
Alla domanda sul perché ancora oggi in Italia non riesca ad avere una memoria storica condivisa, ma ci si divide sempre in due schieramenti, Benvenuti non ha dubbi: «Dobbiamo aspettare che il tempo guarisca queste ferite, ancora troppo fresche. Se viviamo nel ricordo delle ragioni nostre e dei torti degli altri non arriveremo mai a una fine e non saremo mai felici. A chi giova tutto questo? Dobbiamo darci un taglio su queste cose e ragionare in modo diverso. Io ho imparato a ragionare così stando vicino a persone che mi hanno insegnato a farmi una ragione per quello che succede. Non esistono solo crediti, ma anche debiti.Io non faccio il predicatore, né sermoni, ma ho imparato che bisogna essere sereni».
Gabriele Antonucci
22 – L’Unità 03/01/14 Simone Cristicchi in «Magazzino 18»: L’esodo degli italiani cancellati dalla storia
L’esodo degli italiani cancellati dalla storia
Simone Cristicchi in «Magazzino 18», un «musical civile» che racconta vicende scomode e rimosse
FRANCESCA DE SANCTIS
ROMA
ECHI L’AVREBBE MAI DETTO CHE QUEL RAGAZZO RICCIOLUTO, CHE UN GIORNO ABBIAMO CONOSCIUTO IN TV MENTRE SI ESIBIVA E VINCEVA L FESTIVAL Di SANREMO (ERAIL2007), AVREBBECONOUISTATO L PUBBLICO TEATRALE?
Che sia apprezzato e che ami anche recitare, oltre che cantare, lo avevamo già capito da tempo considerando che negli ultimi anni la sua presenza sui palcoscenici italiani si è Calta sempre più frequente. Simone Cristicchi stavolta ci parla di Trieste, o meglio parte dalla città di Italo Svevo, dal Magazzino 18 del Porto Vecchio, per parlare: del grande esodo degli italiani d’Istria, Fiume, Dai mazia. Una storia scomoda e poco nota che Cristicchi ci racconta alternando l’italiano al romanesco mescolano canzoni inedite scritte dallo stesso cantautore, video e monologhi intensi
Aiutato nella scrittura da Jan Bernas e diretto da Antonio Calenda, in Magazzino 18} (andato in scena alla Sala Umberto di Roma e ora in tournée) Cristicchi guida lo spettatore in un lungo viaggio che inizia con l’arrivo di un archivista romano (che non sa nulla delle foibe) a Trieste, dove viene inviato dal Ministero degli Interni per catalogare documenti, libri, fotografie, attrezzi da lavoro, oggetti chc poco alla volta scopriremo appartenere a persone chc non d sono più. Le loro vite vengo no così alla luce e noi veniamo a conoscenza di quella donna che decise di non partire, del monfal-conese che alla fine andò in Jugoslavia, dei prigioniero del lager, di quel bambino dal campo profughi... Furono quasi 350mila le persone che scelsero - dopo il trattato di pace del 1947 - di lasciare le loro terre destinate a far parte del territorio jugoslavo per proseguire a vivere in Italia. Nel Magazzino 18, dal quale prende il nome il titolo dello spettacolo, gli esuli lasciavano le loro proprietà in attesa di poterne tornare in possesso in futuro.
Uno spettacolo - anzi un -musical civile», come lo defluisce il cantautore stesso - che ha un grande pregio: parlare di una pagina di storia senza sposare tesi né di destTa né di sinistra, ma semplicemente mettendo in fi la una dopo l’altra le testimonianze e raccontandole, con buona musica e poesia.
23 - Società di Studi Fiumani Roma - Comunicato 10/01/14 - Che fine farà la Legge del Ricordo dell'esodo e delle foibe?
Comunicato della Società di Studi Fiumani
Che fine farà la Legge del Ricordo dell'esodo e delle foibe?
Nuove discriminazioni contro gli esuli fiumani
Per ora rigettato dal Governo Letta l'emendamento del sen. Aldo Di Biagio e quello da parte dell'on. Fabio Rampelli a favore dell'Archivio Museo storico di Fiume.
La legge del Giorno del Ricordo purtroppo stabilisce dall'anno scorso contributi minimi di Euro 35.000 all' Archivio Museo storico di Fiume della Società di Studi Fiumani. Una legge che doveva sin dall'origine destinare Euro 100.000. Fra due anni non si sa che cosa verrà ancora stabilito...probabilmente l'azzeramento dei fondi.
Al momento vengono respinti gli emendamenti presentati a favore dell'istituzione fiumana depositaria della memoria delle foibe e dell'esodo dal senatore Aldo Di Biagio per Lista Civica Monti e dall'on. Fabio Rampelli per Fratelli d'Italia. Tali emendamenti richiedevano un ripristino totale dei fondi originari che sin dal 2008 non sono più quelli (o almeno parziale come è stato chiesto al capo di gabinetto del ministro Bray dalla nostra Società di Studi Fiumani per giungere almeno a 60.000 Euro).
PER GLI ESULI FIUMANI NIENTE DA FARE MA INTANTO LEGGIAMO QUANTO ELARGITO COME SEMPRE AD ALTRE REALTA':
L'altra faccia della crisi secondo il Governo - notizie tratte da "La notizia giornale.it"
- 1 milione e 476 mila euro è stata appena destinata dal Viminale all'Associazione nazionale vittime civili di guerra.
Si tratta di un ente nato nel 1943, in piena seconda guerra mondiale, per assistere appunto le vittime civili del conflitto
- Per i Musei della Shoah : E' autorizzata la spesa di quattro milioni di euro, di cui un milione per l'anno 2013 e tre milioni per l'anno 2014, quale contributo per la prosecuzione dei lavori di realizzazione della sede del Museo nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah e museo della Shoah a Ferrara, di cui alla legge 17 aprile 2003, n. 91
- 2 milioni alle ANPI -
- Contributo in favore del "Centro Pio Rajna" in Roma Euro 1.500,000,00 in tre anni
( E' autorizzata la spesa di 500.000 euro per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015 per il finanziamento del Centro di studi per la ricerca letteraria, linguistica e filologica Pio Rajna in Roma).
- 227 mila euro a beneficio dell'Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti.
- 67.950 euro è stato staccato a favore dell'Associazione nazionale combattenti e reduci.
- 57.800 euro per la Federazione italiana volontari della libertà
ecc. ecc
24 - L'Arena di Pola 12/12/13 - 58° Raduno degli Esuli da Pola: Pola, 15-18 maggio 2014
58° Raduno degli Esuli da Pola: Pola, 15-18 maggio 2014
Procedono i preparativi per il 58° Raduno nazionale degli Esuli da Pola, che si svolgerà da giovedì 15 a domenica 18 maggio 2014 a Pola con base all’Hotel Brioni. Il programma rimane quello preannunciato. Restano solo da definire alcuni dettagli, che vi comunicheremo.
Giovedì 15: arrivo dei partecipanti; serata collettiva.
Venerdì 16: visita all’isola di Brioni Maggiore (che ha già riscosso l’adesione entusiasta delle autorità locali) e pranzo; serata presso una Comunità degli Italiani dell’immediato entroterra.
Sabato 17: in mattinata a Pola presentazione dello studio sulla strage di Vergarolla da noi commissionato ed auspicabilmente anche di altre opere consimili; al pomeriggio in albergo Assemblea annuale dei Soci; in serata una lietissima sorpresa.
Domenica 18: la mattina messa in duomo; a seguire visita a un forte asburgico e incontro sportivo.
Per quanti non potessero raggiungere la città con mezzi propri il Libero Comune di Pola in Esilio metterà a disposizione un pullman, che partirà da Padova giovedì 15 e ripartirà da Pola la mattina di lunedì 19 maggio.
Per il soggiorno tutto compreso (pernotti, pasti, trasferimenti in loco e gita) di coloro che si avvarranno di mezzi propri ripartendo nel pomeriggio di domenica 18 maggio i prezzi sono: camera singola € 240,00; camera doppia € 390,00; camera tripla € 530,00.
Questi invece i prezzi per il soggiorno tutto compreso di coloro che ripartiranno con il pullman la mattina di lunedì 19 maggio: camera singola € 340,00; camera doppia € 560,00; camera tripla € 765,00.
L’adesione di ognuno di Voi è importante. Vi esortiamo a comunicarla prima possibile a Graziella e Salvatore Palermo scrivendo all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. oppure telefonando ai numeri 0383 572231 o 327 3295736. La prenotazione va poi confermata con il versamento della quota di adesione pari ad € 100 a persona. Potete farlo o sul conto corrente postale n. 38407722 intestato a «L’Arena di Pola, Via Malaspina 1, 34147 Trieste», o tramite bonifico bancario intestato a «Libero Comune di Pola in Esilio, Via Malaspina 1, 34147 Trieste». In quest’ultimo caso occorre scrivere – direttamente in banca o tramite il sito internet
25 - Il Piccolo 08/01/13 Prigionieri nel lager di Tito Esce la lista dei 16mila nomi
Prigionieri nel lager di Tito Esce la lista dei 16mila nomi
La rivista croata “Novi Plamen” ha pubblicato il lungo elenco su Internet.
A Goli Otok i morti tra il 1949 e il 1956 furono almeno quattrocento
di Stefano Giantin
Ma scrivere 16mila, scrivere 400, non rende l’idea dell’orrore e della violenza cui assistette l’Isola Calva, tra il 1949 e il 1956. E non rende del tutto onore alle vittime, che sempre dovrebbero avere un nome. Ma adesso anche per il gulag di Tito, nel quale finirono a migliaia dopo la rottura del 1948 tra il Partito comunista jugoslavo e Mosca – solo perché “cominformisti” o per vendette personali ed errori burocratici e giudiziari – i nomi ci sono. Ci sono grazie alla rivista politico-culturale croata “Novi Plamen”, che di recente ha reso pubblico via Internet, «l’elenco esclusivo delle vittime» di Goli Otok, leggi delle 16.101 persone che vi sarebbero state rinchiuse tra il 1946 e il 1956. In basso, sui documenti, il timbro degli Archivi di Stato croati, da cui la lista è uscita per giungere nelle mani del magazine di Zagabria.
Elenco compilato all’inizio degli Anni Sessanta dall’Udba, i servizi di sicurezza di Tito, rigorosamente in ordine alfabetico. Primo della lista, Mate Abaza, nato il 17 febbraio 1922, arrestato il 24 novembre 1950 e liberato più di un anno dopo, a tre giorni dal Capodanno del 1952. Nell’ultima pagina, Gojko Zuvela, nato nel maggio del 1921, fermato la vigilia di Natale del 1952, tornato libero solo due anni più tardi. Fra le date di nascita, arresto e rilascio, un codice numerico - per gli italiani era il 33 - che indicava l’etnia del prigioniero. In un’altra lista, divulgata da “Novi Plamen” a fine novembre, erano state invece enumerate, con nome e cognome, quelle vittime che, fra sedicimila sfortunati «informbirovci» costretti nell’isola per essere rieducati a furia di percosse e lavori forzati, non riuscirono a uscirne vive. In tutto, oltre 440, trecento civili, 112 militari. “Novi Plamen”, che ha giustificato la pubblicazione della lista con la volontà di chiudere il discorso e di interrompere il circolo vizioso di «speculazioni» sul numero dei detenuti e dei morti nell’isola, andato avanti per decenni anche col fine, secondo il giornale – orientato a sinistra – di «screditare l’intera epoca del socialismo jugoslavo». Fra i nomi sulla lista «ho trovato mio nonno», «anch’io, lì ha scavato pietre per cinque anni e non è tornato», «finalmente si fanno i nomi», alcune fra le timide reazioni sul web balcanico alla notizia.
Ma che valore storiografico possono avere quelle liste? «I numeri da lei menzionati, e fra questi ci sono anche più di 800 donne, sono esattamente quelli che cito nei miei libri», risponde al telefono Giacomo Scotti, fra i massimi conoscitori di quell’abisso, primo a rivelarne l’esistenza in Italia. Finora «i nomi pubblicati erano quelli degli italiani, fiumani, quarnerini, istriani, monfalconesi, goriziani» finiti a Goli Otok dopo essere emigrati in Jugoslavia per costruire il socialismo. Oggi «per la prima volta, vengono pubblicati nella ex Jugoslavia» i nomi di tutti gli altri «finiti a Goli Otok e nelle altre isole intorno a Zara, a San Gregorio e sulla terraferma, in galere vere e proprie», conferma Scotti. Scotti che poi ricorda che, dei 400 morti e oltre, «una decina erano italiani», mentre nell’inferno dell’isolotto spoglio e arido «ne passarono circa trecento».
Fra i sopravvissuti, in molti ebbero remore a parlare dell’esperienza del lager, dopo esserne usciti, anche dopo la fine della Jugoslavia e dopo il termine del loro isolamento in libertà, spiati da polizia e servizi perché non rivelassero l’esistenza dei lager di Tito. Remore in parte originate dalla «vergogna di essere stati costretti a picchiare, tormentare e martirizzare» i propri compagni di sventura, una maniera subdola e crudele per umiliare i prigionieri al livello di animali. Ma «dicevano», raccontavano, puntualizza poi Scotti, anche se «non dicevano tutto». Numeri, quelli della lista segreta e quelli di Scotti, confermati anche da Zorica Marinkovic, ricercatrice serba e organizzatrice della mostra “U ime naroda”, tema la repressione e i crimini del regime in Serbia e Jugoslavia compiuti tra il 1944 e il 1953. Repressione che, in tutto il Paese, interessò almeno centomila persone, «50-60mila finirono nelle varie prigioni su tutto il territorio jugoslavo».
Di questi, «16.500» furono tradotti «a Goli Otok», secondo «i dati che abbiamo ricavato dai documenti della polizia segreta», rivela Marinkovic. Anche i numeri sui decessi corrispondono, anche se bisogna ricordare «che la cifra potrebbe essere leggermente superiore, dato che le persone morte a Goli Otok venivano sepolte in luoghi sconosciuti o gettate in mare», per occultare le prove dell’oppressione e della durezza del regime, la vergogna di quell’alba del socialismo jugoslavo.
26 – La Voce del Popolo 08/01/14 Cultura - Il patrimonio di versi in dialetto fiumano un tesoro culturale che va riscoperto
Il patrimonio di versi in dialetto fiumano un tesoro culturale che va riscoperto
Se c’è un qualcosa che può scaldare il cuore degli abitanti della città di San Vito questi è sicuramente il “dialeto fiuman”. Quando ne senti la parlata - purtroppo sempre più rara e da parte di una generazione canuta – sai di essere “a casa”. E, improvvisamente, tutta la vita sembra un po’ più dolce. La sua cadenza, i suoi ritmi, la sua miscela assolutamente unica di veneto - con non pochi prestiti dal croato, tedesco, ungherese, turco perfino! - sembra una musica che ti culla l’anima.
Vernacolo di una città vivacissima, che nella seconda metà dell’Ottocento visse un’incredibile sviluppo industriale, economico, architettonico e quant’altro, il fiumano produsse inevitabilmente anche una sua letteratura, e più specificamente una poesia in dialetto che ebbe in Mario Schittar-Zuane dela Marsecia, nel Cavalier di Garbo, in Arturo Cafieri e Oscarre Russi i suoi rappresentanti più arguti e appassionati.
Purtroppo c’è una tendenza a sottovalutare questa produzione poetica dialettale che invece, e per molti motivi, sarebbe ben meritevole di essere rivalutata e diffusa, specie tra i giovani. Quanto sarebbe bello poter acquistare nelle nostre rivendite le poesie di questi autori! Chissà, forse per il prossimo Natale…
I pregi dei versi in vernacolo
Ma veniamo ai nostri magnifici quattro e al loro poetare. Quali sono i pregi della poesia dialettale fiumana? La schiettezza, la verità dei sentimenti (autentico balsamo per un certo tipo di vita vissuto all’insegna dello stress, del virtuale...), l’arguzia, l’umanità, il solo fatto di esistere e di testimoniare la città, le persone, la mentalità del popolo e i costumi del tempo.
“Il dialetto... riflette come uno specchio la coscienza di un popolo, il suo spirito, il suo estro più genuino”, affermano le prof.sse Srelz e Maria Schiavato nella premessa della loro piccola antologia di poesie fiumane “El dialeto fiuman”, realizzata in ciclostile per le SEI di Fiume.
Comunque, al di là del fatto puramente letterario – che si presenta gustosissimo se non proprio eccelso - questi versi, nella loro musicalità e vivacità d’immagini si colorano spesso di sfumature “sociologiche” e politiche di grandissima attualità.
Il primo bohemien fiumano
Passiamo ad una veloce carrellata degli autori di poesia dialettale fiumana, a cominciare dall’appassionato Mario Schittar, noto come Zuane de la Marsecia (1862-1890), iniziatore del verseggiare in vernacolo a Fiume e primo bohemien fiumano. Spirito bizzarro, autentico figlio del popolo, diede espressione alle sue frustrazioni di uomo “ricco di sogni e povero di pane” nella raccolta “I sfoghi del cor”, in cui la tematica amorosa ha una parte non trascurabile.
La delusione d’amore del poeta e l’ammonimento ai giovani ingenui sono esplicitate in “Ste a sentirme”.
“Ste a sentirme, cari tosi,
Come son ben disgraziado:
Una dona d’amorosi
Caldi basi m’ha insempià.
Come al can un lazzo involto
Ga sta infame al colo mio,
La me ga pe’ naso ciolto,
E son sta remenà...
Jovinotti, ste sirene
Cerchè sempre de scampar,
E se no tremende pene
Loro ve farà provar”.
In “Lasseme star in paze...” il poeta lamenta la mancata considerazione dei sentimenti, dell’onore e della fede.
“Sentimento non xe più in questi jorni/De moda non xe più;...Amor, adesso xe una mercanzia,/Come la fede, l’onor.../Ma se vu soldi non gavè in scarsela/Nissun ve vol più ben... /. Suona piuttosto familiare.
Nel “Diavolo e el pitor” Zuane de la Marsecia in forma dialettica tra il povero pittore e il Maligno – pervasa di sentori “faustiani” - preferisce alle ricchezze offertogli dal Diavolo la possibilità di vivere modestamente ma con onestà dei proventi della propria arte.
“Non vojo mi richezze; ma concedi/che vivo col lavor...Po trovime una tera/Dove xe amor, justizia, verità/La fede, e non la guera/De cambiali, d’usure e falsità; (Quando si dice l’attualità!) E il Diavolo: “Del sol nol ga el ciaror/El logo che ti zerchi in questo mondo.../Nel vizio l’omo go cazza ben ben/Col suo volubil cor,/Per farghe al grande Dio dispeto in pien....
Rocambole
Quando Mario Schittar, appena ventisettenne venne a mancare, Arturo Caffieri così riassunse la sua personalità:
“Amava el sol, el mar, el ziel e la natura, la sua zità natal e la sua jente
Il Cafieri, pseudonimo Rocambole (1867 – 1941), impiegato, scrisse delle rime che hanno il pregio di illustrare fatti di cronaca cittadina del tempo, anniversari e avvenimenti (“Cose de ogni giorno”, ”Ala festa dei veci fiumani”, “Aventura...coniugal”). Tra i vecchi fiumani c’è forse ancora qualcuno che ricorda la sua figura alta, vestita di nero, con un gran fiocco alla Lavallière. Visse in Calle S. Modesto n. 1, dove si spense.
Un fiumano triestino
Articolata, acuta e abbondante si presenta la produzione di Gino Antoni, in arte Cavaliere di Garbo (1877 – 1948), triestino di nascita, ma trapiantanto a Fiume fin da subito. Già da studente di giurisprudenza pubblicò “Fiori di campo”, e più avanti “Sonetti fiumani”, in cui si esprime in un dialetto influenzato dalla lingua letteraria italiana. Spazia dalla tematica patriottica nutrita da una sentita vena poetica
(“Al Quarnero”, “Laurana” – “Laurana mia, bel muso de istriana./Oci color castagna, abito oliva,/Col campanil de l’aria veneziana./Che a noi la via del cor presto l’intiva.” - “La nostra lingua”), ai temi politico-sociali, non senza un impeto polemico (“Lo squero morto “, “La scolara povera”, “La scolara rica”, “Republica!”, “El progreso”,- “I n’à rubà el comerzio, a la marina/Gente i ne mete brava... pei cavai/“El fiumano pol zercar lavoro... in China!”).
Sembra scritto, nella sua stringente dialettica, per il momento attuale il sonetto “Tempi cattivi” che fa:
“- Comare, no se pol andar avanti -/- Tuto xe caro - El zucaro, la carne -...- Zent’ani fa, mia nona racontava,/A tre zvanzeghe el vin se lo pagava -/- “La gente andava in ciesa e se sposava - /...Comare, se starà meio in inferno!”.
Non mancano i sonetti di costume e la poesia lirica dedicata al paesaggio e alla natura. Versi gustosissimi; da leggere tutto d’un fiato.
Il Russetto
Ultimo in ordine di nascita tra i poeti in vernacolo di vecchia generazione fu Oscarre Russi (1887 – 1910), detto il Russetto, il quale ci lascia una raccolta – dedicata “all’egregio pubblicista signor Umberto Corradini” - venata di perspicace e godibile satira sociale e di costume. E così disquisisce in versi sul duello, sui “pedoci refadi”, sull’educazion delle ragazze di “buona famiglia” e sulla carità pelosa, sui conferenzieri, sugli osti che annacquano il vino, sui cantanti lirici improvvisati, sulla superstizione, la filantropia, gli snob, la moda del busto e la “vilegiatura” e quant’altro. Una vera e propria quanto preziosa fotografia della società fiumana del tempo.
Ecco che cosa ne pensa de “La politica“ per es.:
“In fato de politica ogigiorno/Bisogna dir, xe tal la confusion...Ve digo mi, xe infati/Dove i politicanti più furiosi/I ga più ciacole che fatti... E tanti co’ no i ga cossa magnar/I pensa, che per non morir rabiosi /, Che torni conto de politicar!”.
Serve commentare?
E a proposito del “Riposo domenical“, su cui oggi si discute tanto, ecco l’opinione del Russetto.
“I socialisti ga ragion de dir/Che tuto el mondo dovaria osservar/La festa de domenica e tegnir /Tuti i negozi ciusi, no ve par? /...Xe giusto de poterse divertir/El setimo a mandar benedir/Quei sempi che volessi lavorar...”
Troppo bella e di linguaggio colorito, questa sui “Soldi
“Nemizi del dover, de l’onestà,/la sola causa dei più gran malani,/Che piomba su l’intiera umanità/No xè che i porchi soldi, fioi de cani/Mesi a sto mondo per fatalità,/Per rovinar la gente, per far dani,/Guere, deliti, d’ogni qualità...”
E noi dovremmo privarci di tutta ‘sto patrimonio, per quanto non pretenzioso, di filosofia, saggezza, pepe, e via dicendo? Ma siamo proprio sicuri di non aver sottovalutato, nel suo complesso, quest’eredità di vernacolo fiumano e di costume? Ce la sentiamo di chiudere definitivamente il ricco scrigno della poesia del passato diventando più poveri, o non sarebbe piuttosto il caso di spalancarlo e sciorinare i suoi tesori alle generazioni più giovani?
Su Egidio Milinovich cantore della sua “Gomila” e sul suo poetare col cuore in mano, non ci soffermiamo in quanto autore più noto al nostro pubblico, e, speriamo, pure presso le scolaresche delle SEI di Fiume.
Patrizia Venucci Merdžo
27 - East Journal 09/01/14 Croazia: L'isola di Brioni sarà concessa a privati. Zagabria cerca di fare cassa
CROAZIA: L’isola di Brioni sarà concessa a privati. Zagabria cerca di fare cassa
Matt
Il governo croato ha comunicato di voler trasformare l'isola Brioni Maggiore, parte di uno dei più rinomati parchi naturali dell'Adriatico, l'arcipelago delle Isole Brioni, in Istria, in una mèta turistica di lusso. L'isola verrà concessa a un investitore privato e le procedure di assegnazione sono cominciate il 3 gennaio scorso. Secondo quanto affermato dal ministro del Turismo, Darko Lorencin, il concorso per la concessione mirerà a trasformare l'offerta turistica dell'isola in una destinazione esclusiva a livello globale che rispetterà i più alti standard del turismo di lusso, ma anche le normative sulla tutela dell'ambiente.
Fare cassa sembra la ragione fondamentale di questa operazione. Zagabria, preda della crisi economica, della recessione e con una disoccupazione del 21,6 %, si trova a recuperare soldi dove può. Le prospettive economiche croate sono tutt'altro che confortanti, con un rating BBB- e un outlook negativo, il paese è ritenuto dagli investitori esteri precario, con un debito estero ragguardevole e un debito pubblico in aumento al 57.3% (nel 2008, prima della crisi, era al 29,3%) benché basso se paragonato, ad esempio, a quello italiano.
L'arcipelago è conosciuto nel mondo come paradiso naturale, già residenza estiva di Josip Broz Tito, leader comunista jugoslavo, ha una lunga tradizione nel turismo di lusso: avamposto militare asburgico fino al 1893, fu poi acquistato dal magnate viennese Paul Kupelwieser che creò un esclusivo complesso alberghiero. La tenuta comprendeva alberghi di prima classe, ristoranti, spiagge turistiche, un casinò, un porto per gli yacht e divenne un punto nevralgico della vita sociale dell'élite tedesca del Litorale austriaco di Gorizia, Trieste e soprattutto di Pola.
Le isole Brioni divennero così una prestigiosa mèta turistica per gli austriaci più facoltosi e furono visitate da membri della famiglia imperiale e da élites aristocratiche europee. Quando ebbe termine la grande guerra, le isole divennero parte dell'Italia che le lasciò in concessione a Karl Kupelwieser, erede del magnate austriaco, il quale tentò di mantenere lo splendore originale ma, quando, nel corso della crisi del 1929, la tenuta entrò in bancarotta, si suicidò. Così, nel 1930 le isole vennero acquistate dallo Stato Italiano. Dopo la Seconda guerra mondiale le isole passarono alla Jugoslavia e il maresciallo Tito ne fece una sua residenza privilegiata ospitando capi di Stato esteri e divi del cinema europeo e americano.
Il crollo della Jugoslavia ne segnò l'inevitabile declino e la trasformazione in riserva naturale. Oggi, nel declino economico di uno dei paesi sorti dalla dissoluzione jugoslava, le isole Brioni potrebbero tornare ai fasti del passato puntando su un turismo di lusso nient'affatto in crisi. I ricchi si dice che piangano talvolta, ma non è certo questa l'epoca che li dispera.
Si ringraziano per la collaborazione della Rassegna Stampa: L’Università Popolare di Trieste e l’Assoc. Nazion.Venezia Giulia e Dalmazia - ANVGD di Gorizia
Vi invitiamo conoscere maggiori dettagli della storia, cultura, tradizioni e immagini delle nostre terre, visitando i siti :
http://www.mlhistria.it
http://www.adriaticounisce.it/
http://www.arupinum.it