Rassegna Stampa

MAILING LIST HISTRIA
RASSEGNA STAMPA

a cura di Maria Rita Cosliani – Eufemia G.Budicin – Stefano Bombardieri

N. 921 – 11 Ottobre 2014
    
Sommario


268 - Il Piccolo 08/09/14 Non cancelleremo mai il nome di Tito (Mauro Manzin)
269 - La Voce del Popolo 18/09/14 Rovigno nel cuore degli esuli (Sandro Petruz)
270 - Il Giornale  18/09/14  La Scozia d'Italia? Un sogno possibile solo per i veneti (Carlo Lottieri)
271 - La Voce del Popolo 18/09/14 Corso di laurea dedicato a Missoni
272 - L'Arena di Pola 22/09/2014 Non ha senso opporsi al corso della storia (Silvio Mazzaroli)
273 - Aise 22/09/14 LA VOCE DEL POPOLO (CROAZIA) -  “TORNAR” A PIEMONTE D'ISTRIA, UNO DEI SIMBOLI DELL'ESODO (Ilaria Rocchi)
274 - La Voce del Popolo 29/09/14 Un invito alla riflessione - Raduno del LCFE (Rosanna Turcinovich Giuricin)
275 - La Voce del Popolo 29/09/14 ExTempore:  Sentita partecipazione della Regione Veneto (Tiziana Dabović)
276 - La Voce del Popolo 29/09/14 Sissano: Istrioto, un'idioma ormai in estinzione (Daria Deghenghi)
277 - Il Piccolo 02/10/14 Lettere -  BASTA CON LE MISTIFICAZIONI STORICHE DI ANPI E HONSELL (Luca Urizio)
278 - Il Piccolo 06/10/14 Zara - In Consiglio si litiga su Calle Larga, interviene la polizia (a.m.)
279 - La Voce di Romagna 07/10/14 Libro - Gorizia - Poggiolini, un eroe romagnolo (Aldo Viroli)

Rassegna Stampa della ML Histria anche in internet ai seguenti siti  :
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268 - Il Piccolo 08/09/14 Non cancelleremo mai il nome di Tito

«Non cancelleremo mai il nome di Tito»
Fiume e l’Istria bocciano la proposta dell’Hdz di eliminare dalla toponomastica il defunto Maresciallo.
«Ricordo ancora vivo»

di Mauro Manzin
 
 TRIESTE. «Cancelleremo il nome di Tito dalla toponomastica della Croazia», aveva gridato il leader dell’Hdz (centrodestra) Tomislav Karamarko dal palco di Dubrovnik il giorno dedicato ai martiri di tutte le dittature. «Riscriveremo la storia - aveva aggiunto - perché ciascuno occupi il posto che si merita e Tito, che viene descritto come un viveur e una persona a modo altro non era se non un dittatore».
Apriti cielo. Era meglio che il presidente del maggior partito di opposizione in Croazia promettesse, qualora risultasse vincitore alle prossime elezioni politiche, di aumentare le tasse. Perché a scatenarsi contro di lui non è stata solo la nipote del defunto presidente della Jugoslavia, Saša Broz, ma anche le principali forze politiche dell’Istria e del Quarnero dove storicamente la maggioranza politica va ai socialdemocratici, come a Fiume “la rossa”, e alla Dieta democratica istriana (Ddi).
Ad alzare la voce è proprio il primo cittadino di Fiume, Vojko Obersnel (Sdp). «Intanto Karamarko aspetti le elezioni per vedere chi sarà in grado di cambiare qualcosa - esordisce il sindaco - e poi studi bene che cosa diceva di Tito il primo presidente della Croazia, Franjo Tudjman alla cui memoria è solito inchinarsi». «Sotto l’incomprensibile politica dello Stato indipendente della Croazia di Ante Paveli„ (Ndh) l’Istria e Fiume - aggiunge - erano sotto la sovranità italiana, ma con la guida di Tito sono ritornate sotto l’ala della Croazia. In questi luoghi la gente guarda in tutt’altra maniera verso Tito».
 
269 - La Voce del Popolo 18/09/14 Rovigno nel cuore degli esuli

Rovigno nel cuore degli esuli

Scritto da Sandro Petruz


ROVIGNO L’amore per il luogo natio non sfiorisce mai e per questo motivo gli esuli dell’Associazione “Famìa Ruvignisa” hanno festeggiato il 57.esimo incontro nell’amata Rovigno, in occasione delle festività di Sant’Eufemia. Il raduno annuale dell’Associazione che riunisce gli esuli rovignesi, si è concluso con un pranzo conviviale all’hotel “Eden”, cui hanno partecipato pure la vicepresidente della Regione Istriana, Viviana Benussi, il vicesindaco Marino Budicin e il direttore del Centro di Ricerche Storiche, Giovanni Radossi. Intervenuto pure il giovane Alessio Giuricin, che ha presentato il suo scritto dedicato alle storie che suo nonno gli raccontava in dialetto rovignese, che gli è valso il premio speciale “Famìa Ruvignisa” al Concorso Mailing List Histria 2014. Ai convenuti, un centinaio, sono stati distribuiti il vocabolario italiano-rovignese scritto dal prof. Libero Benussi e il libro “Svolta dolorosa - nuova svolta”, della prof.ssa Franca Dapas. L’incontro è stato arricchito da un suggestivo concerto di Nives Veggian Budicin e Sergio Preden - Gato, che hanno presentato diverse famose bitinade rovignesi. Si è concluso con il brano che è considerato l’inno della città, “La viecia batana”, intonato da tutti i presenti con l’accompagnamento musicale al pianoforte del maestro Massimo Brajković.

Quattro giorni intensi

Nei quattro giorni di permanenza, gli esuli hanno organizzato un programma veramente ricco e intenso, che è iniziato con la partecipazione alla “Serata in famiglia” presso la Comunità degli italiani. Una serata che il presidente dell’Associazione, l’ing. Francesco Zuliani, ha definito superlativa sia per l’organizzazione che per la bravura del coro della “Marco Garbin” e dei giovani cantanti del sodalizio rovignese, che hanno dato vita a un bellissimo spettacolo musicale.

Gli esuli hanno visitato pure il cimitero cittadino per una cerimonia di commemorazione dedicata a tutti i caduti rovignesi della Seconda guerra mondiale, a coloro che sono stati deportati nei campi di concentramento, alle vittime delle foibe e a tutti gli esuli che sono morti lontano dal luogo natio. I discendenti delle famiglie Manzin e Rocco hanno donato al cimitero due lapidi, rispettando la volontà dei propri cari. L’Associazione ha pure deposto tre corone di fiori in ricordo del grande maestro Piero Soffici, del pentatleta rovignese Silvano Abbà e di tutti i caduti.

Nella ricorrenza della giornata patronale, come ogni anno si è svolta la messa solenne nella chiesa di Sant’Eufemia, che riveste un significato particolare per tutti gli esuli rovignesi, perché è lì che molti di loro hanno ricevuto i primi sacramenti.

Tra i vari incontri, pure quello con lo storico e giornalista Guido Rumici, che ha presentato le sue ultime ricerche sull’Istria dal 1940 al 1952, e una visita alla città di Pola con due guide d’eccezione, come la prof.ssa Claudia Milotti e Lino Vivoda, che hanno presentato l’enorme patrimonio storico romano della città.

2015 dedicato a Piero Soffici

Momento molto atteso, l’Assemblea annuale, che ha visto l’approvazione delle linee guida per il futuro, basate sulla divulgazione della storia dell’Istria alle generazioni più giovani e sulla continuità della collaborazione con i “rimasti” perché, come ha sottolineato più volte il presidente dell’Associazione, i rovignesi sono un popolo unico, unito da una storia comune ma diviso dal destino. L’Associazione continuerà a lavorare pure sulla promozione e valorizzazione dei personaggi storici di Rovigno. In particolare, il prossimo anno verrà celebrato in modo adeguato il decimo anniversario della scomparsa del maestro Soffici, che ha musicato in maniera impareggiabile l’amore che ogni rovignese nutre per la sua città. L’ing. Zuliani ha inoltre esortato i membri dell’Associazione a seguire il suo esempio e a portare i propri familiari a Rovigno per far conoscere da vicino le bellezze naturali e la storia di questa città.

“Questo raduno mi rimarrà nel cuore soprattutto per aver portato i miei nipotini, Luca di 15 anni e Marco di 7, a conoscere il mare e la costa della mia Rovigno e far sentire loro le nostre bitinade, affinchè comprendano quanto questa città sia un luogo indimenticabile”, ha rilevato Zuliani.

270 - Il Giornale  18/09/14  La Scozia d'Italia? Un sogno possibile solo per i veneti

La Scozia d'Italia? Un sogno (possibile) solo per i veneti

La Serenissima vanta una storia gloriosa e un'economia forte. E desidera l'indipendenza, a differenza della Lombardia

di Carlo Lottieri

Nel quadro europeo vi sono molte regioni animate da spinte separatiste. Oltre all'unità di Spagna e Regno
Unito (contestata da catalani e scozzesi), è certo a rischio la tenuta del Belgio, dato che l'indipendentismo fiammingo va crescendo di elezione in elezione.
E situazioni calde esistono anche da noi, sebbene non sia facile dire quale sia la Scozia d'Italia e quale potrebbe essere, insomma, «l'anello che non tiene»: il luogo di disgregazione dell'unità costruita a metà Ottocento. Di primo acchito, si potrebbe pensare che le maggiori analogie con la situazione scozzese si ritrovino in Sicilia, che all'indomani della Seconda guerra mondiale seppe giocare la carta della propria diversità e conquistò un'autonomia particolarmente forte. Per giunta, se la Scozia ha i pozzi di petrolio, in Sicilia si pretende di tenere per intero le accise della raffinazione. Ma le analogie finiscono qui, dato che la dipendenza dell'economia siciliana dai soldi pubblici è talmente forte che ogni progetto separatista rischia di essere percepito dai più come autolesionista.
Un discorso in parte diverso merita la Sardegna, dove spiccato è il senso di un'identità ben definita. Fino a oggi, però, l'indipendentismo sardo ha patito un'attitudine alla chiusura etnico-culturale che gli ha impedito di fare presa sulla società più dinamica. Ora sta nascendo anche un indipendentismo liberale, che associa autogoverno e libero scambio, ma la strada da compiere resta lunga.

In questo quadro è normale che le spinte maggiori alla disgregazione si registrino al Nord. E così è significativo che a Trieste nei giorni scorsi siano scese in strada migliaia di persone a sostenere che lo statuto della città giuliana all'interno dei confini italiani è illegittimo, dato che il Trattato di Pace di Parigi del 1947 - alla fine della Seconda guerra mondiale - aveva creato un'entità indipendente che non è mai stata davvero cancellata.
A ben guardare, però, la Scozia d'Italia (o la nostra Catalogna, e si preferisce) è con ogni probabilità il Veneto. È qui che la volontà di andarsene è più radicata: e per una serie di ragioni. Sul piano storico e culturale, Venezia può ricordare al mondo di avere avuto dieci secoli di storia indipendente. Pure dal punto di vista linguistico - da Goldoni a Marin, a Zanzotto - quello veneto è un idioma che vanta una bellissima letteratura e che tutt'oggi è praticato quotidianamente. Ma c'è di più.
I veneti vengono da una storia recente assai difficile, fatta di povertà ed emigrazione, e nel corso degli ultimi trent'anni hanno avuto una crescita significativa, spesso ricondotta al cosiddetto «miracolo del Nord-Est». Questa stagione, però, ormai è chiusa. La popolazione si trova quindi a fare i conti con un passato remoto molto glorioso, un passato meno remoto piuttosto difficile, un passato prossimo di sviluppo e floridezza, e un presente assai cupo. La consapevolezza di essere penalizzati da Roma (di dare all'Italia molto più di quanto non si riceva) spinge così i veneti a sognare una rinascita del Leone di Venezia. E non si tratta solo di sogni.
Da qualche tempo il mondo indipendentista veneto è davvero attivo e dinamico. Un'iniziativa come quella di Plebiscito 2013 ha richiamato su Venezia l'attenzione di tutti e anche a seguito di ciò il Consiglio regionale ha approvato due leggi che mettono al centro proprio il tema dell'autodeterminazione. Nelle scorse settimane il governo Renzi ha chiesto alla Consulta di bloccare queste norme, ma la battaglia - non tanto giuridica quanto politica - si annuncia davvero dura.

Se il Veneto è pronto allo scontro con Roma, i vicini lombardi sonnecchiano. Nonostante siano i più penalizzati dall'unità, oggi non appaiono particolarmente attivi, ma anche qui il vento catalano e scozzese potrebbe presto produrre i suoi effetti.

271 - La Voce del Popolo 18/09/14 Corso di laurea dedicato a Missoni

Corso di laurea dedicato a Missoni

MILANO | Verrà dedicato a Missoni il corso di “Storia e documentazione della moda”, che si terrà da ottobre a dicembre, presso la facoltà di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Milano, nell’ambito del corso di laurea magistrale in “Editoria, culture della comunicazione e della moda”.
L’Università ha pensato a Missoni come primo candidato per questo progetto didattico, per impostare un nuovo percorso formativo per le professioni legate alla storia e alla comunicazione della moda.
Il corso, articolato in lezioni frontali, introdurrà “I mercoledì di Missoni”: una serie di incontri durante i quali componenti della famiglia e rappresentanti dell’azienda condivideranno con gli studenti i segreti di una casa di moda e illustreranno gli aspetti principali legati al lavoro al quale si stanno preparando, visti da una prospettiva inedita.

272 - L'Arena di Pola 22/09/2014 Non ha senso opporsi al corso della storia

Non ha senso opporsi al corso della storia

di Silvio Mazzaroli

«Quando penso al valido contributo dato dagli italiani alla società croata, nella cultura, nella politica, nella ricerca, nell’istruzione e nello sport, devo dire che senza di loro la Croazia non sarebbe stata la stessa». A dirlo, in occasione dell’incontro con il Presidente Napolitano avvenuto a Pola, presso la Comunità degli Italiani, il 3 settembre 2011, è stato il Presidente croato Josipović. Ai più scettici e prevenuti potrà allora essere apparsa poco più che una captatio benevolentiae ma, di fatto, suonava come una nota di merito per noi italiani ed, in particolare, per noi istriani e polesani di lingua e cultura italiana. Era, comunque, quella una tappa del percorso di riavvicinamento tra italiani e slavi – la cui persistente conflittualità può essere fatta risalire al periodo 1914-1945 – avviato il 13 luglio 2010 con il Concerto dell’Amicizia a Trieste e rilanciato il 6 luglio 2014 a Redipuglia con l’esecuzione del Requiem per le vittime di tutte le guerre - Le vie dell’Amicizia, nell’ambito delle celebrazioni per il Centenario della Grande Guerra. Ancora, il successivo 7 luglio, all’inaugurazione congiunta con il Presidente Napolitano della Panchina della pace, il Presidente sloveno Borut Pahor, affacciandosi da Monte Santo sulla piana di Gorizia, ha affermato che «… la pace va perseguita in modo attivo […] perché se non c’è gente che attivamente la vuole, la guerra può capitare…».
 
Sono stati episodi che hanno visto il coinvolgimento dei massimi rappresentanti di Italia, Slovenia, Croazia e, limitatamente alle ultime circostanze, Austria e che si possono annoverare tra i non molti esempi in cui iniziative volte alla riconciliazione tra i popoli adottate ai massimi livelli istituzionali si sono rese interpreti del buon senso della gente comune, decisamente stanca di contrasti e divisioni. Quel buon senso che, ahinoi, troppo spesso viene inficiato da quanti, a livelli intermedi, arrogandosi il diritto di rappresentare una qualche specifica categoria di individui, anziché preoccuparsi del benessere generale e collettivo, curano interessi contingenti quando non anche solo personali.
E’ questa, per noi esuli da Pola, una nota amara poiché il percorso di ricucitura tra chi, italiano, fu costretto ad abbandonare la propria casa e chi, connazionale e non, tuttora risiede nella nostra amata Città e più in generale in Istria, da tempo avviato con convinzione dalla nostra Associazione, incontra ancora non poche difficoltà. Infatti, i piccoli passi compiuti dai primi anni ’90 dopo l’implosione della ex Jugoslavia, con la modesta accelerazione dovuta anche ai quattro raduni da noi tenutivi negli ultimi anni, hanno sin qui poco più che scalfito il muro di pregiudizi ed incomprensioni esistenti in merito.
Nei tempi post-ideologici che viviamo è lecito chiedersi il perché del permanere di una tale situazione di stallo. Lo è tanto più se si considera che anche al di là degli ormai inconsistenti confini del passato si avverte da tempo la medesima esigenza di riavvicinamento. Lo prova un documento presentato già il 12 novembre 1994 da Loredana Bogliun, Presidente del comitato promotore del Primo Congresso Mondiale degli Istriani, organizzato dalla Regione Istriana e tenutosi a Pola dal 13 al 16 aprile 1995, in cui si affermava che la minoranza italiana presente in Istria, riconosciuta dalla Costituzione croata, è una componente essenziale di detta realtà di cui contribuisce a definire «lo specifico carattere etnico, quale espressione dell’interculturalismo istriano che fa riferimento sia alla componente slava che latina dell’Istria» e nelle cui conclusioni si caldeggiava, tra l’altro, «il ritorno degli esuli istriani nella terra natale» quanto meno in forma di collaborazione culturale, imprenditoriale e commerciale. E’ ben vero che queste belle parole, presenti negli indirizzi programmatici iniziali della Dieta Democratica Istriana (DDI), hanno poi avuto, per i frequenti rigurgiti nazionalistici croati, uno scarso seguito ma lo è altrettanto che nel frattempo, non essendosi mai fermata la ruota della storia, sono intervenuti significativi mutamenti quali il miglioramento dei rapporti bilaterali italo-croati che  ̶ come sostenuto dai rispettivi Presidenti  ̶  sono oggi ottimali sia sul piano politico che economico e, soprattutto, l’ingresso della Croazia nella comune casa Europea.  Non dovrebbe poi essere privo di peso il fatto che proprio il predetto interculturalismo istriano è ancora oggi alla base dell’azione politica della DDI, partito di maggioranza e di governo in Istria ed a livello nazionale, volta alla conservazione dell’autonomia amministrativa della penisola da Zagabria. Una specificità, quella istriana, peraltro ampiamente riconosciuta e sostenuta, anche in tempi recentissimi, dal succitato Presidente Josipović.
Se, come dovrebbe, tutto questo ha un senso e tenuto conto – rifacendosi al passaggio d’apertura del presente articolo – che la stessa Pola senza l’apporto degli italiani di ieri sarebbe oggi, ed a maggior ragione, molto diversa da quella che è, risulta poco comprensibile come proprio nella nostra Città, più che altrove in Istria, si percepisca un’ostilità di fondo ad un fattivo riavvicinamento tra cittadini di ieri e di oggi, alla possibilità per noi esuli di sentirci  graditi ospiti in quella che, non per colpe bensì per meriti, è stata anche “casa nostra” e che del nostro essere stati suoi cittadini ci siano in loco visibili e, soprattutto, rispettati segni. In definitiva, quello che vi si respira è una sorta di ostracismo nei confronti di un nostro, per quanto limitato ed episodico, “ritorno”. Sembrerebbe quasi che ciò a cui aspiriamo, come compensazione morale e come segno tangibile di ricomposizione di un tessuto sociale che è stato strappato dalla Storia, come superamento di un passato che è stato difficile per tutti e come prova che è il presente che si vuol vivere ed il futuro che si vuol costruire, sia percepito come pericoloso. Forse, stando a quanto detto da Nelida Milani che conosce molto bene la realtà locale – «Pericoloso per chi non vuol gettare ponti e intende restare arroccato sulla sua torre e porsi in una condizione di vantaggio tenendosi stretta solo la sua memoria. È un atteggiamento di separazione che nasconde solo una grande paura. Questa paura c’è ancora a Pola» (“La Voce del Popolo”, 17 aprile 2014) – le cose stanno proprio così.
Non per questo ci si deve arrendere. Anzi!
Stimolo a perseverare nel cammino intrapreso, per cercare di vincere fobie che oggi non hanno davvero più alcuna ragione d’essere, ci viene anche dalla “primizia” rappresentata dalla presenza, oltre a quella di diverse altre figure istituzionali, dell’attuale sindaco di Pola Boris Miletič alla nostra celebrazione dell’eccidio di Vergarolla dello scorso 18 agosto (“L’Arena di Pola”, 21 Agosto 2014). Si è trattato di una partecipazione che abbiamo molto apprezzata, interpretandola come un lungamente atteso segnale d’apertura per un dialogo costruttivo, e che ci auguriamo possa essere foriera di positivi sviluppi.
Stando a quanto precede, avendo letto quanto a proposito di “abbraccio mortale” con i rimasti è apparso su un organo di stampa degli esuli, avendo preso visione di alcune dichiarazioni polemiche relative al passato contenute in articoli pubblicati di recente anche sul nostro periodico e fermo restando il diritto di ognuno di coltivare e tutelare le proprie memorie ed i propri valori, viene spontaneo chiedersi che senso abbia oggi opporsi a quello che, pur con un pizzico di azzardo, può essere definito il nuovo corso della storia che più da vicino ci riguarda.
La risposta che il buon senso suggerisce è: NESSUNO!
Non è, pertanto, fuori luogo rivolgere a tutti coloro che, volutamente ciechi nei confronti dei piccoli o grandi passi sin qui compiuti, ancora si oppongono ad una effettiva e sempre più condivisa volontà di pacificazione l’invito a rivedere le proprie posizioni e ad attivarsi per promuovere quel riavvicinamento che appare essere negli interessi di tanti. L’invito è a farlo con lungimiranza e coraggio senza i quali mai si riuscirà ad uscire da quella stagnazione dei rapporti che, tuttalpiù atta a garantire la sopravvivenza per rendita di posizione a qualcuno, impedisce a tutti gli altri di veder migliorate le proprie condizioni di vita.

Silvio Mazzaroli


273 - Aise 22/09/14 LA VOCE DEL POPOLO (CROAZIA) -  “TORNAR” A PIEMONTE D'ISTRIA, UNO DEI SIMBOLI DELL'ESODO  

di Ilaria Rocchi


FIUME\ aise\ - “È stato quasi come se le tante anime dell'Istria si fossero ricomposte a Piemonte d'Istria in un simbolico ritorno-incontro di italiani, istriani esuli e rimasti. Chi in pullman organizzato, chi singolarmente, da tutte le parti della penisola, da Trieste e dintorni, da altre parti d'Italia, persino da Roma... Nessuno ha voluto mancare all'appuntamento di ieri sera a Piemonte d'Istria, il borgo fantasma che si è ripopolato per l'occasione”. È quanto si legge su “La voce del popolo”, quotidiano diretto a Fiume da Errol Superina.
“A fare da catalizzatore, ancora una volta, Simone Cristicchi, in un'operazione che continua, anzi va oltre "Magazzino 18", assume una nuova valenza. Anche perché nasce da un'idea maturata insieme da "uno di là" e da "uno di qua". I confini ormai non ci sono più, nulla dovrebbe ostacolare la comunanza, per il bene e il futuro della Patria comune. "Tornar. Una notte a Piemonte d'Istria", il genio riccioluto romano ha colpito ancora una volta.
 
È stato lui, l'ex archivista Persichetti, che dopo le sedie delle masserizie lasciate al Porto Vecchio di Trieste ha fatto parlare le pietre, le macerie di Piemonte d'Istria, luogo simbolo dell'esodo. Cristicchi ha infatti dato il la a "cinque personaggi in cerca d'autore", cinque personaggi - ma ce ne sono tanti altri che desiderano imbarcarsi un quest'avventura -, ossia i promotori dell'evento particolare che si è consumato, ma non esaurito, ieri. Sul palco Franco Biloslavo, segretario della Comunità di Piemonte d'Istria, il presidente dell'Associazione delle Comunità degli Istriani di Trieste, Manuele Braico, il sindaco di Grisignana, Claudio Stocovac, il presidente della Comunità degli Italiani di Grisignana, Mauro Gorjan, e il presidente dell'Università Popolare di Trieste, Fabrizio Somma.

In prima fila, alcuni testimoni della storia di questo borgo rimasto senz'anima sessant'anni fa e uno degli abitanti più vecchi del posto, come Vincenzo Chersicla. Tanti gli ospiti istituzionali, tra cui la vicepresidente della Regione Istriana, Giuseppina Rajko, il presidente dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Antonio Ballarin, rappresentanti della Federesuli, di varie Comunità dell'associazionismo degli esuli e di Comunità di Italiani del territorio, il presidente della Giunta esecutiva dell'Unione Italiana, Maurizio Tremul, Antonella Grimm, assessore alla Scuola, Università e Ricerca del Comune di Trieste, a nome del sindaco Roberto Cosolini, la vicesindaco della Città di Buie, Arijana Brajko, uomini di cultura... Un'adesione massiccia, molto sentita, per una manifestazione che "apre le porte" al ritorno e alla rivitalizzazione delle cittadine dell'Istria spopolate dall'esodo... Un primo passo per la rinascita di Piemonte d'Istria è stato fatto, attraverso l'arte e i valori che questa trasmette e veicola.

Momento attesissimo, pregno di emozioni, preceduto dalla mostra fotografica, che attraverso 30 fotografie, racconta il tessuto sociale e le relazioni del paese, grossomodo dal 1943 al 1963, e dalle canzoni tradizionali istriane eseguite dal Coro della Comunità degli Italiani di Momiano, diretto da Davide Circota, e dal Coro delle Comunità Istriane, diretto da David De Paoli Paulovich. Un intermezzo poetico, i versi dell'artista polese trapiantato a Buie, Claudio Ugussi, che ha dedicato una sua composizione a Piemonte d'Istria, "Anfore del silenzio".

Poi, sullo sfondo, il campanile illuminato, Cristicchi e il suo-nostro concetto di tornare, come recupero della memoria, delle radici, della vita, riaproppiazione di un'eredità antica per costruire un futuro: "Tornar, sulla strada tornar, non vuol dire nostalgia o rincorrere la chimera... per una volta ancor la vita tornerà, tornerà per una notte ancor...", canta Cristicchi in questo spettacolo-musical che scorre tra storia, sentimenti, ricordi, testimonianze e note, in un rimando continuo tra quello che era il passato, anche glorioso se si vuole - immaginate l'imperatore Francesco Giuseppe a circolare da quelle parti e, rivolto ai contadini, dire "Piantate patate, così non avrete mai fame" - della cittadina e il triste presente, il tutto intercalato da aneddoti, leggende, fatti veri... Attingendo dal bagaglio di ricordi che Franco Biloslavo ha ricucito e che diventeranno presto libro”. (aise)
 
274 - La Voce del Popolo 29/09/14 Un invito alla riflessione - Raduno del LCFE

Un invito alla riflessione
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Scritto da Rosanna Turcinovich Giuricin

Raduno del Libero Comune di Fiume a Montegrotto, giunto alla 52ª edizione tra tanti problemi e incertezze e con limitata partecipazione dei Fiumani sparsi in Italia e nel mondo. La crisi, ormai entrata in tutti i pori della società, non manca di farsi sentire anche all’interno della realtà associativa accanto a quella generazionale, con i protagonisti dell’esodo che stanno scomparendo per ragioni anagrafiche. Quale l’impegno degli Esuli fiumani?

La necessità di un ricambio

Per prima cosa, la necessità di un ricambio attraverso elezioni vaste e democratiche, il che significa impiego di mezzi e persone, la soluzione di un malessere cronico ovvero il riconoscimento dei torti subìti attraverso una maggiore attenzione delle istituzioni di ogni ordine e grado. Conclusioni alle quali si è giunti dopo un ampio dibattito durato praticamente due giorni. Prima con la riunione del Consiglio, presieduta da Guido Brazzoduro, Laura Calci e Mario Stalzer e alla quale hanno partecipato in qualità di ospiti Antonio Ballarin, presidente dell’ANVGD, Tullio Canevari, sindaco del Libero Comune di Pola in Esilio, Adriana Ivanov per i Dalmati Italiani nel Mondo, Marino Micich, della Società di Studi fiumani nonché direttore dell’Archivio Museo di Fiume a Roma, Orietta Marot, presidente della CI di Fiume, accompagnata dalla vicepresidente Gianna Mazzieri Sankovic e Alessandro Rossit in rappresentanza dell’Università popolare di Trieste.

In attesa di un funzionario…
Non è facile in un momento di difficoltà di dialogo col governo, riuscire a programmare il futuro dell’attività. Questo è uno dei nodi che sta mettendo in ginocchio la realtà dell’associazionismo istriano-fiumano-dalmato in generale e che poi, a livello particolare, si manifesta in saldi dovuti per il lavoro pregresso e progettualità, che non si riescono ad affrontare. Con la Legge 72 e successive proroghe sono stati aperti molti cantieri in ambito culturale, di scambi, editoria e quant’altro, ora in attesa che si sblocchino i mezzi già destinati a tali attività, ma che la ragioneria di Stato non intende stanziare concretamente finché non verrà incaricato un funzionario delegato, figura vacante da un anno e mezzo. Come un cane che si morde la coda, ma non sta creando solo disagi finanziari, bensì fiacca lo slancio di chi ha desiderio di lavorare, vanifica gli sforzi, porta a inevitabile frustrazione. Oggi purtroppo ogni iniziativa parte necessariamente da un preventivo finanziario, non c’è volontà politica o promesse che ne possano fare le veci.

Per una gestione più agile

Anche le elezioni, che da prassi vengono svolte con un ampio coinvolgimento degli iscritti al Libero Comune, comportano spese notevoli, per cui si cercherà di veicolare maggiore informazione attraverso il giornale La Voce di Fiume, anche con la presentazione dei programmi dei candidati nei prossimi numeri. Le elezioni vanno fatte con cambiamenti che porteranno anche a rivedere gli articoli statutari per permettere una gestione più agile della situazione. Importanti i vari interventi: di Antonio Ballarin che ha affrontato una riflessione sui concetti di ricordo e memoria, fondamentali da comprendere e veicolare perché il ricordo è un sovrapporsi di elementi, la memoria è coscienza ed identità che assicurano un futuro.

Dove le pietre parlano italiano

È ciò che si vuole fare all’interno delle associazioni, ma anche nel rapporto con le comunità di provenienza, sulla strada indicata dai Fiumani che ogni anno vengono ricevuti dal sindaco in occasione di San Vito. La collaborazione con la Comunitò degli Italiani di Fiume, inoltre, è giunta ad un livello tale che molti trascorrono periodi di studio o di soggiorno a Fiume intrecciando la vacanza con la presenza presso il sodalizio, come testimoniato da Fulvio Mohoratz. Una prassi da continuare, come sottolineato da Orietta Marot, nuova presidente della CI di Fiume che pur nel suo “nuovo” mandato non è estranea al lavoro dell’associazione degli esuli che ha sempre seguito proprio nel contatto con la CI. Dalla stessa giunge anche un appello, che è comune: la CI rischia la chiusura per mancanza di fondi. È un grido d’allarme che invita alla riflessione, coscienti che laddove “le pietre parlano italiano” c’è bisogno anche di una presenza fisica di gente che continui a ragionare nella lingua dei padri e possa farlo in piena libertà, anche economica. Oggi più che mai con la presenza in Comunità, di un nutrito gruppo di giovani che ha deciso di spendersi per il futuro di quest’associazione alla quale sentono di appartenere, come sottolineato anche da Gianna Mazzieri Sanković. “L’UPT ha valutato le strategie per risolvere i problemi della Comunità ma si chiede, nello stesso tempo, aiuto e solidarietà da tutti”, ha dichiarato nel suo intervento il direttore dell’ente Alessandro Rossit.

Un periodo di grande fermento

Ecco che anche per il LCFE si prospetta un periodo di grande fermento per immettere nuova linfa in una realtà stanca. Una delle prossime tappe sarà l’organizzazione di un Consiglio – così Guido Brazzoduro – per procedere agli emendamenti statutari. Durante il dibattito, toccati anche altri argomenti di interesse, tra cui quello della Fondazione, che tante polemiche ha suscitato negli ultimi mesi e che si lega anche alla questione degli indennizzi. A che punto siamo con quest’ultimi? È stato chiesto all’assemblea. La volontà – spiega Brazzoduro – sarebbe stata di chiudere con una legge equa e definitiva, invece “ci siamo visti arrivare solo degli acconti”.


Verso una Fondazione?

La cifra necessaria supera oggi le possibilità delle casse dello Stato. Ecco perché è stato proposto, verbalmente, in più riprese, dal governo stesso di procedere con una Fondazione che possa finanziare le attività delle associazioni, anche dopo l’estinguersi della Legge 72 e proroghe, con la gestione degli interessi del capitale pagato dalla Slovenia a titolo di risarcimento di quanto dovuto dall’ex Jugoslavia all’Italia. Anche la Croazia si è impegnata a far fronte al proprio debito. Si tratta di volontà ancora in embrione. Questo per rispondere, così è stato sottolineato da Brazzoduro, a quanti ci accusano di muoverci quasi in incognito. Accuse che portano a divisioni “al nostro interno”.

A ribadirlo nel suo saluto, a nome del Presidente Franco Luxardo e degli esuli Dalmati, Adriana Ivanov, che ha ricordato il raduno dei Dalmati della settimana prossima, durante il quale andranno chiariti quegli atteggiamenti che tanta amarezza hanno prodotto nell’ultimo anno e che hanno portato addirittura alla rifondazione del giornale Il Dalmata. La vivacità degli interventi ha consumato due giornate veramente dense, con tanti spunti di riflessione da ricondurre ora alla realtà dei fatti, concretizzando le iniziative, evolvendo l’esistente.
 
275 - La Voce del Popolo 29/09/14 ExTempore:  Sentita partecipazione della Regione Veneto

Sentita partecipazione della Regione Veneto
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Scritto da Tiziana Dabović

Quest’anno all’Ex tempore si è vista la partecipazione della Regione Veneto. Sabato mattina, nella Sala concerti occupata in ogni ordine di posti, dopo i saluti istituzionali del sindaco Claudio Stocovaz, della responsabile del Settore Cultura dell’UI Marianna Jelicich Buić e del presidente dell’ANVGD di Venezia e vicepresidente nazionale, Alessandro Cuk, al folto pubblico di giovani si sono rivolti Stefano Antonini dell’Ufficio scolastico della regione Veneto e la prof.ssa Norma Zani, che insieme hanno ribadito la volontà di continuare un progetto avviato inizialmente tra le città di Portogruaro e Buie. L’iniziativa ha avuto un seguito con l’organizzazione di convegni e momenti comuni di formazione tra docenti di qua e di là del “confine” con l’intento di sottolineare il legame di queste terre con Venezia, rendendo giustizia alla storia e riscoprendo nel contempo le nostre similitudini, l’omogeneità nella parlata dialettale. Scambi culturali che rappresentano un capitale, una forza trainante nel futuro dell’Europa unita.

Si è dato quindi il via agli “Scambi di classi tra Veneto e Istria”: presenti in sala tanti allievi di Pola e Buie che hanno già vissuto quest’esperienza nelle precedenti edizioni, essendo stati ospiti dei loro coetanei veneti.
La mattinata è proseguita in allegria con l’esibizione del coro della scuola elementare “Grimani” di Venezia – Marghera, che ha presentato una rassegna di canzoni venete, istriane e dalmate. A seguire, lo spettacolo della SMSI “Leonardo Da Vinci” di Buie e della “Dante Alighieri” di Pola con poesie in dialetto. È stato trasmesso anche un simpatico video di ricette tipiche istriane. Sono quindi risaliti sul podio i ragazzi di Marghera che hanno interpretato “Magazzino 18”, il brano di Simone Cristicchi. La SEI “Giuseppina Martinuzzi” di Pola si è quindi esibita con un mix di canzoni popolari e con la scenetta “Il giorno degli esami”, dopodiché tutti riuniti sul palco, i ragazzi del Veneto e dell’Istria hanno intonato la canzone popolare zaratina “El sì” del 1891, scritta da Leone Levi sui versi di Giuseppe Sabalich. Un abbraccio in musica che ha sottolineato l’importanza dei legami tra gente unita da radici culturali e linguistiche.


A fine spettacolo, cinque insegnanti si sono scambiati le rispettive impressioni in qualità di partecipanti dei vari incontri culturali. Essi hanno sottolineato quanto sia bello reincontrare e rivisitare la nostra cultura comune. È subentrato il presidente delle Pro Loco Venete Giovanni Follador presentando la IV edizione del Concorso della Regione Veneto aperto alle scuole della CNI: “L’intento è premiare lo sforzo che ogni scuola fa per ripercorrere il senso della storia. Una storia fatta di legami e valori. Ogni anno vi partecipano circa 120 alunni di cui una decina provengono dall’Istria”.

Durante la giornata di sabato i soci dell’Unione Nazionale Pro Loco della Regione amica, hanno offerto degustazioni di prodotti tipici del Veneto: momenti che hanno permesso anche ai più giovani di assaporare i prodotti tipici del territorio, delizie rappresentate dall’ottimo olio di oliva, da vari tipi di formaggi e dal baccalà, conditi da ottimi vini.

Nel tardo pomeriggio invece, presso la Sala concerti ha avuto luogo il convegno “Oli d’oliva veneti e istriani”.
La giornata di sabato, degno preludio all’...invasione domenicale degli artisti, si è conclusa col programma artistico-culturale della CI di Grisignana.


Tiziana Dabović

276 - La Voce del Popolo 29/09/14 Sissano: Istrioto, un'idioma ormai in estinzione

Istrioto, un idioma ormai in estinzione

Scritto da Daria Deghenghi

SISSANO  Se è difficile lottare contro l’estinzione di una specie, lo è a maggior ragione se a estinguersi è una lingua, ma Sissano ci mette tutto il suo impegno e tutto il suo cuore. La due giorni del “Festival dell’istrioto” ha segnato per la località un’altra piccola rivincita dell’uomo rispettoso della cultura degli avi contro l’inesorabile forza del “tempo che tutto divora”. Certo, il nostro istrioto è ormai prossimo all’estinzione. Lo ha detto senza ricorrere ad eufemismi Barbara Buršić Giudici, dell’Università degli studi di Pola, protagonista lei stessa della seconda edizione del Festival con un’illuminante conferenza sulle parlate autoctone istriane. Il suo intervento – costruito sapientemente intorno alla “variopinta realtà linguistica istriana”, alle remote radici neolatine dell’idioma, dimostrazione di un’atavica “latinità istriana”, e alla sua spessa stratificazione evolutiva attraverso gli influssi delle lingue sotto e sovrastanti che lo hanno portato sul patibolo delle lingue morenti – ha conferito all’incontro quell’impronta (anche) accademica pur nel suo carattere popolare predominante. Equilibrata, dunque, la scelta degli appuntamenti proposti al pubblico accorso numeroso per sentire la “melodia” di una lingua che ha il potere di percorrere a ritroso i secoli, meglio di una macchina del tempo.

Serata multimediale

Accademico, ma anche multimediale. Dopo la conferenza della professoressa Buršić Giudici, al Festival c’è stata la proiezione del filmato “La zento de Sisan”, diretto da Barbara Markulinčić e girato da Zoran Mikletić, come continuazione del primo documentario prodotto dalla stessa coppia di autori. Migliore del primo film sia nella regia che nel montaggio, “La zento de Sisan” è divertentissimo al punto che, pur essendo un documentario, la sua comicità provoca risate a crepapelle, come s’è visto del resto anche sabato sera alla seconda proiezione durante lo spettacolo in sala. Ma prima di arrivare allo spettacolo, fuori, a ridosso del campanile, c’è stata la cerimonia di scoprimento della targa dedicata all’antico idioma istriano che sopravvive a stento ancora a Sissano, Rovigno, Valle, Dignano, Gallesano e Fasana, ma senza speranza di essere tramandato oltre, se non per ragioni di studio e di affetto alle usanze degli avi. Ne sono autori Antonio e Alberto Giudici, che l’hanno voluta trilingue, tradotta cioè anche in inglese oltre che in croato, in modo che il messaggio arrivi anche a un pubblico di turisti e curiosi a prescindere dal paese di provenienza.

Impegno di Ui e UPT

Il Festival ha segnato anche il termine, con una cerimonia della premiazioni, del concorso video e letterario sull’istrioto. Si sono distinti per impegno e sapere, ed hanno avuto per questo premi in denaro e attestati di partecipazione, i vincitori Lorna Anna Novak (primo posto), Lorenzo Zanghirella e Noela Trento nella categoria dei ragazzi, nonché Odino Fioranti e Antonietta Benčić Petercol, primi ex aequo nella categoria adulti. La serata dello spettacolo ha portato sul palcoscenico i cori delle CI di Fasana e di Sissano, i gruppi folcloristici delle CI di Sissano, di Valle e di Dignano, la filodrammatica di Gallesano, e Riccardo Bosazzi nel duplice ruolo di presentatore e showman. Tra gli ospiti in sala, e prima ancora in piazza, Maurizio Tremul e Manuele Braico, a trasmettere il messaggio per cui l’Unione Italiana e l’Università Popolare di Trieste “ci sono e ci saranno sempre, per dare valore e linfa ad ogni iniziativa di recupero e mantenimento dell’identità istriana italiana”, qual è per l’appunto anche quella del Festival dell’istrioto di Sissano.

Daria Deghenghi

277 - Il Piccolo 02/10/14 Lettere -  BASTA CON LE MISTIFICAZIONI STORICHE DI ANPI E HONSELL

BASTA CON LE MISTIFICAZIONI STORICHE DI ANPI E HONSELL
Continua un po' alla spicciolata l'insediamento nel nostro territorio di cippi, monumenti e targhe dedicati dall'Anpi ai partigiani comunisti che hanno lottato contro i nazi-fascisti. Ma essi hanno lottato anche per far si che queste terre non fossero più italiane bensì jugoslave. Naturalmente nelle motivazioni si riportano sempre le mezze verità “eroiche”, mentre quelle “infamanti” vengono del tutto trascurate. Eppure queste mezze verità hanno significato la morte per persone che da italiani non condividevano questi intendimenti e vi si opponevano; per altre hanno significato deportazioni o internamenti nei campi di concentramento titini. Per tutti, se la lotta partigiana fosse andata a buon fine, ci sarebbe stato il mancato ottenimento della libertà e della democrazia, come avvenuto in Jugoslavia, dove si è dovuto attendere per averle circa 50 anni. E' tempo per l'Anpi di fare chiarezza: o riconosce che aver voluto queste terre jugoslave è stato un errore oppure deve mettere in evidenza che la lotta partigiana giuliana (e in parte friulana) aspirava a rendere jugoslave queste nostre terre.

L'Anpi deve ciò sia alle sue che alle altre vittime ed anche ai viventi. Nel frattempo eviti di fare false celebrazioni.
 
E tanto per rimanere sul filone delle mistificazioni, alla commemorazione, avvenuta il 7 settembre a Basovizza, di quattro presunti martiri sloveni il sindaco di Udine Honsell ha fatto un intervento a dir poco sconcertante dichiarando a chiare lettere che dobbiamo tutti sentirci partigiani sloveni ricordando il processo, a suo dire farsa, a questi quattro "eroi". E' arrivato perfino a dichiarare che i profughi italiani dall'Istria e la Dalmazia del dopoguerra sono vittime della tragedia della guerra imperialista fascista. Ora posso anche comprendere che da chi si presenta alle commemorazioni con una negazionista come la Kersevan non ci si possa aspettare un esempio di obiettività ma non credevo che si possa essere tanto ignoranti o in malafede da mistificare dei fatti storici e perfino chiedere che tali accadimenti vengano fatti conoscere nelle scuole.
 
Questo è anche il mio auspicio ma ovviamente riportando la realtà dei fatti e non delle falsità costruite ad arte. I quattro che loro chiamano "eroi" sloveni erano tre sloveni e un croato (da Sussak) che agivano sotto l'egida di una organizzazione terroristica (TIGR: Trst, Istra, Gorica e Rijeka, cioè le terre da conquistare con ogni mezzo) al soldo del regno di Jugoslavia, dove non esistevano partigiani comunisti ma nazionalisti avidi di conquista. Questi "eroi" hanno ucciso un lavoratore della stampa, ovviamente italiano e lasciato in poltrona a rotelle a vita gli altri tre feriti. Gli attentati "eroici" consistevano nel mettere ordigni esplosivi in asili e scuole sia italiani che sloveni tra cui anche la colonia della Lega Nazionale. Non sono "eroi" perchè hanno pagato con la vita, in seguito all'esecuzione della sentenza di un regolare processo al quale hanno preso parte anche osservatori stranieri. Le pene di allora prevedevano la pena di morte per gli assassini acclarati e gli stessi sono stati rei confessi.
 
Altri appartenenti all'organizzazione TIGR che pure hanno combinato grossi guai, hanno subito pene minori. Quel che è peggio, è che a questi assassini, giustiziati in base alle leggi vigenti all'epoca, vengono ogni anno tributati onori da istituzioni pubbliche e nelle celebrazioni partecipano la presidente della Provincia (è stata immortalata con tanto di fascia, quindi ufficialmente) e una serie di sindaci con fascia tricolore. Intervengono pure ministri della vicina repubblica di Slovenia, scortati da militari in divisa e portano una corona di plastica in omaggio. La cosa peggiore in assoluto è che è sempre presente Il labaro della rinata organizzazione TIGR e che nessuna autorità ha pensato di denunciare l'esistenza oggi di una organizzazione terroristica ed i suoi componenti (è registrata come associazione? qual è il suo fine previsto dallo statuto?) e tutto questo stomachevole teatrino viene propinato ai ragazzini delle scuole di lingua slovena ai quali fin da piccoli viene inculcato l'odio per l'Italia.

Urizio Luca  Presidente Lega Nazionale Gorizia

278 - Il Piccolo 06/10/14 Zara - In Consiglio si litiga su Calle Larga, interviene la polizia

In Consiglio si litiga su Calle Larga, interviene la polizia

ZARA Sempre più arroventato il clima politico a Zara, dove il consiglio comunale – in mano alle destre nazionalistiche – sta cercando di affossare l’iniziativa tesa al ripristino dello storico toponimo di Calle Larga. La principale via di Zara è intitolata Široka ulica, o Strada larga, un nome antistorico, che non piace ad una cospicua fetta di abitanti della città del maraschino. Proprio per riavere l’antico nome di Calle Larga, prima dell’estate era stata promossa la raccolta di firme, che aveva visto l’adesione di poco meno di 11 mila persone (Zara ha 76 mila abitanti), numero sufficiente ad inserire la questione del ripristino all’ordine del giorno del parlamentino municipale. L’argomento avrebbe dovuto essere trattato già nei mesi estivi, ma le autorità si sono rifiutate di rispettare quanto chiesto anche da 9 consiglieri cittadini, adducendo vari motivi per il mancato inserimento del tema nei lavori del parlamentino, la qual cosa ha fatto infuriare le opposizioni di centrosinistra e gli organizzatori della petizione. Anzi, quest’ultimi sono stati tacciati nei mesi scorsi di volere italianizzare Zara e di essere elementi anticroati. L’altro giorno il consigliere municipale di Azione Giovani (all’opposizione), Marko Pupi„ Bakra„, ha preso la parola nel corso della sessione del parlamentino, criticando con dure parole l’Accadizeta (centrodestra, al potere a Zara) e affermando che non tornerà al suo posto fino a quando il consiglio non avrà in agenda la delicata questione. Per ore gli addetti al servizio d’ordine a palazzo comunale hanno tentato di schiodarlo dalla posizione, ma senza risultati concreti e c’è voluto l’intervento della polizia in quella che sarà ricordata come una delle riunione più burrascose del consiglio cittadino di Zara degli ultimi anni. Pupi„ Bakra„ è stato portato in commissariato, assieme al suo collega partitico Ante Rubeša, unitosi a lui nella protesta. (a.m.)

279 - La Voce di Romagna 07/10/14 Libro - Gorizia - Poggiolini, un eroe romagnolo

UN LIBRO RICOSTRUISCE UN SECOLO DI PRESENZA DELLA GUARDIA DI FINANZA A GORIZIA
Poggiolini, un eroe romagnolo
FEDERICO SANCIMINO E MICHELE DI BARTOLOMEO 
partono dall’inizio della Grande guerra per arrivare alla caduta del confine con la Slovenia

Grazie a “Dal primo colpo di fucile all’ultima frontiera. La Guardia di Finanza a Gorizia e provincia: una storia lunga un secolo” edito da Leg (Libreria editrice goriziana), di Federico Sancimino e Michele Di Bartolomeo, è possibile conoscere le vicende delle Fiamme Gialle originarie dell’Emilia-Romagna che hanno combattuto nella zona del capoluogo isontino durante la Prima guerra mondiale. Tra i caduti da ricordare il sottotenente Ennio Poggiolini da Lugo. I due autori, in servizio presso il Comando provinciale della Guardia di Finanza di Gorizia, con un lavoro particolarmente approfondito e suddiviso per periodi storici, permettono al lettore di compiere un intenso viaggio nella storia del Corpo. Si parte dalla notte tra il 23 e il 24 maggio 1915, quando a Brazzano due finanzieri in servizio sul ponte del Judrio, allora confine tra il Regno d’Italia e l’Impero Austro Ungarico, esplodono i primi colpi, per poi affrontare le complesse e tormentate vicende del “Confine orientale” ed arrivare ai giorni nostri, quando per effetto dell’adesione della Slovenia, prima all’Unione Europea poi agli accordi di Schengen, è cambiato il tradizionale binomio finanziere - confine. Importanti documenti sono stati rinvenuti anche in archivi sloveni e croati.

Ennio Poggiolini nasce a San Lorenzo di Lugo nel 1888; conseguita la licenza tecnica decide di intraprendere la carriera militare. Così nel 1908, su invito del concittadino Tullo Masi, all’epoca comandante generale del Corpo, sceglie la Guardia di Finanza. Allo scoppio delle ostilità ha il grado di brigadiere ed è in forza al II Battaglione di frontiera. E’ promosso sottotenente sul campo e il 28 luglio 1916 riceve un encomio solenne per un’azione alla trincea dei Sacchi. Successivamente passa al XII Battaglione, nel frattempo unito al II. Muore nelle trincee di Nova Vas, nei pressi di Gorizia, la sera del 24 agosto 1916. Con Regio decreto del 26 ottobre 1919 alla sua memoria viene conferita la medaglia di Bronzo al Valor militare. Nella motivazione viene evidenziato che sprezzante del pericolo si offriva spontaneamente per il collocamento di cavalli di frisia ed istrici sul davanti delle trincee recentemente conquistate e fortemente battute dal tiro di fucileria.
Mentre ispezionava il tratto di fronte affidato al suo plotone, sempre incurante del fuoco avversario, cadeva colpito a morte. L’eroico ufficiale viene sepolto nel cimitero di Doberdò del Lago; la tomba viene individuata dalle sorelle Natalia, Diva e Maria, che riporteranno la salma a Lugo, dove verrà poi traslata nel cimitero monumentale. Sancimino e Di Bartolomeo pubblicano un passo significativo di una lettera di Poggiolini, inviata alla sorella Natalia, cui era molto legato. Il documento è stato fornito da Massimo De Giovanni, pronipote del valoroso ufficiale. I due finanzieri – ricercatori storici hanno contattato la famiglia del caduto ed è grazie a Massimo De Giovanni che si devono anche importanti notizie e l’immagine pubblicata.“Sono sempre in trincea; tutte le sere esco in servizio di esplorazione sulle rive dell’Isonzo è un servizio delicatissimo, sono nove notti che non riposo e ti giuro Natalia, non mi sento affatto stanco, per nulla avvilito. Il mio cuore palpita per quei 700 figli di madre che sono dietro di me nelle trincee oscure e basse i quali si fidano di me, dell’opera mia. L’orgoglio di sentirmi protettore di tantissimi individui nelle trincee, mi riscalda, mi dà la forza per tutto sopportare serenamente”. All’eroico ufficiale verrà intestata la caserma della Brigata di Colle Pietro, località fino al 1947 in provincia di Gorizia, oggi Petrovo Brdo in Slovenia, frazione del comune di Tolmin (Tolmino). L’edificio, individuato da Sancimino e Di Bartolomeo, è oggi adibito a casa di riposo.
A Poggiolini è stata anche intestata l’attuale caserma del Reparto tecnico logistico amministrativo Emilia Romagna di Bologna. Tra gli ufficiali emiliano romagnoli delle Fiamme Gialle che hanno preso parte alla Prima guerra mondiale, da ricordare anche Ivo Pesavento, nato a Comacchio nel 1876. Nel maggio 1915, con il grado di maggiore, viene posto al comando del XV Battaglione mobilitato. Durante il periodo bellico alterna il comando del Circolo (oggi Comando provinciale) di Bologna a quello dei reparti mobilitati con il grado di tenente colonnello. Nel novembre 1920, con il grado di colonnello, è assegnato quale ufficiale addetto alla Legione territoriale di Trieste, coadiuvando il comandante, il colonnello Sante Laria, che aveva combattuto sul Podgora rimanendo gravemente ferito. Con il grado di maggiore, dal 1925 al 1929, aveva comandato il Circolo di Gorizia Giuseppe  Giorgi, nato a Bologna nel 1879. E’ stato mobilitato con il XV Battaglione. Ha terminato la carriera nel 1936 con il grado di colonnello. Persirio Marini, nato a Ferrara, con il grado di colonnello, nel 1942 è destinato al comando della Legione di Trieste. Nel corso della Prima guerra mondiale era stato decorato con la medaglia di Bronzo al Valor militare per un’azione sul Carso svoltasi tra il 21 e il 24 luglio 1915. All’ufficiale verranno conferite anche due Croci di guerra al Valor militare. Nel 1948, dopo aver comandato la Legione di Udine, il colonnello Marini verrà destinato a quella di Bologna. E’ stato posto in congedo nel 1955 con il grado di generale di Brigata. Con decreto del presidente della Repubblica del 31 ottobre 2007 gli è stata conferita la medaglia d’Oro al Valore della Guardia di Finanza per il comportamento tenuto tra l’8 settembre 1943 e il 12 giugno 1945.
Per quanto riguarda il periodo dell’occupazione jugoslava di Trieste, si legge nella motivazione “mantenne contegno fiero e fermo contro gli occupanti che operavano arresti indiscriminati tra i suoi dipendenti, offrendosi al loro posto per ottenere la libertà. Luminoso esempio di attaccamento al Corpo, di altissimo senso di responsabilità e del dovere”. Tra gli episodi della Prima guerra mondiale che hanno visto protagonista la Guardia di Finanza in Emilia – Romagna, la cattura di un idrovolante austriaco. L’immagine pubblicata è stata fornita dal Museo storico della Guardia di Finanza grazie alla cortesia del direttore, il capitano Gerardo Severino. I fatti risalgono alla notte tra il 27 e il 28 maggio 1915. L’idrovolante austriaco L. 40 decollato da Pola per una missione di bombardamento su Venezia, in seguito alla rottura dell’albero motore, esegue un ammaraggio di emergenza nella palude di Volano, parte meridionale delle foci del Po. Il velivolo e l’equipaggio, composto dal tenente di vascello Woseck e dal guardiamarina Von Bachich vengono catturati da una pattuglia della Guardia di Finanza, che con un deciso intervento impedisce l’autodistruzione da parte dei due ufficiali. E’ il primo aereo nemico a venire catturato.

Successivamente il velivolo viene condotto all’idroscalo di Porto Corsini per la valutazione delle caratteristiche e la rimessa in efficienza del motore, “giudicato guaribile” in sette giorni. Dopo tre giorni, il 31 maggio, una commissione guidata dal tenente di vascello pilota Luca Scelsi ne accerta le caratteristiche superiori a quelle dei velivoli italiani e propone allo Stato Maggiore la riproduzione in serie, affidandone la costruzione alla ditta Nièuport Macchi di Varese. Così tra il 1915 e il 1917 verranno costruiti 136 Macchi L. 1 che differivano dal modello originale austriaco solo nel motore. Già a settembre verranno consegnati i primi dieci esemplari. Ed è proprio ai comandi di uno dei nuovi Macchi che il 22 dicembre dello stesso anno perderà la vita il tenente di vascello Giuseppe Miraglia, nato a Lugo, all’epoca comandante della stazione idrovolanti di Venezia. Miraglia era legato da fraterna amicizia a Gabriele D’Annunzio, con il quale aveva effettuato il 7 agosto 1915 un volo su Trieste.

Aldo Viroli


Si ringraziano per la collaborazione della Rassegna Stampa: L’Università Popolare di Trieste e l’Assoc. Nazion.Venezia Giulia e Dalmazia - ANVGD di Gorizia


Mailing List Histria
Rassegna stampa

a cura di Maria Rita Cosliani – Eufemia G.Budicin – Stefano Bombardieri

N. 920 – 15 Settembre 2014
    

Sommario


256 - Avvenire 09/09/14 Dalmazia: Zara, l’asilo italiano di esuli e rimasti che piace ai croati (Lucia Bellaspiga)
257 - La Voce del Popolo  13/09/14 Sostegno all'asilo di Zara (Ilaria Rocchi)
258 - La Voce del Popolo 06/09/14 Asilo di Zara, sciolti i nodi finanziari Si punta ora a una sezione scolastica
259 –  Il Giornale 07/08/14 La sinistra vuole cancellare i Legionari (Fausto Biloslavo)
260 - Il Quotidiano Fvg.it 18/08/14 Commemorazione della strage di Vergarolla a Pola (Fabrizio Somma)
261 - La Voce del Popolo  19/08/14 Strage di Vergarolla una cicatrice indelebile (Daria Deghenghi)
262 - Futuro Quotidiano 18/08/14 Vergarolla, la strage dimenticata (Carla Cace)
263 - L’Arena di Pola 21/08/14  18 agosto 2014: un salto di qualità istituzionale (Paolo Radivo)
264 - Il Piccolo 31/08/14 «Via il nome di Tito da strade e piazze (Mauro Manzin)
265 - Corriere della Sera  03/09/14  Lettere a Sergio Romano: La guerra civile nella Jugoslavia del 1945. (Sergio Romano - PaoloTempo)
266 - Il Piccolo 07/09/14 Record di iscrizioni  nella scuola italiana (p.r.)
267 - Il Piccolo 07/09/14 Vogatori di Umago  in trasferta a Venezia  per la regata storica (p.r.)


Rassegna Stampa della ML Histria anche in internet ai seguenti siti  :
http://www.arenadipola.it/
http://10febbraiodetroit.wordpress.com/
http://www.adriaticounisce.it/


256 - Avvenire 09/09/14 Dalmazia: Zara, l’asilo italiano di esuli e rimasti che piace ai croati (Lucia Bellaspiga)

Dalmazia
Zara, l’asilo italiano di esuli e rimasti che piace ai croati
 ZARA (CROAZIA)
 Un anno fa, quando si riaprì a Zara, sulla sponda oggi croata dell’Adriatico, la prima scuola italiana di tutta la Dalmazia, a rompere il ghiaccio fu la direttrice croata, Snježana Šuša: «Chiamatemi Gianna». Ci erano voluti 60 anni perché nella 'Dresda dell’Adriatico' (54 bombardamenti aerei dal 1941 al 1944) potesse riaprire i battenti una scuola italiana, l’asilo paritario 'Pinocchio'. Un esperimento così riuscito che per il prossimo anno potrebbe fare da volano per una prima elementare italiana all’interno della vicina scuola primaria croata.
 Soddisfatta la comunità degli oltre 500 italiani di Zara, discendenti della popolazione residente prima dell’occupazione jugoslava, soddisfatte le famiglie (italiane e croate) che hanno iscritto i loro bambini, ma soddisfatto anche il sindaco croato Božidar Kalmeta, perché la città ha bisogno estremo di posti alla materna, tant’è che la municipalità destina il 10% del bilancio agli asili comunali e un 4% a quelli privati paritari.
 L’avvenimento è storico, visto il contesto (migliaia di zaratini sparirono durante e dopo la seconda guerra mondiale, gettati in foiba o annegati con una pietra al collo dai comunisti di Tito), e deriva dalle estenuanti trattative con cui Maurizio Tremul, presidente dell’Unione Italiana di Fiume, ha finalmente ottenuto l’attuazione di un trattato italo croato del 1996, che prevede il diritto per le minoranze di aprire scuole in lingua italiana (prima del ’96 si poteva in Istria ma non in Dalmazia).
 «La bella notizia – spiega da Padova l’imprenditore Franco Luxardo, sindaco del Libero Comune di Zara in Esilio – è che ora potremmo aprire una seconda sezione di asilo, accogliendo il doppio degli attuali 27 bambini italiani e croati, e poi proseguire con una sezione italiana entro le elementari croate». Tutto dipende dal Comune, che dovrebbe approvare progetti e stanziamento. Tre infatti i finanziamenti che hanno reso possibile il piccolo miracolo di 'Pinocchio': dall’Unione Italiana che ha comprato il grande stabile, dal Comune croato che stipendia gli insegnanti e dalla Regione Veneto. «Un successo per Zara e un atto di civiltà», un anno fa le autorità croate e italiane definirono l’inaugurazione di 'Pinocchio', ma allora non si sapeva come sarebbe finita. «Oggi è una scuola modello, attrezzata, qualificata », spiega Luxardo, laboratorio di quella Europa di cui si parla tanto nei Palazzi, ma che diventa realtà solo dove la gente la vive.   Luxardo: «Ora doppia materna e una nuova elementare». Evento di portata storica nella città martire
 Lucia Bellaspiga
257 - La Voce del Popolo  13/09/14 Sostegno all'asilo di Zara

Sostegno all’asilo «Pinocchio» di Zara

Scritto da Ilaria Rocchi

DIGNANO Lunedì prossimo il presidente della Giunta esecutiva dell’Unione Italiana, Maurizio Tremul, potrà versare sul conto dell’Istituto prescolare “Pinocchio” di Zara 152.600 kune, ossia 20mila euro, sottoforma di prestito senza interessi, per risolvere in maniera permanente la necessaria disponibilità di cassa. La manovra, frutto del recente incontro tra i vertici dell’UI, la direzione dell’IP e la Comunità degli Italiani di Zara, è stata accolta dalla Giunta esecutiva, riunita ieri sera a Palazzo Bradamante, per la seconda sessione ordinaria di questo mandato. I relativi fondi verrano repertiti dai mezzi sul conto dell’UI derivanti dalle entrate proprie (già spese di gestione di cui alle Convenzioni MAE-UI).
L’asilo Pinocchio di Zara aveva chiesto all’UI uno stanziamento straordinario per superare un problema derivante dalle diverse dinamiche e modalità di erogazione dei fondi, e non per lacune nella struttura finanziaria delll’Asilo “Pinocchio”, che non ha problemi di bilancio, come ribadito ieri sera, nel senso che le entrate previste sono sufficienti a coprire tutti i costi di gestione e del personale. Il problema è costituito dalla liquidità, ossia dalla disponibilità di cassa, assicurata già dallo scorso anno dall’UI autonomamente. “Ciò sta a dimostrare che il Preventivo per il 2014 è stato redatto in maniera corretta e che con il contributo della Regione Veneto, che arriverà entro l’anno in corso e che dovrà quindi essere contabilizzato nella sua interezza, l’Asilo privato Italiano ‘Pinocchio’ di Zara chiuderà l’anno in pareggio o addirittura con un piccolo utile. Quindi gli allarmi inviati fino ad ora non riguardano la ‘quadratura’ del bilancio preventivo e consuntivo, ma una evidente questione di liquidità”, ha fatto notare Tremul.

Compiti degli insegnanti

L’incontro con la Comunità degli Italiani di Dignano, rappresentata da Sandro Manzin, a capo della Giunta esecutiva del sodalizio (il presidente Livio Belci si trova nella Repubblica Ceca con gli attivisti per un festival internazionale del folklore), si è svolto in maniera sciolta (chiesto solo di accelerare il passaggio della periferica di Gallesano sotto l’Elementare dignanese). Diverse le tematiche scolastiche toccate ieri, e che hanno visto l’esordio del nuovo titolare di settore, Corrado Ghiraldo. Tra l’altro, si è accennato all’esito del dibattito che si è svolto all’interno della rete della Comunità nazionale italiana in Croazia sulle modifiche e integrazioni al Regolamento sui compiti di lavoro settimanali degli insegnanti e dei collaboratori professionali nelle elementari, come pure sull’aggiornamento della Legge sull’educazione e istruzione nelle scuole elementari e medie superiori. Il mondo della scuola CNI richiede pure il rispetto del bilinguismo nella documentazione scolastica, come pure iol suo riconoscimento nell’ambito delle norme settimanali degli insegnanti. Le osservazioni e le proposte degli operatori CNI, coordinate dall’UI, sono rimaste pressocché senza risposta da parte delle autortià ministeriali di Zagabria. L’UI pertanto chiederà di avere prossimamente un colloquio con il nuovo ministro dell’Istruzione, Vedran Mornar, anche considerato che con il predecessore di quest’ultimo non si era riuscito a trovare sintonia.

Titoli conseguiti all’estero

Un altro dibattito si sta per concludere il 17 ottobre e riguarda i titoli e le qualifiche professionali conseguiti all’estero. L’UI invita tutti i diretti interesati a inoltrare le eventuali osservazioni entro il 30 settembre, in modo da redigere quindi un documento unico che accoglierà tutte le esigenze e indicazioni da sottoporre quindi al competente ministero. C’è già una lista di docenti che lavorano nelle scuole della CNI e che attualmente non possono procedere con l’esame di stato e regolamentare la loro posizione.

Viaggi d’istruzione scolastici

Esaminate anche le novità nel campo dell’organizzazione delle escursioni e dei viaggi d’istruzione scolastici, novità che comporteranno un ripensamento - leggi un adeguamento - delle uscite didattiche che tradizionalmente vengono promosse dall’Università Popolare di Trieste e dall’UI nell’ambito della collaborazione tra i due enti.

Nominati i membri di competenza dell’Unione Italiana della giuria internazionale dell’Ex Tempore di Grisignana. Si tratta dei critici d’arte Majda Božeglav Japelj, di Pirano, Lorella Limoncin Toth, di Buie, ed Eugen Borkovsky, di Grisignana, cui si uniranno quelli proposti dall’UPT. Disco verde pure alla commissione giudicatrice della XIV Gara d’italiano per le medie superiori, che insieme con quella per le elementari - di competenza del mensile “Arcobaleno” dell’EDIT -, si terranno a novembre presso la Scuola elementare “Bernardo Benussi” di Rovigno: Maria Bradanović, presidente, Rosalia Massarotto e Lorena Chirissi.

Infine, un altro appuntamento della serie “La scuola incontra...” vedrà protagonista il medio chirurgo Alberto Pellai, che si svolgerà nell’ambito della lectio magistralis per le educatrici di scuola materna di tutta la Croazia sul tema della prevenzione degli abusi sui minori, organizzata dal centro assistenza genitori “Rastimo zajedno”.


258 - La Voce del Popolo 06/09/14 Asilo di Zara, sciolti i nodi finanziari Si punta ora a una sezione scolastica

ZARA | “È stata una tappa molto gratificante per me e per la professoressa Norma Zani. Abbiamo conosciuto una realtà educativa-pedagogica molto bella, qualificante, stimolante e molto emozionante. Gli aspetti amministrativi, burocratici, li abbiamo incanalati, con pieno consenso dei partecipanti alla riunione, nella direzione che porterà all’asilo ad operare in tranquillità, ponendoci degli obiettivi futuri ambiziosi e importanti sui quali poter lavorare”. Con queste parole il presidente della Giunta Esecutiva dell’Unione Italiana, Maurizio Tremul, riassume i risultati della visita di lavoro, fatta insieme alla professoressa Norma Zani, all’asilo privato il lingua italiana “Pinocchio”.
Centrati i due obiettivi
Due erano gli obiettivi principali della puntata in Dalmazia degli esponenti dell\'UI: il primo era vedere di persona come procede l’inizio dell’anno scolastico e il secondo analizzare le questioni finanziarie e burocratiche dell’istituzione prescolare in lingua italiana. “Di persona abbiamo potuto appurare che l’asilo funziona ottimamente, abbiamo parlato con i bambini, con le educatrici, e globalmente ci siamo fatti un’impressione estremamente positiva, di serenità. L’asilo ha tutte le condizioni, sia strutturali che quelle pedagogiche-istruttive, per operare in maniera eccellente. La direttrice Snježana Šuša ci ha confermato che dal punto di vista educativo, l’asilo opera senza nessun tipo di ostacolo, i bambini sono contenti, i genitori altrettanto e quindi tutto procede come auspicato”, ha sottolineato il presidente della Giunta, Maurizio Tremul.

Liquidità, problemi da risolvere

Come spiegatoci dal presidente dell\'Esecutivo, gli unici problemi riscontrati sono rappresentati dalla questione relativa alla liquidità finanziaria, scaturita dal fatto che gli enti finanziatori dell’asilo hanno tempi burocratici-amministrativi diversi di erogazione delle risorse. Quindi i fondi assicurati giungono con scadenze differenti, il che ha come conseguenza problemi di liquidità. “Per quanto riguarda la questione della liquidità, questa è data dal fatto che una parte di contributi arriva più tardi – ci spiega Tremul. – I tempi burocratici della Regione Veneto, nei confronti della quale siamo profondamente grati per l’aiuto dato, sono tali che i 22.200 euro stanziati per l’asilo arriveranno nel mese di settembre”. Non per questo verrà messo in pericolo il corretto funzionamento delle attività. L’UI, infatti, è pronta a sostenere l'istituzione prescolare. “L’Unione Italiana verrà incontro alle necessità dell’asilo, girando immediatamente i 20 mila euro – che la CI di Zara deve all’UI come prestito concordato lo scorso anno per l’acquisto degli arredi, finanziati dalla Regione Veneto, ma anticipati dall’Unione – all’Asilo di Zara. La delibera andrà in Giunta venerdì prossimo; uno dei punti sarà l’erogazione di questa somma all’asilo Pinocchio, della quale richiederemo la restituzione, in modo da potere dare alla scuola materna la liquidità necessaria in attesa dell’arrivo dei fondi previsti. Nel frattempo abbiamo saputo che l’UPT a fine agosto ha stanziato un contributo straordinario di 8.300 euro per l’asilo, che non era necessario perché il finanziamento di 15 mila euro copre le necessità previste, ma che permetterà di avere ulteriori fondi a disposizione per le attività.

Nel 2015 la seconda sezione

Ricordiamo che il budget dell’istituzione prescolare il lingua italiana di Zara è di circa 724 mila kune annue, delle quali 240mila provengono dalle quote pagate dai genitori, 193mila dalla Città di Zara per gli stipendi delle due educatrici, 173mila dalla Regione Veneto e 114mila dall’Unione Italiana. Grazie a questi finanziamenti l’asilo può lavorare serenamente e, come spiegatoci da Maurizio Tremul, non vi è, per ora, il bisogno di assumere ulteriore personale. Del personale dovrà essere assunto nel 2015, due educatrici per la precisione, quando dovrebbe nascere la seconda sezione. “Per il 2015 faremo richiesta per l\'apertura della seconda sezione e chiederemo la copertura alla Città di Zara per altre due educatrici. Purtroppo non la si è potuta aprire adesso perché non era stata inserita nel bilancio della Città. Lavoreremo tutti insieme affinché per il prossimo anno venga approvato il finanziamento di ulteriori due educatrici, cosa che potrebbe comportare che l’attuale direttrice svolga la funzione di educatrice a metà orario e quindi ci sia una razionalizzazione dei costi”, ha spiegato Tremul.

Verso un'elementare italiana?

Dalla giornata di ieri è scaturita una proposta molto interessante, certamente ardua, ma non impossibile. “Tenuto conto che vi sono 13 bambini in età prescolare che finiranno l’asilo quest’anno, abbiamo lanciato la proposta che la Comunità degli Italiani locale, sostenuta dall’UI, avvii presso la Città di Zara la procedura per l’apertura nell’adiacente scuola croata, di una sezione in lingua italiana della prima classe elementare. Lavoreremo insieme per raggiungere questo obiettivo per poi magari arrivare un giorno fino alle prime classi elementari in lingua italiana. Ci rendiamo conto che è un passo importante, però credo che non necessiti di finanziamenti aggiuntivi a quelli esistenti. Tenendo conto poi che il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Zara sforna ogni anno un numero sufficiente di docenti che possono insegnare in lingua italiana in questa possibile futura nuova sezione, la questione potrebbe avere un futuro roseo. L’UI sarebbe assolutamente favorevole a questa soluzione. Ciò rappresenterebbe un ulteriore passo nell\'attuazione dell’accordo bilaterale italo-croato sulla protezione delle minoranze del 1996”, ha evidenziato il presidente della Giunta dell’UI. Certamente una bella scommessa, che se vinta, porterebbe un altro “trofeo” prestigioso nella bacheca dei successi dell’UI

259 –  Il Giornale 07/08/14 La sinistra vuole cancellare i Legionari
La sinistra vuol cancellare i Legionari

Schiaffo a D'Annunzio, petizione a Ronchi per cambiare nome al paese e sostituirli coi Partigiani.

"No" del sindaco Pd

Gabriele D'Annunzio si starà rivoltando nella tomba. Il Vate viene cancellato dal logo del comune di Pescara, la sua città. E nel Nord Est un comitato di sinistra raccoglie firme per trasformare «Ronchi dei Legionari» in «Ronchi dei Partigiani».
 
Dalla cittadina di 12mila anime, in provincia di Gorizia, partì la celebre impresa di Fiume del poeta guerriero. Il gruppo nato su Facebook ha incassato l'entusiastico appoggio dell'Associazione nazionale partigiani, ex senatori comunisti, circoli Arci locali e altre anime. Per ora «Ronchi dei partigiani» conta su Facebook solo 706 mi piace, ma il gruppetto nato lo scorso anno ha già messo a segno la cancellazione della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini. Forti del successo, si sono lanciati nella missione di stravolgere la storia sostenendo che per la città è ben più importante la medaglia d'argento per la lotta partigiana conferita nel 1993. E per ottenere il cambio raccolgono firme per arrivare al referendum.
Ronchi si chiama dei Legionari perché l'11 settembre del 1919, prima dell'avvento al potere del fascismo, D'Annunzio arrivò in città iniziando l'impresa di Fiume. Circa 2600 Granatieri di Sardegna avevano ricevuto l'ordine di ritirarsi dal capoluogo del Quarnaro nonostante le suppliche della popolazione e le manifestazioni di italianità. I soldati furono acquartieriati a Ronchi, ma un gruppo di ufficiali scrisse un accorato appello a D'Annunzio: «Noi abbiamo giurato sulla memoria di tutti i morti per l'unità d'Italia: Fiume o morte! L'Italia non è compiuta. In un ultimo sforzo la compiremo». Il Vate ruppe gli indugi e febbricitante raggiunse Ronchi per guidare i Granatieri ribelli. Altri volontari e reparti di bersaglieri che dovevano fermare gli ammutinati ribattezzati «legionari» si unirono alla colonna del Vate che il 12 settembre 1919 entrò a Fiume e proclamò l'annessione al Regno d'Italia. Ronchi, grazie ad un Regio decreto del 1925, divenne «dei Legionari» per ricordare la storica impresa. «Dopo aver ottenuto la revoca della cittadinanza onoraria a Mussolini – ha sottolineato sulla stampa locale Luca Meneghesso - adesso è il momento di mettere seriamente in discussione la denominazione dei Legionari. Si tratta di una battaglia per la dignità e per l'antifascismo che ha raccolto diverse adesioni di personalità del mondo della cultura e dello spettacolo». Fra questi Alesandra Kersevan, che considera le foibe una specie di comprensibile vendetta contro i fascisti e il discusso scrittore della minoranza slovena Boris Pahor. Il 25 luglio l'ex senatore comunista, Silvano Bacicchi, presentando un suo libro a Ronchi, ha caldeggiato l'iniziativa di cancellare il ricordo dei legionari di D'Annunzio. I promotori ricordano che su 175 caduti del luogo, durante la Seconda guerra mondiale, ben 147 erano partigiani.
In tutta risposta è sorto il «Comitato per Ronchi dei Legionari» che difende il nome storico. La pagina Facebook ha già 4.723 fan e gli organizzatori sfidano i rivali raccogliendo firme contro Ronchi dei Partigiani. Il sindaco del Pd, Roberto Fontanot, ha preso le distanze dai revisionisti di sinistra sostenendo di essere contrario al nome «dei Partigiani» perché «è un tirare per la giacchetta la storia». Il primo cittadino ricorda che molti dei Legionari hanno poi «abbracciato il movimento antifascista». E pure fra i morti delle Fosse Ardeatine c'erano due volontari dell'impresa di Fiume di D'Annunzio. La Lega nazionale di Trieste, che dai tempi dell'irredentismo difende l'italianità, ha bollato, «senza se e senza ma» l'idea del cambio del nome «come una proposta grottescamente antistorica, degna dell'Enciclopedia Sovietica

Fausto Biloslavo

260 - Il Quotidiano Fvg.it 18/08/14 Commemorazione della strage di Vergarolla a Pola.

Presidente consiglio regionale Fvg Iacop a commemorazione strage Vergarolla a Pola

“Una presenza doverosa per condividere, nel segno della pietà, con gli italiani rimasti e con gli esuli, il lutto e il dolore per quelle morti innocenti e parallelamente l’istanza ad approfondire e studiare ulteriormente le cause e le modalità della strage che fu uno degli episodi più cupi del secondo dopoguerra, ma anche le vicissitudini della popolazione autoctona italiana, la tragedia dell’esodo e quel complesso momento storico nella sua interezza”. È con queste parole che il presidente del Consiglio regionale,Franco Iacop, ha voluto ribadire la vicinanza della Regione Friuli Venezia Giulia ed esprimere il cordoglio ai parenti dellevittime prendendo parte all’odierna commemorazione della stragedi Vergarolla, la spiaggia di Pola dove 68 anni fa l’esplosione di materiale bellico uccise una settantina di persone e ne ferì centinaia. “E’ un contesto totalmente modificato quello dell’Europa allargata verso Est” – ha affermato il presidente durante la commemorazione – “che aprendosi, potrà assecondare i cambiamenti e aiutare a camminare in maniera consapevole e trasparente sulla strada mai abbandonata da queste comunità: la strada diretta a mantenere vive le radici della lingua e delle tradizioni e la memoria delle vittime, per una rinascita nella concordia e nel giusto ricordo: in questa direzione mi sento di affermare il pieno sostegno del Friuli Venezia Giulia, espresso dalla presenza del Consiglio regionale”. Alla messa in italiano nel duomo della città, officiata da monsignor Desiderio Staver, è seguita la deposizione di corone davanti al cippo memoriale nell’attiguo parco Vittime di Vergarolla. A prendervi parte, oltre al presidente Iacop, molte autorità, sia croate che italiane. Tra questi il console onorario d’Italia a Fiume Renato Cianfarani, rappresentanti dell’Ambasciata d’Italia a Zagabria, il deputato croato Furio Radin presidente dell’Unione Italiana di Croazia e Slovenia e il sindaco della città di Pola Boris Miletic, oltre a Tullio Canevari, sindaco del Libero Comune di Pola in esilio, a Fabrizio Radin presidente della Comunità degli italiani di Pola e ad altri suoi esponenti. Un saluto ufficiale è giunto anche dalla vicepresidente della Camera dei Deputati, Marina Sereni, e dagli onorevoli Laura Garavini e Ettore Rosato, saluto portato ai presenti dal presidente dell’Università popolare di Trieste

Fabrizio Somma.

261 - La Voce del Popolo  19/08/14 Strage di Vergarolla una cicatrice indelebile

Strage di Vergarolla una cicatrice indelebile

Vergarolla, una spiaggia, una strage. Un ricordo indelebile. A sessantotto anni da quel funesto 18 agosto, Pola è tornata a stringersi in semicerchio intorno al cippo nel parco intitolato alle sue vittime, le vittime del maggiore massacro di civili in tempo di pace che la città abbia conosciuto. Pola al completo. In verità, quest’anno il pubblico della commemorazione non è stato numeroso come usava esserlo. Volti noti mancano ormai all’appello, ci si riduce di numero visivamente, volenti o nolenti, di anno in anno, al punto che ormai si fa la conta dei “rimasti” tra sé e sé.
 In compenso, autorità ed istituzioni hanno fatto quadrato per rendere onore a giusta causa. Chi per sentimento autentico di pietà per le vittime innocenti, chi per dovere d’ufficio e chi infine per reiterate esortazioni a unirsi al coro perché, giustamente, il “coro” chiedeva da tempo più considerazione di quanta ne abbia avuta sinora.
 Assiepati dunque in semicerchio intorno al cippo in pietra istriana con il toponimo “Vergarola” scolpito a caratteri cubitali. In prima fila, quest’anno, anche il sindaco di Pola, Boris Miletić, e un altro ex primo cittadino, Valter Drandić, che finora non s’erano fatti vedere, a differenza di un altro loro omologo e predecessore: Luciano Delbianco. Ora Vergarolla è di nome e di fatto una “tragedia di Pola” e “non solo degli italiani di Pola”. Un passo decisivo verso “l’attuarsi di quella fraternità, stima e reciproca comprensione” a lungo auspicata dal Libero Comune di Pola in Esilio, che assieme alla Comunità italiana di Pola da vent’anni in qua ricorda i martiri nel minuscolo parco a fianco del Duomo, sul lato di via Kandler. Ecco dunque Tullio Canevari, sindaco del LCPE, a valutare la giornata di ieri “molto importante”. Importante perché “ci sono i rappresentanti dello Stato italiano, dello Stato croato, autorità diplomatiche, parlamentari, il sindaco, tanti concittadini, italiani e croati insieme”: da notarlo, perché non era mica scontato. La città di Pola, gli italiani rimasti e quelli che sono dovuti andare via, si sono stretti e riabbracciati nel ricordo di una tragedia immane, un’esplosione fuori dal contesto bellico, un massacro di civili in spiaggia in tempo di pace: un ultimo avvertimento per chi ancora non avesse colto il messaggio. Un invito a tagliare i ponti.
In mancanza di cifre più attendibili (ci furono indubbiamente corpi martoriati al punto che non si poterono recuperare), i 65 morti della spiaggia frequentata all’epoca da soli italiani sono tuttavia “onorati in modo incompleto”. Il cippo, è vero, è un elemento simbolico di memoria urbana, storica, collettiva, di grande importanza. Eppure è monco dei nomi che chiedono il dovuto rispetto ciascuno per sé. Ai piedi del cippo c’è solo la targa in ricordo del dottor Geppino Micheletti, il chirurgo, l’eroe, il martire che in spiaggia perse entrambi i figli e ciò nonostante non smise di assistere i feriti giorno e notte in seguito all’accaduto. Accanto al medico, si vuole ricordare tutte le vittime di quella carneficina. Tullio Canevari l’aveva già detto a suo tempo e l’ha ripetuto anche in quest’occasione: è il momento di completare il monumento con altre due pietre d’Istria recanti i nomi dei martiri! La richiesta alle autorità municipali è stata già formulata in forma ufficiale e le autorità, vista anche la presenza del sindaco, sembrano vederla finalmente di buon occhio.
 “Abbiamo accolto la richiesta dell’LCPE di completare il monumento – ha detto Fabrizio Radin – e ora speriamo nell’aiuto della Soprintendenza ai beni culturali per poter esaudire anche questo desiderio”. Saluti e orazioni, infine, da parte del titolare della sede consolare italiana a Fiume, Renato Cianfarani, e dal presidente dell’Università Popolare di Trieste, Fabrizio Somma, il quale ha porto i saluti della vicepresidente della Camera dei Deputati, Marina Sereni e degli onorevoli Laura Garavini ed Ettore Rosato. Tra le autorità, senza mai mancare ad un appuntamento, il deputato italiano al Sabor, Furio Radin. Presente anche il presidente del Consiglio della Regione Friuli Venezia Giulia, Franco Iacop. Commovente il “Requiem” cantato dal coro misto della Lino Mariani all’ombra dei cipressi, e commovente il “Va pensiero” intonato in chiesa al termine della messa di suffragio. Sempre al Duomo, Loretta Godigna ha letto i versi di Aldo Vallini in un “Ricordo dei martiri di Vergarolla”.
 Un’ultima tappa delle commemorazioni del 18 agosto, quella convocata al cimitero comunale di Monte Ghiro. Tradizione vuole che le delegazioni si riuniscano intorno alla tomba della famiglia Saccon, il sepolcro che custodisce a distanza d’anni i resti di ben 26 vittime della tremenda esplosione. Un doveroso minuto di raccoglimento in una giornata di sole calda come quella di 68 anni fa. E poi ancora fiori, tantissimi fiori, anche in questo che è un “luogo di sepoltura reale, importante non meno del luogo-simbolo, il cippo”. Numerosi i polesani che hanno preso parte anche a quest’ultima tappa delle commemorazioni del 18 agosto. Un’occasione, perché no?, per scambiare due parole tra amici, tra polesani, tra concittadini. A prescindere dal luogo di residenza.

Daria Deghenghi

262 - Futuro Quotidiano 18/08/14 Vergarolla, la strage dimenticata

Vergarolla, la strage dimenticata

Ci sono molte vicende oscure della storia che il potere ha voluto paludare. Esistono ingiustizie che ancora gridano verità. Non si contano i morti cancellati per calcoli internazionali. Per molti si tratta di inevitabili “corsi e ricorsi della storia” che non ci toccano da vicino. Eppure tutto questo – e molto altro – hanno vissuto i nostri connazionali sul confine orientale d’Italia prima e dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.

Istria, Fiume e Dalmazia: nomi di regioni e città che forse non dicono molto alle giovani generazioni ma che, fino a pochi decenni fa, sono state parti integranti dello Stivale. Grazie all’istituzione della “Legge del Ricordo”, nel 2004, si è in parte fatto luce sulla loro storia e, soprattutto, sono stati riconosciuti dalle Istituzioni gli eccidi delle foibe ed il conseguente esodo di circa 350.000 italiani. Ma oltre sessant’anni di silenzio sono difficili da colmare e le drammatiche “storie nella Storia” – completamente dimenticate – sono tutt’oggi numerose. Una in particolare. Della più grande strage di connazionali in tempo di pace della storia della Repubblica italiana, infatti, finora se ne è parlato pochissimo e soltanto in specifici ambienti culturali. L’innegabile e recente merito di averlo portato alla ribalta nazionale è di Simone Cristicchi e Jan Bernas, attraverso un toccante brano dello spettacolo “Magazzino 18”.

La storia

Domenica 18 agosto 1946. La Guerra è da poco finita e l’Istria è occupata dai comunisti del maresciallo Tito. Da anni è in atto la stagione del terrore e della pulizia etnica ai danni degli italiani. Il “lungo esodo” è già iniziato. Ma non da Pola che, ancora, è amministrata dalle truppe britanniche. La morte in questa città viene portata a Vergarolla, una famosa spiaggia gremita di partecipanti in occasione delle locali gare di nuoto. Inizia tutto con un grande boato: scoppiano alcune mine antinave incustodite. Vengono letteralmente polverizzate intere famiglie, il mare si tinge di rosso al punto che per molto tempo nessuno mangerà più pesce: più di un centinaio i morti, di cui solo 64 identificati. Altrettanti i feriti. Non mancano gli atti di eroismo: il dottor Micheletti perde i due figli, ma continua a prestare soccorso per oltre 48 ore. Sarà poi esule, per non trovarsi un giorno a “curare gli assassini della sua prole”.

Le ragioni dell’attentato

Raccontata così, la tragedia potrebbe sembrare una di quelle tante sciagure che avvengono di tanto in tanto. La guerra è cessata da oltre sedici mesi e le mine potrebbero essere esplose per caso. Ma non è la sorte a decidere in questa circostanza. Documentazioni e prove inconfutabili dimostrano che si è trattato, infatti, di una azione delle squadre di sabotatori dell’Ozna, la polizia segreta di Tito. L’intera Pola ha sentimenti italiani, infatti, e la cittadinanza aspira a restare legata alla Madrepatria. Tutti confidano sulle dichiarazioni di principio degli americani, secondo le quali ogni popolo dovrebbe avere “il diritto di poter decidere in piena autonomia del proprio destino”. La riunione di tanta gente sulla spiaggia, al momento della deflagrazione, non è dovuta solo alla gara tenuta della Società “Nautica Pietas Julia”, ma è l’occasione di una manifestazione di italianità. La stessa “Arena di Pola”, il quotidiano cittadino, reclamizza l’evento come filo-italiano.

Le indagini mancate e i documenti ritrovati

All’epoca, sul reale movente e sugli esecutori del vile attentato terroristico si indagò poco e male. Nessuno, forse, aveva la reale intenzione di individuarne con chiarezza le dinamiche. Ci sono volute decine di anni perché dagli archivi inglesi uscisse una documentazione capace, da sola, di fare piena luce. Il comando inglese diede mandato ad una Commissione d’inchiesta di individuare le responsabilità della strage. Quest’ultima giunse a concludere che le mine erano in stato di sicurezza, poiché disattivate e che alcuni testimoni, fra i quali anche un inglese, asserivano che poco prima dell’esplosione avevano udito un piccolo scoppio e visto un fumo blu correre verso le mine. Pertanto, nella relazione finale fu espresso il parere che “gli ordigni sono stati deliberatamente fatti esplodere da persona o persone sconosciute”. Esistono carte, poi, tratte dal “Public Record Office” di Londra tali da togliere ogni dubbio su quei fatti. Della documentazione fa parte una dettagliata informativa, datata 19 dicembre 1946, in cui si imputa chiaramente all’Ozna la paternità della strage. Il messaggio per gli italiani di Pola doveva essere chiaro e forte: restare e accettare il regime comunista, oppure lasciare da esuli l’Istria. E ottengono il risultato voluto. Ne consegue, infatti, il tristemente celebre esodo dalla città, culminato nel febbraio del 1947 con i viaggi del piroscafo “Toscana”.

Conoscere per costruire un futuro migliore

Solo il 18 agosto 2011 è stata posta una stele con i nomi e l’età di quegli innocenti che ancora gridano una giustizia che è stata a loro negata. A tanti anni di distanza dalla strage è un nostro dovere ricordare. E bisogna farlo non solo per la dignità delle vittime, ma per costruire un futuro migliore, impossibile senza la piena consapevolezza del nostro passato.

Carla Cace

263 - L’Arena di Pola 21/08/14  18 agosto 2014: un salto di qualità istituzionale
 
18 agosto 2014: un salto di qualità istituzionale

Quest’anno le cerimonie del 18 agosto a Pola in memoria delle vittime della strage di Vergarolla, benché meno articolate e un po’ meno partecipate di quelle del 2013, hanno fatto un salto di qualità sul piano istituzionale.

La prima volta del sindaco di Pola

Alla onoranze presso il cippo in Largo Vittime di Vergarolla hanno assistito per la prima volta il sindaco di Pola Boris Miletić, il presidente dell’Assemblea della Regione Istriana (ed ex sindaco di Pola) Valter Drandić, il presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia Franco Iacop, l’incaricato d’affari dell’Ambasciata d’Italia a Zagabria Luca Laudiero, l’on. Gian Luigi Gigli (Scelta Civica) e il consigliere provinciale di Pordenone Stefano Turchet (Lega Nord), oltre che la vicepresidente dell’Associazione delle Comunità Istriane e segretaria della Comunità di Lussinpiccolo Licia Giadrossi, la presidente del Comitato ANVGD di Padova Italia Giacca, l’assessore del Libero Comune di Zara in Esilio - Associazione dei Dalmati Italiani nel Mondo Rachele Denon Poggi, Mariella Zorzet in rappresentanza della Fameia Capodistriana (Unione degli Istriani), la componente del Consiglio direttivo sia dell’Associazione delle Comunità Istriane sia della Comunità di Cittanova Carla Pocecco, la giovane direttrice artistica dei Laboratori musicali “Arena International” di Pola Tatiana Šverko, la nota scrittrice e linguista polese Nelida Milani, nonché lo scultore polese esule Walter Mocenni.
Gradite riconferme sono state quelle del console generale d’Italia a Fiume Renato Cianfarani, del presidente dell’Unione Italiana e deputato della nostra minoranza in Croazia Furio Radin, della vicepresidente della Regione Istriana Viviana Benussi, del presidente della Comunità degli Italiani e vice-sindaco di Pola Fabrizio Radin, del presidente dell’Università Popolare di Trieste Fabrizio Somma, del console onorario d’Italia a Pola Tiziano Sošić, della presidente della sezione polese della Società “Dante Alighieri” Silvana Wruss, del presidente del Circolo di cultura istroveneta “Istria” Livio Dorigo, del segretario della Comunità di Piemonte d’Istria e membro del direttivo dell'Associazione delle Comunità Istriane Franco Biloslavo, del presidente dell’Associazione culturale “Cristian Pertan” Manoel Bibalo, del vicepresidente della Famìa Ruvignìsa (Unione degli Istriani) Gabriele Bosazzi e della connazionale polese Claudia Millotti. Fra gli altri partecipanti vi erano sia esuli che rimasti, rispettivi discendenti, familiari e simpatizzanti. Nutrita come sempre la delegazione del Libero Comune di Pola in Esilio.

 Ricollocata la foto di Geppino Micheletti
 Una novità rilevante è stata la ricollocazione della fotografia (danneggiata oltre un anno fa e asportata la scorsa primavera) del dottor Geppino Micheletti, «cittadino benemerito di Pola», sulla targa che dal 2007 affianca il cippo. La richiesta in tal senso, avanzata su “L’Arena” di luglio dall’assessore Silvio Mazzaroli a nome dell’LCPE dopo vari contatti informali, è stata esaudita dallo stesso Fabrizio Radin tre giorni prima.
La cerimonia ufficiale è iniziata con il Padre nostro e l’Eterno riposo recitati da mons. Desiderio Staver davanti al monumento. E’ seguita la deposizione di quattro corone di fiori: quella del Consolato generale d’Italia a Fiume, quella dell’LCPE, quella della CI di Pola e quella del Circolo “Istria”. I discorsi sono stati ancora più brevi del solito.

 Sì all’integrazione del cippo
 «Questa – ha esordito il sindaco dell’LCPE Tullio Canevari – è una giornata molto importante. A ricordare i morti ci sono le autorità tanto dello Stato italiano quanto dello Stato croato e tutta la città di Pola: sia di noi che dovemmo andare via e non vi abitiamo più, sia di chi è rimasto e vi abita, sia dei croati. E’ qui con noi il sindaco di Pola: si tratta di un segnale di collaborazione che continuerà anche negli anni a venire. Questo monumento onora le vittime in modo incompleto: mancano i nomi. Auspico che, con la collaborazione della Città di Pola, possa essere completato con l’affiancamento di due pietre che li riportino».
«Le istituzioni – ha detto Renato Cianfarani – devono ricordare, perché la storia non si ripeta. E’ bello che vi siano rappresentanti di tutti i Paesi. Mi sento molto onorato di essere qui. Le istituzioni sono al vostro fianco».
Fabrizio Somma ha portato i saluti della vice-presidente della Camera dei Deputati Marina Sereni e degli onorevoli Laura Garavini ed Ettore Rosato (tutti e tre del PD), dopo la commemorazione svoltasi a Roma il 13 giugno scorso. «Desidero – ha affermato – rinnovare i sentimenti di attenzione alle vittime e ai parenti della strage. Si è innescato un processo di condivisione e fratellanza, dopo il concerto del 2011, che deve andare avanti per tutta la nostra gente di qua e di là dal Mare Adriatico. Un mare che non può che unire».
Fabrizio Radin ha ringraziato le autorità e i parenti delle vittime dell’«esplosione» di Vergarolla. «Abbiamo accolto – ha aggiunto – la richiesta dell’arch. Canevari di completare il monumento. Speriamo, con l’aiuto della Soprintendenza alle Belle Arti, di poter esaudire anche tale desiderio».
Il Coro misto della Società artistico-culturale “Lino Mariani” (CI di Pola) ha concluso la cerimonia cantando il Requiem. Subito dopo, Canevari e Miletić hanno dialogato pubblicamente. Canevari ha fatto presente che il progetto da lui abbozzato un anno fa per integrare il monumento non dovrebbe trovare ostacoli da parte della Soprintendenza in quanto non prevede né scavi né fondazioni, ma solo l’appoggio al suolo di due blocchi in pietra d’Istria inclinati (vedi “L’Arena” del settembre 2013). Ottimista sull’atteggiamento della nuova soprintendente in proposito si è detto Miletić. Canevari gli ha proposto di recarsi insieme da lei per discuterne.

La cerimonia a Monte Ghiro
Una delegazione composta soprattutto da esuli e da alcune autorità (Renato Cianfarani, Viviana Benussi e Tiziano Sošić) si è poi recata nel cimitero civico di Monte Ghiro, dove sulla tomba della famiglia Saccon contenente le spoglie di 26 delle 65 vittime finora identificate sono state deposte due corone floreali: una dell’LCPE e una della CI. Fabrizio Radin ha chiesto ai presenti di osservare un minuto di silenzio «in questo luogo di sepoltura reale» per le vittime «dell’esplosione avvenuta in un periodo delicato della storia della città», affinché «riposino in pace».

 La messa in duomo
 Alle 10 nel duomo mons. Staver aveva dato inizio alla messa in italiano, presenti oltre 120 persone più i 27 membri del Coro “Mariani”, che ha ben interpretato diversi brani di musica sacra con l’accompagnamento all’organo del M° Branko Okmaca. Sublime il Panis angelicus eseguito da una soprano. E’ mancata invece una rappresentanza ufficiale della CI.
Al termine della funzione religiosa, la direttrice della “Lino Mariani” Loretta Godigna ha letto la poesia dell’esule Aldo Vallini Ricordo dei “Martiri” di Vergarola (vedi pag. 2), accompagnata alla chitarra da un corista. Quindi il Coro si è posizionato fra il presbiterio e il pubblico per cantare Signore delle cime e Va, pensiero, con il M° Okmaca alla tastiera elettronica. L’applauso del pubblico è stato prolungato e convinto.
Durante il pranzo collettivo in un ristorante il connazionale polese Roberto Hapacher Barissa ha declamato la sua recente poesia su Vergarolla dal titolo Il figlio di Pola (vedi pag. 3). Tutti hanno applaudito convintamente.
In previsione della cerimonia, il presidente Franco Iacop aveva inviato un messaggio definendo la sua «una presenza doverosa per condividere, nel segno della pietà, con gli italiani rimasti e con gli esuli, il lutto e il dolore per quelle morti innocenti e parallelamente l’istanza ad approfondire e studiare ulteriormente le cause e le modalità della strage, che fu uno degli episodi più cupi del secondo dopoguerra, ma anche le vicissitudini della popolazione autoctona italiana, la tragedia dell’esodo e quel complesso momento storico nella sua interezza».
«E’ – aveva aggiunto – un contesto totalmente modificato quello dell’Europa allargata verso Est che, aprendosi, potrà assecondare i cambiamenti e aiutare a camminare in maniera consapevole e trasparente sulla strada mai abbandonata da queste comunità: la strada diretta a mantenere vive le radici della lingua e delle tradizioni e la memoria delle vittime, per una rinascita nella concordia e nel giusto ricordo: in questa direzione mi sento di affermare il pieno sostegno del Friuli Venezia Giulia, espresso dalla presenza del Consiglio regionale».
Numerose persone da noi invitate alle cerimonie, tra cui alcuni parlamentari, avevano risposto cortesemente ringraziandoci, esprimendoci vicinanza, formulandoci i migliori auguri e scusandosi di non poter venire.
 
Tre fondamentali obiettivi restano inattuati
 Malgrado i passi avanti compiuti e la prospettiva di un completamento del cippo a Pola, restano ancora da raggiungere almeno tre fondamentali obiettivi: 1) il riconoscimento ufficiale da parte sia di Roma sia di Zagabria che quella del 18 agosto 1946 fu una strage intenzionale contro la componente filo-italiana di Pola e non una tragica fatalità (come qualcuno ancora si ostina a ripetere); 2) la definizione del numero esatto delle vittime, considerando anche quelle mai identificate su cui occorre far luce; 3) l’individuazione dei mandanti e degli esecutori. A tale riguardo persistono macroscopiche disparità di trattamento da parte istituzionale rispetto ad altre stragi. Per carenza di spazio, faremo un solo esempio.

Su Ustica si comincia a scoprire la verità
 
Circa l’esplosione del DC9 dell’Itavia sui cieli di Ustica che causò la morte di 81 persone, la Corte di Cassazione ha ribadito il 22 ottobre 2013 la tesi del missile lanciato da un aereo «rimasto sconosciuto». La magistratura italiana ha dunque accertato che fu una strage e non un incidente. Niente di simile è mai avvenuto per Vergarolla.
Lo scorso 26 giugno si è inoltre saputo che la Procura della Repubblica di Roma, interrogando mediante rogatoria internazionale 14 ex militari dell’Aeronautica francese, ha appurato che i caccia francesi della base corsa di Solenzara non fecero rientro intorno alle ore 17 del 27 giugno 1980, ovvero 4 ore prima dello scoppio, come finora sempre sostenuto dalle autorità transalpine, bensì rimasero in volo. Ciò avvalorerebbe la tesi di una responsabilità francese.
Nel 2012 il Governo di Parigi, accogliendo la richiesta di rogatoria dei pm romani, aveva ammesso per la prima volta che due portaerei francesi incrociavano allora nel Mediterraneo, benché in giorni diversi dal 27 giugno. Per Vergarolla invece mai l’autorità giudiziaria italiana ha interpellato quella jugoslava o croata.
Due mesi fa il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel suo messaggio all’Associazione dei Parenti delle Vittime della Strage di Ustica, in vista del 34° anniversario, ha scritto: «Comprendo e condivido il rammarico per la mancanza di una esauriente ricostruzione della dinamica e delle responsabilità di quel tragico fatto, nonostante i lunghi anni di indagini e i processi celebrati. La tenace sollecitazione a compiere ogni ulteriore sforzo possibile – anche sul piano internazionale – per giungere ad una esaustiva ricostruzione di quello che avvenne nei cieli di Ustica impegna tutte le istituzioni a fare la loro parte perché si giunga all’accertamento della verità». A noi, che rappresentiamo i parenti delle vittime della strage di Vergarolla, non sono invece mai giunti messaggi né di un tale tenore né da una sì alta sede istituzionale.
L’auspicio è che il lento processo di “sdoganamento” e di equiparazione di Vergarolla alle altre stragi dell’Italia repubblicana possa accelerare in modo deciso, affinché la verità finalmente emerga. Dopo 68 anni sarebbe ora!

 Paolo Radivo


264 - Il Piccolo 31/08/14 «Via il nome di Tito da strade e piazze

Il leader del partito croato Hdz annuncia una nuova «offensiva» per cancellare dal Paese la memoria del Maresciallo

 «Via il nome di Tito da strade e piazze»

 di Mauro Manzin

TRIESTE

Non c’è pace per i dittatori. Neppure quando da anni stanno “rinchiusi” in un mausoleo. Uno dei più “tartassati” è sicuramente Josip Broz Tito. Che di riposare in pace non ci pensa minimamente. Ma non per colpa sua stavolta. A richiamare la sua memoria dall’al di là stavolta è il leader dell’Hdz (centrodestra) della Croazia, Tomislav Karamarko, il quale dal palco della manifestazione in onore delle vittime di tutti i totalitarismi, a Dubrovnik, ha nuovamente tuonato contro il defunto dittatore jugoslavo. Il capo del principale partito di opposizione della Croazia pensa già alle prossime elezioni politiche. E lo fa con un certo ottimismo visto che gli ultimi sondaggi danno l’Accadizeta in forte vantaggio sui socialdemocratici attualmente al potere con la coalizione Kukuriku di centrosinistra. Se al primo punto del programma di un prevedibile futuro governo accadizetiano, ha affermato Karamarko, ci sarà la ripresa dell’economia, un capitolo fondamentale sarà dedicato anche alla ferma condanna dei crimini perpetrati dai regimi totalitari nel nome di una vera e propria europeizzazione sociale. Il tutto etichettato con il termine “lustracija”. In quest’ambito una particolare “cura” sarebbe riservata, secondo il leader Hdz, proprio alla figura di Josip Broz Tito. «Rimuoveremo il nome di Tito da tutte le strade e piazze della Croazia», ha tuonato a Dubrovnik per lavorare, ha aggiunto, «al miglioramento della storia ovvero per cercare una riscrittura della storia libera dalla glorificazione del Maresciallo e del considerarlo un uomo “normale”». «Tito era cattivo - ha insistito Karamarko - e glorificarne la figura è una stupidaggine, non era quel “bon vivant” che si vuole far credere, era semplicemente un dittatore». Il leader dell’Accadizeta è stato chiaro: se il suo partito arriverà al governo il nome del Maresciallo sarà cancellato dalle strade, dalle vie e dalle piazze della Croazia. Ma la “lustracija” alla croata è diventata un caso europeo. Sì, perché l’Hdz, ha ben pensato assieme a Fidesz ungherese di Viktor Orban, alla Piattaforma civica polacca e al Partito democratico sloveno (Sds, quello di Janša per capirci) di predisporre una mozione che è diventata parte integrante del partito popolare europeo (Ppe) in base alla quale in tutti i Paesi che furono sotto un regime comunista la “lustracija”, ossia la pulizia della memoria, deve essere attuata. E qui c’è una contraddizione in termini. Perché così facendo si opera come uno Stato totalitario e l’Hdz dimostra di avere la memoria corta in quanto l’epopea del defunto fondatore del partito, ossia il generale Franjo Tudjman, certo non può essere presa a esempio di democrazia liberale. Ma nell’Hdz è tornata la stagione dei “falchi”.

 E LA NIPOTE DELL’EX LEADER IRONIZZA SUL WEB:

Bravo Karamarko, lui è il mio nuovo idolo. In realtà non è un compito facile trovare la “cura” adeguata per questa nostra società malata. Sapevo che prima o poi il mio principe a cavallo sarebbe giunto per avviare lo sviluppo della nazione. Viva e che tu possa vivere altri mille anni». Queste frasi ha scritto sul suo profilo Facebook Saša Broz (foto), la nipote di Tito, dopo essere venuta a conoscenza delle recenti dichiarazioni del leader Hdz, Tomislav Karamarko relative alla cancellazione della memoria storica e topografica del defunto Maresciallo. «Cresce in me la voglia - continua ironicamente - di ritornare bambina, alla mia infanzia per imparare finalmente qualche cosa dalla storia e non leggere tutte le bugie assieme alle quali siamo diventati tutti adulti. E quando finalmente il popolo croato - conclude - si sarà liberato dallo spirito di mio nonno allora spero che tutte le vie che erano a suo nome portino il nome di Karamarko» (m. man.



265 - Corriere della Sera  03/09/14  Lettere a Sergio Romano: La guerra civile nella Jugoslavia del 1945.

STORIE DI GUERRA CIVILE NELLA JUGOSLAVIA DEL 1945

Con molto interesse ho letto Slovenia 1945 di John Corsellis e Marcus Ferrar (Libreria Editrice Goriziana) e appreso il dramma, a me sconosciuto, sofferto dai domobranci: civili e militari quasi tutti cattolici. Circa 18.000 di queste persone erano in fuga, in quanto oppositori del progetto rivoluzionario di Tito, cercando rifugio nell’Austria occupata dall’VIII Corpo d’armata britannico per sfuggire e sottrarsi, se fatti prigionieri dall’Esercito popolare di liberazione jugoslavo, a morte certa. Va ricordato che i domobranci erano stati collaboratori delle forze di occupazione italiane e tedesche nella prima fase del conflitto. Chiedo il suo parere sulla responsabilità dei britannici che fecero rientrare nella costituenda Federazione Jugoslava questi profughi, pur sapendo che Tito li avrebbe eliminati. Infatti solo 6.000 riuscirono a salvarsi, mentre gli altri 12.000 furono rimpatriati e al loro rientro subirono pestaggi, torture e alla fine vennero infoibati. Anche i cosacchi, che si erano insediati in Carnia, subirono la stessa sorte a opera di Stalin, così come tanti ucraini, polacchi, ungheresi e chissà quanti altri. I responsabili di questi rimpatri hanno sempre affermato che eseguivano ordini dettati dagli accordi e trattati internazionali.

Paolo Tempo

Caro Tempo.
I domobranci erano membri di una Guardia territoriale slovena costituita dalle forze tedesche quando subentrarono a quelle italiane dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Ma questa Guardia territoriale, a sua volta, era l’erede di una Milizia volontaria anticomunista (Mvac) creata dall’amministrazione italiana nel periodo precedente con il compito di difendere i presidi e perlustrare il territorio. Ricordo ai lettori che dopo la disintegrazione della Jugoslavia nel 1941, anche la Slovenia era stata divisa in tre parti: Lubiana e le regioni meridionali all’Italia, il Nord alla Carinzia (divenuta dopo l’Anschluss un land del Terzo Reich) e una parte più piccola all’Ungheria.
Nel suo libro su L’Italia e il confine orientale, edito dal Mulino nel 2007, Marina Cattaruzza ricorda che la Mvac, nel febbraio del 1943, era integrata nell’XI corpo d’armata italiano e comprendeva 5.153 uomini. I domobranci della Guardia territoriale slovena, invece, furono più del doppio ed ebbero una parte maggiore nelle operazioni militari contro i partigiani di Tito. Entrambe le organizzazioni, comunque, furono espressione di quel cattolicesimo anticomunista che considerava Tito, per le connotazioni ideologiche del suo movimento, molto più minaccioso di Hitler e Mussolini. Occorre ricordare, caro Tempo, che la Jugoslavia, durante la Seconda guerra mondiale, non fu soltanto teatro di una guerra fra l’Armata di Tito e quelle di due potenze occupanti (Germania e Italia). Fu anche teatro di altri conflitti: fra Tito e il generale Mihailovic, comandante delle formazioni monarchiche, fra i serbi e quei popoli (croati e sloveni) che avevano mal tollerato il primato dei serbi sorto dalla sconfitta dell’Impero austroungarico alla fine della Prima guerra mondiale.
La consegna dei domobranci a Tito, come quella dei cosacchi e altri militari all’Armata Rossa, è uno degli episodi più discussi e controversi della Seconda guerra mondiale. Non so se i britannici fossero consapevoli della sorte che sarebbe toccata ai loro prigionieri. Ma posso immaginare che non fosse facile negare a un importante alleato, decisivo per le sorti della guerra, la consegna di coloro che dal suo punto di vista potevano essere considerati traditori. Sarebbe stato necessario pretendere garanzie sull’equità del giudizio a cui i «traditori» sarebbero stati sottoposti. Ma i rapporti con Tito, nel caso dei domobranci, sembrarono evidentemente più importanti di qualsiasi considerazione umanitaria.
Zara si prepara ad aprire una sezione elementare per accogliere i tredici bimbi all’ultimo anno di asilo. Boom anche a Cittanova


266 - Il Piccolo 07/09/14 Record di iscrizioni  nella scuola italiana

Record di iscrizioni  nella scuola italiana

A Pola tre classi prime
 
POLA L'Unione Italiana vuole aggiungere ossigeno alla fiammella dell'italianità a Zara aprendo una scuola italiana dopo l'asilo italiano. Al ritorno dalla visita alla città dalmata il presidente della Giunta esecutiva dell'UI Maurizio Tremul è stato chiaro: all'asilo italiano sono 13 i bambini in età prescolare che il prossimo anno passeranno alla scuola elementare. E sarebbe importante ha aggiunto, aprire per loro una sezione italiana della prima classe. Abbiamo lanciato la proposta che l'iniziativa venga avviata dalla locale Comunità degli Italiani, con il sostegno dell'Unione Italiana, ha spiegato Tremul. È sicuramente una missione ardua ma non impossibile ha aggiunto, in quanto la sezione italiana non comporterebbe finanziamenti aggiuntivi rispetto a quelli esistenti. Va considerato che a Zara opera un Dipartimento di Italianistica della locale università, che annualmente sforna docenti in grado di insegnare nella futura possibile sezione scolastica. Secondo Tremul, questo obiettivo rappresenterebbe un ulteriore passo avanti nell'attuazione dell' Accordo bilaterale italo-croato sulla tutela delle rispettive minoranze firmato nel 1996.
 Intanto la Scuola elementare italiana “Giuseppina Martinuzzi” di Pola sta per vivere un momento storico: avrà ben tre sezioni della prima classe. Mai successo finora, a dimostrazione del crescente interesse dei genitori per la scuola italiana che lo ricordiamo, tra Croazia e Slovenia conta oltre 4.000 alunni. Ebbene domani, all'inizio delle lezioni, saranno 66 i neoscolaretti della “Martinuzzi” che verranno salutati dai vertici del municipio: il sindaco Boris Miletic nonchè i vicesindaci Elena Puh Belci e Fabrizio Radin.
 Il fenomeno della lievitazione delle iscrizioni sta creando problemi di spazio alla Scuola italiana di Cittanova. L'altr'anno gli alunni in prima erano 4, ora saranno 10. Alcune aule sono di 20 metri quadrati spiega il preside Maurizio Zennaro, per cui considerate anche altre necessità didattico-pedagogiche sarebbe opportuno costruire un edificio scolastico nuovo. Gli fa eco Maurizio Tremul dicendo che in termini di finanziamento l'Unione Italiana e l'Università popolare di Trieste sono pronti a far la loro parte. (p.r.)


267 - Il Piccolo 07/09/14 Vogatori di Umago  in trasferta a Venezia  per la regata storica

Vogatori di Umago  in trasferta a Venezia  per la regata storica

BUIE Ci saranno anche rematori umaghesi alla tradizionale Regata storica di Venezia che parte oggi alle 15, seguita sul posto da circa 100.000 spettatori. Non è una novità, in quanto si tratta della loro quinta partecipazione, ed è interessante rilevare che sono l'unico equipaggio straniero. Le due città hanno in comune il Leone di San Marco, simbolo raffigurato sullo stemma e sul gonfalone di Umago. E dietro il Leone ci sono secoli e secoli di percorso storico comune, iniziato nel lontano 828 quando i navigatori veneziani che trasportavano le reliquie di San Marco partiti da Alessandria, trovarono rifugio a Umago dal mare in tempesta. E proprio da quell'anno Umago porta il leone nel suo stemma.
 
Sulla gondola messa a disposizione degli umaghesi ci saranno 14 tra rematori e figuranti: Silvano Pellizzon, Ottavio Visintin, Daniele Turcovich, Maurizio Ossich, Dario Dobrovic, Diego Makovac, Roberto Sirotic, Danilo Latin, Matteo Soldatic, Narcisa Bolsec Ferri, Branka Milosevic, Arden Sirotic e Gianni Golcic. Per l'occasione indosseranno i costumi raffigurati negli affreschi istriani e ritratti su ceramica dei secoli 15esimo, 16esimo e 17esimo. I rematori praticheranno la voga alla veneziana, cioè in piedi e la tecnica è stata spiegata e dimostrata in conferenza stampa dal noto pescatore Danilo Latin. Il momento più importante della regata ha spiegato, è il saluto agli spettatori. Per la precisione, tutti i rematori alzano i remi dall'acqua e li mettono in posizione verticale per calarli poi lentamente in mare.
 
Nella partecipazione dell'equipaggio istriano è coinvolta tutta la municipalità umaghese che assieme all'ente turistico si è fatta carico delle spese del viaggio. Della parte organizzativa si sono prese cura le Comunità degli Italiani di Umago e di Salvore dato che alcuni partecipanti sono di quest'ultima località nonchè il Museo di Umago. Alla volta di Venezia partono anche due pullman pieno di fans e sostenitori. Ricordiamo che la Regata storica l'avvenimento più importante per la città lagunare, si svolge la prima domenica di settembre dall'anno 1.300 quando il doge Giovanni Soranza la organizzò in onore della Vergine Maria. (p.r.)



Si ringraziano per la collaborazione della Rassegna Stampa: L’Università Popolare di Trieste e l’Assoc. Nazion.Venezia Giulia e Dalmazia - ANVGD di Gorizia

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Rassegna stampa

a cura di Maria Rita Cosliani – Eufemia G.Budicin – Stefano Bombardieri

N. 919 – 08 Settembre 2014
    
Sommario

248 - Il Piccolo 09/07/14 Gorizia:   Sopravvissuti molti dei 665 deportati - (Alex Pessotto)
249 - La Voce del Popolo  11/07/14 Calle Larga fatica ancora a farsi strada
250 - La Stampa  14/07/14 Torino -  Nel "ghetto" dei profughi la fabbrica dei campioni (Paolo Ccccorese)
251 - Il Piccolo 21/07/14 Il Miur abolisce la Venezia Giulia (gaffe ministeriali) (Giovanni Tommasin)
252 - La Voce del Popolo 21/07/14 Beni, avanti con i risarcimenti (Marin Rogić)
253 - L'Arena di Pola 23/07/14 Vergarolla: è jugoslava la pista più verosimile (Paolo Radivo)
254  - La Voce del Popolo 26/07/14 Intervista al Prof. Guido Rumici: Cresciuto tra due dialetti sulle rive di Grado
255 - Il Piccolo 04/08/12 Isola Calva in vendita, scoppia la rivolta (Andrea Marsanich)

Rassegna Stampa della ML Histria anche in internet ai seguenti siti  :
http://www.arenadipola.it/
http://10febbraiodetroit.wordpress.com/
http://www.adriaticounisce.it/


248 - Il Piccolo 09/07/14 Gorizia:   Sopravvissuti molti dei 665 deportati -

Gorizia:   Sopravvissuti molti dei 665 deportati -

Non tutti i 665 “fratelli inermi” come li definisce il monumento del parco della Rimembranza, edificato a 40 anni dalla tragedia, il 3 maggio 1985, trovarono la morte in Jugoslavia, a fine guerra, a seguito delle deportazioni. Alcune decine riuscirono a far ritorno in Italia. Lo rende noto una dettagliata ricerca che costituisce la sezione più importante del nuovo numero della rivista Isonzo-Soca che viene presentato oggi, alle 11.30, nel cortile interno del Kb Center (Corso Verdi, 51).
«Ciò, sia chiaro, non sminuisce in alcun modo la portata della tragedia - afferma il direttore del “giornale di confine” Dario Stasi -. Nessuno mette in discussione l’esistenza di quei gravissimi e tragici fatti dell’immediato dopoguerra durante l’occupazione jugoslava della città, gli arresti e le uccisioni dei cittadini inermi, perfino degli antifascisti Olivi e Sverzutti. Quello che ci interessa, invece, è, come dice lo storico Roberto Spazzali, nel suo libro sulle foibe «la necessità di una verifica sulla base di nuovi criteri di valutazione ed analisi. E ciò per eliminare ogni dubbio statistico in merito a un fatto storico che non può essere comunque negato».
Non è la prima volta che Isonzo-Soca si occupa dell’argomento. Già nei suoi primi numeri, nel 1990, fece chiarezza sulla storia di Ugo Scarpin che erroneamente rientrava nel gruppo dei 665 trucidati; la rivista rintracciò Scarpin e lo fotografò con i suoi nipoti. Il numero sul monumento non venne corretto, ma, per decisione dell’allora sindaco Antonio Scarano, il nome di Scarpin venne cancellato dal lapidario. Ora, appunto, qualora venisse utilizzato lo stesso metro sembrerebbe corretta anche la cancellazione dei nomi delle altre decine che riuscirono a salvarsi. Il motivo di tali errori nel nome e nel numero dei deportati, a detta di Stasi, «è dato dall’utilizzo di elenchi evidentemente inattendibili, come peraltro ha sostenuto e sostiene Roberto Spazzali». Di certo, si tratta di una rivelazione che non mancherà di far riflettere e tornare su uno degli argomenti più spinosi della nostra tragica storia. Non solo di ciò, tuttavia, si occupa il nuovo numero della rivista. Infatti, la copertina si apre con la riproduzione di un lavoro di Franco Dugo che ritrae John Fitzgerald Kennedy, alla Transalpina, accanto al filo spinato della cortina di ferro e nell’atto di indicare la Stella Rossa. Kennedy venne davvero alla Transalpina, nel dicembre ’52 quando non era ancora presidente degli Usa ma “solo” senatore del Massachusetts. Dal giornale di confine la Transalpina viene presa a esempio di un mondo che è cambiato. «Sia quella Stella Rossa che lo stesso Kennedy sono i simboli della guerra fredda: la storia del mondo è la storia di quella piazza che davvero non sembra valorizzata come dovrebbe», afferma Stasi.
«Un errore non intacca l’enormità della tragedia»
Maria Grazia Ziberna (Anvgd): «Spero che la rivista manterrà la serietà della sua ricerca»
«Si è saputo successivamente che alcuni dei 665 deportati sono rientrati in Italia ma non si è neppure continuato a fare un discorso storico preciso per ricercarne altri rimasti ignoti e che magari hanno subito la deportazione: voglio dire che la sostanza della tragedia non cambia».«L’importante - continua - è che non venga intaccata la mostruosità del gesto e non ho dubbi che Isonzo-Soca manterrà il più possibile la serietà della sua ricerca. È un po’ come a Redipuglia o a Oslavia: non sarebbe certo una definizione più precisa nei numeri che cambierebbe l’enorme portata della tragedia».È l’opinione di Maria Grazia Ziberna, presidente della sezione goriziana dell’associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (Anvgd), sulla ricerca del “giornale di frontiera” riguardo il numero dei deportati scomparsi in Jugoslavia e ricordati nel monumento del parco della Rimembranza, edificato a 40 anni dalla tragedia.Certo è come l’argomento, nonostante che siano passati ormai molti anni, non mancherà di (tornare a) far riflettere. Purtroppo, la storia di Gorizia passa anche attraverso quella tragedia che Isonzo-Soca non intende in alcun modo negare.Sul punto Laura Stanta, del Comitato delle famiglie dei congiunti e dei deportati che ha lavorato negli spazi che la Prefettura ha messo a disposizione per fornir loro informazioni («anche se da aprile il servizio è cessato» tiene a precisare) afferma.«Anch’io ho notizie di alcuni che compaiono fra i 665 deportati ma che, fortunatamente, hanno fatto ritorno in Italia. In certi casi, non abbiamo potuto fornire notizie più precise di quante ne abbiamo fornite. Coloro che sono ritornati in Italia non hanno, almeno a quanto io ne so, comunicato di essere rientrati».
Sono 17 i deportati sopravvissuti ( Il Piccolo 10/07/14)
Si tratta di un gruppo di finanzieri che fece rientro in Italia tra il 1945 e il 1946. Stasi: «Ora la parola agli storici»

Qualcuno può interpretarla come una macabra contabilità, qualcuno come una preziosa occasione per rileggere la storia. E ciò in un territorio, il nostro, dove il passato, per un motivo o per un altro, è assai presente. Parliamo della ricerca pubblicata dalla rivista Isonzo-Soca di cui ieri, nel cortile interno del KB Center, è stata annunciata l’uscita del nuovo numero, il 103.mo. Fra i nomi dei 665 deportati sul monumento del parco della Rimembranza troviamo quelli di 28 finanziari. Di questi 28, 17 hanno fatto ritorno in Italia a guerra finita.
La ricerca è contenuta in un libro edito dalla Leg (“Dal primo colpo all’ultima frontiera. La Guardia di Finanza a Gorizia: una storia lunga un secolo”) e avente per autori proprio due finanziari: Michele Di Bartolomeo e Federico Sancimino. Appunto, il risultato di tale ricerca è ripreso da Isonzo-Soca che contiene (tra gli altri suoi approfondimenti) pure un’intervista a Di Bartolomeo. A quella dei 17 finanzieri fortunatamente rientrati in Italia va poi aggiunta la storia di Ugo Scarpin, il cui nome è stato cancellato dal lapidario in quanto pur egli era riuscito a rientrare in Italia.
Non è tutto. Isonzo-Soca cita anche la ricerca del vicepresidente dell’Anpi provinciale di Gorizia Giuseppe Lorenzon, conclusasi con la sua morte nel 2001, che aveva fornito prove su come già 99 di quei 665 “erano estranei alle deportazioni e agli scomparsi nel maggio del 1945 e che altre 5 persone avevano il loro nome inciso due volte”. Lorenzon, tramite più lettere, informò della ricerca l’allora sindaco Tuzzi e il suo successore Valenti chiedendo la cancellazione dei nomi ma ottenendo risposte negative.
«Ora siano gli storici e gli istituti di storia di Trieste e Udine ad approfondire la questione. Sarebbe opportuno arrivare ad esporne i risultati magari in un convegno senza alcuno spirito polemico» ha affermato il direttore della rivista, Dario Stasi. Anche se «i numeri cominciano a essere rilevanti - ha detto, sempre ieri, la storica Anna Di Gianantonio - e possono andar contro le volontà di chi ha fatto costruire quel monumento. Occorre cancellare dal lapidario i nomi di coloro che son rientrati in Italia e avviare una seria azione culturale: e ciò proprio per una pietas nei confronti dei morti».
Pure Dario Ledri è intervenuto: «Non si vuole mettere in discussione ciò che è avvenuto a guerra finita. Non cambia nulla se invece di 665 fossero 520. Ma per la verità storica occorre cancellare i nomi che non c’entrano con coloro che sono stati deportati e infoibati, anche a tutela della memoria di coloro che hanno subito un’atroce sorte». Ancora, sono intervenuti, per l’Anpi, Paolo Padovan, («Desideriamo che la verità venga fuori e ciò può essere fatto con il contributo degli storici») e Mirko Primožic («Ben venga la lettera di Romoli a Renzi sulla riapertura degli archivi a patto che si aprano tutti gli archivi, non solo una loro parte»).
Ed è intervenuto pure Franco Dugo, autore della copertina di Isonzo-Soca che ritrae Kennedy nell’atto di indicare la Stella Rossa sulla Transalpina; Kennedy, nel ’52, alla Transalpina venne per davvero «anche se non si riesce a trovare una foto di quella visita forse perché non c’è un vero interesse a cercarla», ha chiosato Stasi.
Alex Pessotto

249 - La Voce del Popolo  11/07/14 Calle Larga fatica ancora a farsi strada

ZARA | Gli attivisti dell’iniziativa civica Zaratini Tutti per Kalelarga (Calle Larga) non demordono dalle proprie rivendicazioni. Nonostante nella proposta dell’ordine del giorno della seduta del Consiglio municipale in programma oggi non sia previsto il dibattito relativo alla ridenominazione dell’odierna Široka ulica in Kalelarga i promotori dell’iniziativa sperano che il medesimo possa essere integrato all’ultimo momento. In caso contrario i sostenitori del ripristino del vecchio nome della principale passeggiata del centro storico zaratino hanno già annunciato l’intenzione di tornare a chiedere un nuovo incontro al sindaco Božidar Kalmeta. Il primo cittadino di Zara, infatti, aveva promesso che la questione sarebbe stata discussa in sede di Consiglio municipale.

Fiducia in Kalmeta

La petizione a favore del ripristino dello storico toponimo è stata firmata da 10.830 zaratini. Hrvoje Bajlo, uno dei promotori della proposta, è convinto che il progetto sarà discusso dai consiglieri municipali. “Sono convinto che il sindaco non sia capace di mentire né a noi né all’opinione pubblica”, ha dichiarato Bajlo. Un altro sostenitore dell’iniziativa, Boris Marin, ha ammesso di sentirsi tradito. “Ero fiducioso. Si era complimentato per il grande numero di firme raccolte. Ci aveva accolto in modo caloroso. Aveva annunciato pubblicamente che l’argomento sarebbe stato discusso in sede di Consiglio municipale”, ha osservato Marin riferendosi a Kalmeta. “L’atto di ripristinare il vecchio toponimo doveva unificarci, non dare adito a strumentalizzazioni politiche e dividerci”, ha rilevato l’attrice Tamara Šoletić. Al momento il sindaco Kalmeta preferisce mantenere il riserbo sull’intera vicenda.

Già Strada Grande

La Calle Larga, secondo alcuni, sarebbe addirittura più antica della stessa Zara. Nel corso della Seconda guerra mondiale quasi tutti gli edifici che s’affacciavano su Calle Larga andarono distrutti e la strada fu ricostruita in stile modernistico, mantenendo soltanto l’antica direzione est-ovest. Spulciando nella storia di questa fondamentale via di comunicazione longitudinale, risaliamo all’antica Jadera romana (in seguito Diadora). Stando ai principi urbanistici dell’epoca dell’Impero Romano, la rete stradale era formata da strade longitudinali più larghe e da quelle trasversali che dividevano la città in insule (quartieri) rettangolari. Quindi, due importanti strade longitudinali furono – e lo sono ancor oggi – la strada che portava dalla Porta di Terraferma fino al Foro e quella che conduceva dall’attuale Piazza Petar Zoranić alla chiesa della Madonna della Salute, ossia l’attuale Calle Larga. Già Via Magna, Strada Grande, Ruga Magistra (ossia “strada principale”), nel Seicento fu conosciuta come Strada Santa Caterina, prendendo il nome del monastero che si trovava nello spazio occupato oggigiorno dal caffè “Central“.

Zaratini affezionati

Fu durante il Regno italiano che cambiò nome in Calle Larga, oppure Strada Larga, denominazione che in seguito fu croatizzata, tant’è che oggi si scrive e pronuncia in una parola sola: Kalelarga. Nel periodo del socialismo, dopo la II Guerra mondiale, Calle Larga venne ribattezzata Omladinska ulica (Via della gioventù) e Via Ivo Lola Ribar. Gli zaratini, affezionati al nome italiano Calle Larga, continuarono e continuano tutt’oggi a far riferimento alla via con questo nome, per cui succede molto spesso che se si menziona il nome Široka ulica non si capisce subito di quale parte di Zara si stia parlando. Questa via, la più importante e la più trafficata del centro di Zara, collega parti essenziali della città, partendo da Piazza Santa Anastasia attraverso lo spiazzo che si estende fino al Foro, per giungere in Piazza del Popolo (già Platea Magna e Piazza dei Signori), proseguendo in via Elizabeta Kotromanić (già Calle Cariera) fino al Palazzo ducale e quello del provveditore. La strada congiunge monumenti sacrali come la Chiesa di San Simeone, la Cattedrale di Sant’Anastasia e la
Chiesa della Madonna della Salute.

250 - La Stampa  14/07/14 Torino -  Nel "ghetto" dei profughi la fabbrica dei campioni

La Storia

Nel “ghetto” dei profughi la fabbrica dei campioni


Il «Villaggio» vive da mezzo secolo diviso da via Parenzo

Spina dorsale dei tre isolati di periferia sormontati dalle «case rosse»
L’impianto di Santa Caterina, fra Lucento e le Vallette, dove hanno cominciato molti calciatori arrivati poi in serie A

A Torino il “villaggio” dei calciatori

PAOLO COCCORESE

TORINO

Il primo fu Tony Giammarinaro, il capitano della Primavera del Torino che conquistò il cosiddetto «scudetto delle lacrime» dopo Superga. Poi, spiccano i fratelli Sattolo e, in particolare, quel Franco nato a Fiume, figlio della lattaia del quartiere, portiere di Sampdoria e Toro negli anni Settanta. Fino agli ultimi, i «giovani» (anche se ora hanno superato la sessantina) che chiudono la storia dei calciatori nati nei cortili del Villaggio dei Profughi di Santa Caterina. Livio Manzin, centrocampista di Bari e Lecce, e Giorgio Mastropasqua, libero di Juve, Atalanta, Lazio. 
 Torino 1956 
Il «Villaggio» vive da mezzo secolo diviso da via Parenzo. Spina dorsale dei tre isolati di periferia sormontati dalle «case rosse». Mattoni, cemento e famiglie arrivate da paesi lontani. In gran parte, esuli fiumani, istriani e dalmati. Nel Dopoguerra, accantonati gli anni trascorsi nelle baracche, si trasferirono al confine tra Lucento e Vallette. A Torino ’56 collezione di prati rosicchiati dalla città in espansione. Santa Caterina, è una favela nostrana senza samba e narcotraffico, ma con una passione smisurata per il pallone. Un «Villaggio di calciatori», nessun altro quartiere può vantare una concentrazione così alta.
 
Tre generazioni 

Fulvio Aquilante, classe 1943, presidente del comitato degli esuli Anvgd divide la storia pallonara del Villaggio in tre generazioni: quella dei ragazzi cresciuti nei campi profughi guidata da Claudio Rimbaldo, che nel 1961 vinse la Coppa delle Coppe con la Fiorentina, e Luigi Bodi, 113 presenze in Serie A con Toro, Bologna e Atalanta. «Poi, c’è la mia, quella di Sergio Vatta, lo storico allenatore dei giovani del Torino, dei Sattolo. Avevamo la grinta, ma agli allenamenti preferivamo la birreria. Eravamo poveri, molti scelsero la fabbrica. Il più forte? Luciano Palin, promessa granata cancellata da un infortunio». D’Alessandro fu l’esterno della Reggina, Bruno Luciano giocò in nazionale semi-pro, alla Turris, all’Empoli. E Guccione, bandiera del Nardò in C. 
L’ultima infornata di campioni nasce dopo il 1950. Il simbolo è Giorgio Mastropasqua. Divenne professionista alternando gli allenamenti nelle giovanili bianconere e il lavoro. «Venni scoperto da Concas, il Moggi della San Giusto, la quadra del quartiere, mentre palleggiavo sotto casa – dice il figlio di rimpatriati greci -. Allora non avevamo nulla e il calcio era tutto. Avevamo fame: quella vera e quella di affermarci». Il difensore si è trasferito a Bergamo, ma il padre vive ancora in via Parenzo. «Allo stadio facevo sempre entrare gratis tanti amici. Una volta, siccome c’era uno sciopero, per non farli tornare a casa a piedi, li feci salire sul pullman della Juve, seduti vicino a Zoff».

Nuovi residenti 

Le partite si giocavano in strada o nei cortili. Poi, per tanti anni, sono rimasti deserti, privi di bambini. L’assegnazione e il riscatto degli alloggi, ha rallentato il ricambio tra i residenti. Oggi gli eredi dei «campioni» del passato hanno cognomi di Paesi lontani come Marocco e Romania. In via Sansovino, c’è ancora il mitico campetto della chiesa di Santa Caterina. «Ogni domenica, c’erano centinaia di tifosi», dice Marino Marussi, giocatore all’Aquila nel 1960. Il calcio fu divertimento, ma non solo. Fu il collante di una comunità nata da zero. 


251 - Il Piccolo 21/07/14 IL MIUR ABOLISCE LA VENEZIA GIULIA (GAFFE MINISTERIALI)

Il Miur ignora i confini, Caporetto in Italia

La regione diventa unicamente “Friuli” nella lettera ufficiale con cui il ministero sottolinea il ritorno dell’ora di geografia

di Giovanni Tomasin

Bambini alle prese con un mappamondo: torna l'ora di geografia, ma il primo a sbagliare è il ministero...
Alle volte il pulpito scricchiola sotto la predica. In questo caso a scricchiolare è una cattedra, e non una qualunque: quella del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. In una lettera inviata ai direttori degli uffici scolastici regionali, infatti, il ministero sottolinea la reintroduzione dell’ora di geografia e al contempo dimostra di non conoscere poi molto la materia in questione: nell’indicare la nostra regione scrive soltanto «Friuli» dimenticandosi la Venezia Giulia. Non è la prima volta che il ministero incaricato di curare la didattica per le nuove generazioni incappa in un simile passo falso.
Il documento La lettera in questione contiene delle indicazioni sugli organici, ricordando ai direttori degli uffici scolastici che i numeri del corpo docenti devono restare ancorati a quanto stabilito dalle ultime norme: segue poi un paio di tabelle in cui si riporta l’organico di fatto, regione per regione. E qui casca l’asino (è il caso di dirlo): il Fvg è indicato semplicemente come Friuli. Non c’è neanche un’abbreviazione a lasciar supporre che il metodico compilatore romano del documento abbia la più pallida idea dell’esistenza delle due province di Gorizia e Trieste (o del loro avere una storia differente da quella del Friuli). Sublime ironia, in calce al documento un “nota bene” ricorda che ai dati appena presentati vanno aggiunte le cattedre derivanti dall’istituzione dell’ora di geografia. Per carità, l’uso del termine Venezia Giulia a molti risulta indigesto: troppo legato a momenti di virulento nazionalismo che il suo inventore, il linguista goriziano Graziadio Isaia Ascoli, non poteva prevedere. Temiamo però che non siano stati scrupoli di questo genere a spingere la burocrazia ministeriale a cassare le due paroline dal nome della Regione: par molto più probabile che si sia trattato della solita, distratta faciloneria, frammista a perplesso disinteresse, con cui succede che ci guardino dalla capitale.
L’irredentismo involontario Va detto che il ministero dell’Istruzione è recidivo nel prendere cantonate di questo genere: un paio d’anni fa il sito “Scuola in chiaro”, servizio del ministero per le iscrizioni online, contemplava la possibilità di cercare scuole in Comuni come Caporetto, Grotte di Postumia, Sesana. Tutte località situate nell’odierna Slovenia, oppure in Comuni non più esistenti come Lucinico. Anche in quel caso pare che la svista non fosse tanto dovuta a una testarda presa di posizione del ministero contro gli esiti del Secondo conflitto mondiale, quanto a pura e semplice ignoranza. Capita che gli studenti renitenti allo studio vengano bocciati. In quel caso deve essere stato bocciato proprio il ministero, visto che nel 2013 ha riproposto la stessa mappa anacronistica. Quest’anno abbiamo appreso del fatto che “Scuola in chiaro” riporta correttamente i confini italiani allo stato post-bellico. Ecco però che con guizzo geniale la missiva del dipartimento dell’Istruzione viene a risollevarci il morale: Friuli e basta. Probabile peraltro che vada letto «Frìuli», nella legnosa dizione prediletta da molti connazionali. Visti i precedenti, siamo giunti alla conclusione che forse si è trattato dell’ennesimo capitolo di un’unica vicenda: se non può avere la Venezia Giulia così com’era dopo la Grande guerra, pare che il ministero dell’Istruzione preferisca non averla affatto.
Le sfortune di confine Non c’è niente da fare, a stare ai margini si finisce per essere marginalizzati anche nell’immaginario. Mentre tutti gli italiani sanno che fra emiliani e romagnoli non è il caso di far confusione, così come sanno che è meglio tenersi alla larga dalle diatribe millenarie delle città toscane, nessuno si è ancora abituato a ricordarsi che Friuli e Venezia Giulia, pur sotto un unico cappello amministrativo, non son proprio lo stesso. La cosa buffa, però, è che a farsi portabandiera di questa sciatteria sia proprio il Miur.


252 - La Voce del Popolo 21/07/14 : Beni, avanti con i risarcimenti

ZAGABRIA Il Fondo per il risarcimento dei beni nazionalizzati o confiscati all’epoca del potere comunista jugoslavo verserà quest’anno agli ex proprietari un importo totale pari a 148,7 milioni di kune. Questa somma, come spiegato dai rappresentanti del Fondo, comprende gli indennizzi in denaro previsti per il 2014. Il processo di denazionalizzazione in Croazia, seppure lentamente, dunque prosegue. Agli ex proprietari ai quali, per svariati motivi, non è stato possibile o non si è voluto restituire i beni sottratti all’epoca del comunismo, vengono comunque concessi risarcimenti in denaro, seppure scaglionati nel tempo, per non pesare troppo sulle asfittiche casse dello Stato. Al fine di saldare anche quest’anno il debito nei confronti degli ex proprietari, il governo ha approvato, nella sua ultima sessione, l’emissione di un’Obbligazione globale, dal valore di poco più di 50 milioni di euro.


Fino ad oggi 22.516 persone risarcite

Le sentenze sulla restituzione o il risarcimento dei beni nazionalizzati o confiscati, lo ricordiamo, vengono emanate dagli uffici dell’amministrazione di Stato, mentre il Fondo per l’indennizzo dei beni è il responsabile dell’attuazione di tali delibere. Dalla sua nascita ad oggi (1996-2014, ndr.), il Fondo ha ricevuto 10.138 sentenze definitive con le quali è stato disposto il risarcimento di 22.516 persone per un totale di 1,777 miliardi di kune. Una piccola parte di questo importo, 316 milioni di kune per l’esattezza, è stata considerata dal Fondo come “rimborso in denaro” e, fino al 17 luglio di quest’anno, sono stati corrisposti 302 milioni di kune.
L’Obbligazione globale fissa un indennizzo totale pari a 1.416 miliardi di kune, per cui le quote di partecipazione alla stessa hanno un valore complessivo di 186 milioni di euro. Nel controvalore in kune fino sono stati pagati 139,5 milioni di euro. Ciò vuole dire che gli ex proprietari hanno ricevuto in tutto 1,4 miliardi di kune. La altre annualità mancanti verranno corrisposte entro il 2019.
Per quanto riguarda le sentenze definitive ricevute, ma che devono essere ancora attuate, dal Fondo hanno fatto sapere che fino al 17 luglio ne sono arrivatee 1.671, per un totale di 3.129 persone da rimborsare. I dirigenti del Fondo mettono comunque le mani avanti e affermano di non sapere quante siano ancora le richieste per la restituzione o l’indennizzo dei beni confiscati che sono in fase di soluzione o che non sono ancora state prese in esame. Assicurano in ogni caso che tutte le delibere verranno attuate attraverso il risarcimento in denaro e la consegna di obbligazioni.
Gli interessati possono ricevere informazioni, presso gli uffici regionali dell’amministrazione statale, incaricati di evadere le pratiche relative della denazionalizzazione.

Quanti i cittadini stranieri?

Su quanti siano i cittadini stranieri beneficiari di una sentenza definitiva di rimborso i responsabili del Fondo non si sbilanciano. Fanno soltanto sapere che bisogna distinguere gli stranieri che hanno chiesto direttamente il risarcimento, da quelli che sono eredi di cittadini croati che hanno presentato la richiesta di indennizzo del patrimonio nazionalizzato o confiscato. Detto questo, sottolineano comunque che la maggior parte di coloro che tengono in mano una sentenza definitiva, sono persone che sono eredi degli ex proprietari.
15.8 milioni di kune alla Chiesa

Il Fondo per la restituzione dei beni sequestrati, è anche competente per il risarcimento in denaro riguardante le proprietà della Chiesa cattolica che sono state confiscate dalle autorità comuniste jugoslave nel secondo dopoguerra. Così, dei previsti 148,8 milioni di kune che andranno quest’anno ai beneficiari del risarcimento dei beni espropriati, circa un decimo dell’importo verrà versato alla Chiesa cattolica. A conti fatti si prevede che la Curia riceverà una cifra intorno a 15,8 milioni di kune.

Marin Rogić


253 - L'Arena di Pola 23/07/14 Vergarolla: è jugoslava la pista più verosimile

Vergarolla: è jugoslava la pista più verosimile

Recenti studi confermano quanto i polesani sapevano da sempre, ovvero che quella di Vergarolla fu una strage premeditata, non una fatalità. Come sostennero la Polizia Civile e una corte militare d'inchiesta istituita dal Governo Militare Alleato, i 28 ordigni lasciati dalle autorità anglo-americane sulla spiaggia senza recinzioni né segnali di avvertimento furono reinnescati e fatti esplodere. Grazie all'incrocio delle fonti, il numero delle vittime identificate è inoltre salito da 64 a 65.
Restano però degli interrogativi irrisolti. Quanti furono i morti non identificati? E chi erano? Venivano soprattutto dalla Zona B della Venezia Giulia? Rimasero uccisi anche militari inglesi? E a quanti ammontarono i feriti? Ma soprattutto: chi furono i mandanti e gli autori? E quale movente
li spinse? Per capirlo, in assenza di prove certe che speriamo emergano da nuove ricerche, possiamo al momento seguire tre strade: la logica; la disamina degli indizi storici; la valutazione delle testimonianze attendibili. Tutte e tre le strade ci conducono alla medesima pista: i servizi segreti militari jugoslavi.

Il ragionamento logico

Partiamo da un semplice ragionamento. Chi furono le vittime? T utte italiane (di Pola ma forse anche della Zona B), che non volevano la Jugoslavia e che il 18 agosto 1946 erano a Vergarolla per assistere a gare sportive di palese orientamento filo-italiano, nel 60° anniversario di fondazione della iper-patriottica Società nautica “Pietas Julia”. Fu dunque senza dubbio un attentato anti-italiano. Se poi vi perse la vita o comunque vi rimase ferito anche qualche militare inglese di stanza in città, si trattò di un effetto collaterale non voluto.

Quali conseguenze provocò la strage? Indurre i polesi filoitaliani, turbati e spaventati, ad arrendersi, a smettere di mobilitarsi contro l'annessione proprio nel momento in cui a Parigi la Conferenza della pace stava per deciderne il destino. Sabato 17 agosto infatti si era conclusa la fase plenaria. Il 28 agosto alcune delegazioni presentarono alla Commissione politico-territoriale per l'Italia 14 emendamenti sul nuovo confine italo-jugoslavo e/o su quello del Territorio Libero di Trieste, esaminati poi a partire dal 3 settembre. Gli emendamenti brasiliano e sudafricano volevano estendere il TLT a tutta l'Istria occidentale, comprese Parenzo, Rovigno e Pola. Ma furono bocciati entrambi, il secondo il 20 settembre.

Fino a quel giorno dunque i polesi filo-italiani avrebbero avuto ancora motivi di speranza. Ormai però il 18 agosto avevano gettato la spugna e non si scomposero nemmeno quando l'11 settembre il Governo De Gasperi presentò a Parigi una (debole) richiesta di plebiscito. “L'Arena di Pola” pubblicò l'ultimo titolone a tutta pagina il 20 agosto per dare notizia dell'eccidio:
la sua volontà di battersi era fiaccata. Anche quanti, in contrasto col CLN, avrebbero voluto usare le armi desistettero.

La data della strage non fu dunque scelta a caso: in vista delle imminenti e non ancora scontate decisioni definitive di Parigi bisognava togliere ogni volontà di resistenza ai filo-italiani, che il 15 agosto 1946 avevano assiepato in 20.000 l'Arena dando vita alla più grande, festosa e ottimistica manifestazione di italianità di sempre. Una città che così platealmente insisteva a grande maggioranza nell'invocare l'Italia non poteva essere ceduta alla Jugoslavia senza qualche imbarazzo internazionale.

Bisognava zittirla. E così fu.

Pertanto l'esplosione di Vergarolla giovò alla Jugoslavia, che d'un tratto vide affievolirsi l'opposizione dei polesi filo-italiani quando a Parigi i 21 ne avrebbero dovuto stabilire la sorte. Anche i più titubanti si rassegnarono all'esodo, già preannunciato in luglio da 28.053 concittadini
nel caso di annessione e poi effettuato soprattutto nel febbraio-marzo 1947.
Gli jugoslavi si trovarono così padroni di una Pola semideserta senza più persone politicamente infide, con gli italiani ridotti a una minoranza innocua e facilmente controllabile. L'esodo si rivelò perfino superiore a quello auspicato, visto che partirono anche tanti bravi operai dei cantieri
e delle fabbriche, difficilmente sostituibili in tempi brevi.

Basterebbe questo elementare ragionamento logico per dedurre che mandanti e autori furono jugoslavi o comunque filo-jugoslavi: verosimilmente i servizi segreti militari, dato che l'OZNA era stata ufficialmente sciolta nel gennaio 1946.

Qualcuno ha sostenuto che avrebbero potuto invece essere elementi anti-comunisti italiani (fascisti, monarchici, ex partigiani “bianchi”, alti dirigenti militari e civili golpisti) o jugoslavi (ustascia, cetnici, belogardisti) miranti a far deflagrare la Terza guerra mondiale fra l'Est comunista e l'Ovest democratico-capitalista, per scalzare le forze al potere rispettivamente in Italia e Jugoslavia. Eppure né gli anticomunisti italiani (con la parzialissima eccezione del “Messaggero Veneto”) né quelli jugoslavi fondarono su Vergarolla una campagna di propaganda contro i titoisti, addossando loro la responsabilità e invocando vendetta. Sia le autorità alleate, sia il Governo italiano, sia il regime di Belgrado misero la sordina all'evento, senza additare alcun colpevole. Addirittura la stampa
jugoslava non ne parlò affatto, pur essendo attentissima alla questione giuliana: probabile sintomo che aveva qualcosa da nascondere... Solo “Il nostro Giornale” e “La Voce del Popolo”, a diffusione però assai modesta, ne scrissero, limitandosi ad accusare di incuria il GMA (“Il nostro Giornale”
chiamò in causa anche l'amministrazione comunale guidata dal CLN).
Di certo comunque Vergarolla non restituì Pola all'Italia...

Che a ordire un attentato così tecnicamente complesso fosse stata qualche scheggia impazzita locale o qualche doppiogiochista suona inverosimile. Solo un servizio segreto efficiente, aggressivo e ben radicato in città avrebbe potuto farlo. E qual era a Pola durante il GMA il servizio segreto più
efficiente, aggressivo e ben radicato? Quello jugoslavo, che - guarda caso - beneficiò degli effetti politici della carneficina. Tito non voleva con Vergarolla innescare la Terza guerra mondiale contro gli anglo-americani, bensì tramortire i polesi filo-italiani. Lo si desume dall'identità delle vittime: solo italiane, appunto. Eppure in quegli stessi giorni stava facendo pericolosamente crescere la tensione con gli alleati.
 
Se avesse voluto colpirli anche a Pola, non avrebbe scelto Vergarolla.

Ormai solo qualche epigono titoista si ostina a sostenere che mandanti ed esecutori vadano ricercati nel GMA o nel Governo De Gasperi: gli stessi che dovettero poi sobbarcarsi l'onere degli indennizzi ai parenti delle vittime..
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Gli indizi storici

Oltre che da questi ragionamenti logici, possiamo desumere la matrice jugoslava dell'attentato anche da una gran mole di indizi storici. A guerra finita i titini avevano infatti già compiuto stragi di massa contro italiani e jugoslavi anticomunisti, oltre che atti violenti contro militari anglo-americani. Ricordiamone quelli più assimilabili all'esplosione di Vergarolla.
Nel maggio 1945 dei militari con la stella rossa fecero prigionieri alle Isole Brioni una quarantina di soldati della Milizia Difesa Territoriale istriana e della X MAS, li condussero a Val de Rio, presso Lisignano, li posizionarono intorno a una mina subacquea arenata sulla spiaggia e li trucidarono facendola esplodere. I brandelli straziati dei loro corpi rimasero per giorni appesi sui rami degli alberi e sulle siepi circostanti.

Il 21 maggio 1945 militari jugoslavi portarono (dolosamente?) la vecchia motocistema “Lina Campanella”, carica di circa 350 prigionieri italiani prelevati dalle carceri di Pola e poi imbarcati a Fasana, in un campo minato marino fra l'Istria orientale e Cherso. Lo scoppio e il conseguente
inabissamento della nave causarono la morte o il ferimento di molti prigionieri. Quanti finirono in mare furono maciullati dalle eliche o spietatamente mitragliati dai titini. Coloro che invece nuotarono fino a riva vennero trasferiti in campi di concentramento o ai lavori forzati. Solo
pochi trovarono scampo.

Il 5 dicembre 1945 a Pola esplose un deposito di munizioni presso il Molo Carbone causando un morto, 15 feriti e tantissimi danni. Poco tempo dopo, due individui sospetti provenienti dalla Zona B furono sorpresi nel recinto del deposito di esplosivi del Forte San Giorgio con carte di identità non perfettamente in regola e privi di idonea giustificazione.

Il 12 gennaio 1946 uno scoppio di munizionamento alla polveriera di Vallelunga provocò un morto, 40 feriti e gravi danni. Secondo un'informativa dei Carabinieri, le autorità britanniche riconobbero come responsabili e licenziarono alcuni operai della Zona B che vi lavoravano. Il tenente colonnello Orpwood, responsabile del GMA per gli Affari civili a Pola, scrisse nel gennaio 1947 che, se per Vergarolla vi erano «forti basi di sospetto» circa un sabotaggio, vi erano «delle possibilità» di un atto doloso anche per Vallelunga.

Il 20 maggio 1946 il Dipartimento di Stato USA trasmise al Governo jugoslavo una nota di protesta che denunciava fra l'altro l'«attività criminale e terrorista» in Zona A di alcuni membri dell'esercito jugoslavo e di altre organizzazioni paramilitari controllate da Belgrado.
Il 30 giugno 1946 a Pieris (Gorizia) militanti filo-jugoslavi interruppero la tappa del Giro d'Italia a colpi di pistola, ferendo un agente della Polizia Civile. Il giorno successivo a Trieste una bomba ferì 9 militari anglo-americani, mentre elementi filo-jugoslavi spararono contro manifestanti filo-italiani, che si scagliarono contro alcune sedi filo-titoiste.

A fine luglio soldati jugoslavi sconfinarono nella Zona A presso Gorizia uccidendo un soldato americano. Alcuni giorni dopo militari jugoslavi spararono contro soldati inglesi presso il posto di blocco di Prebenico (fra Trieste e Capodistria).


Il 31 luglio 1946 l'agenzia ANSA informò di un rastrellamento anglo-americano in corso nella zona di Monfalcone per sventare un atteso colpo di mano jugoslavo.

Il 9 agosto 1946 soldati jugoslavi assaltarono con bombe a mano una manifestazione filo-italiana a Gorizia.
L'11 agosto una bomba fu rinvenuta a Trieste sotto la tribuna della giuria di una gara internazionale di canottaggio, dopo che i filo-jugoslavi avevano espresso la volontà di boicottare qualsiasi manifestazione, anche sportiva, italiana.

Il 19 agosto 1946, in concomitanza con la crisi dovuta al sequestro di un aereo anglo-americano e all'abbattimento di un altro da parte jugoslava, i britannici accusarono la Jugoslavia di fomentare disordini e proteste in Zona A anche «sostenendo attività criminali e terroristiche».
All'inizio di settembre furono segnalate sei squadre di agenti sabotatori jugoslavi a Trieste, Monfalcone, Grado, Cervignano, Latisana e Pordenone volte a una presunta attività terroristica. Ad Auzza, in Zona B, una loro squadra avrebbe fatto saltare le dighe di Sottosella e Canale d'Isonzo in
caso di assegnazione all'Italia (poi non avvenuta). Altri specialisti di demolizioni avrebbero operato a Trieste, Monfalcone e Gorizia. In Istria unità d'assalto dei servizi segreti militari con base a Dignano, Gallesano, Fasana, Pola, Capodistria, Rovigno, Parenzo e Pisino avrebbero avuto
l'incarico di compiere anche attività terroristiche e atti di sabotaggio.
Il 14 settembre una bomba esplose di notte a Trieste in un ricreatorio comunale distruggendone due piani e la facciata.

Ai primi di ottobre sempre del 1946 furono segnalati a Trieste una trentina di ex prigionieri tedeschi equipaggiati dagli jugoslavi con fucili ed esplosivi per compiere sabotaggi e attentati in Zona A contro gli anglo-americani. Il 3 novembre 1946, inoltre, elementi filo-jugoslavi assassinarono l'autista del sindaco filo-italiano di Monfalcone.

La strage di Vergarolla è dunque perfettamente compatibile con la politica aggressiva e terroristica attuata da Tito in quel periodo contro i filo-italiani e gli anglo-americani nella Venezia Giulia. E Non vanno dimenticate le contemporanee ardite attività jugoslave in Grecia, Albania e Spagna.

Le testimonianze

Ci sono infine i testimoni della strage. All'epoca qualcuno parlò di uno sconosciuto visto arrivare su una barchetta di idrovolante alla banchina del cantiere navale “Lonzar”, vicino alla spiaggia di Vergarolla; avrebbe detto di venire da Brioni, che era Zona B. Il galleggiante di uno degli
idrovolanti già utilizzati dalla X MAS sull'isola potrebbe essere stato riciclato dagli jugoslavi per raggiungere il luogo del crimine.

Dopo l'esplosione il prof. Giuseppe Nider e un maggiore britannico trovarono in una cava vicina alla spiaggia tracce di apparati per l'innesco remoto di esplosivi uguali a quelli usati nelle miniere dell'Arsa, allora Zona B.

Come ignorare poi la testimonianza del defunto giornalista croato David Fistrovic, il quale sul “Glas Istre” di Pola raccontò di un polese che nella lettera d'addio scritta nel 1979 prima di suicidarsi avrebbe ammesso di aver agito «su ordine di Al-bona»? Fistrovic rivelò al consigliere del Libero Comune di Pola in Esilio Lino Vivoda il nome di questo attentatore: Ivan Nini Brljafa, nel 1946 agente dei servizi jugoslavi con sede tra Fasana e Peroi (ossia proprio davanti alle Isole Brioni).
Un signore residente a Pola ha inoltre rivelato al nostro socio Claudio Bronzin di conoscere i nomi di due polesani che il giorno dopo l'attentato avrebbero festeggiato insieme ai due attentatori in una trattoria di Monte Castagner.
In questo numero ripubblichiamo la confidenza fatta a un altro esule polese, il defunto Sergio Rusich, da un connazionale residente, secondo cui quattordici polesi brindarono in un'osteria di Monte Grande dieci giorni dopo la strage. Pubblichiamo altresì la testimonianza resa alla “Voce del
Popolo” da una polesana “rimasta”, secondo la quale molti degli attentatori erano comunisti italiani di Pola i cui nomi sono noti in città. Un anziano rovignese assai attendibile ci ha inoltre riferito che a Rovigno alcuni ferventi titoisti esultarono appena seppero della “lezione” data alla “reazione” italiana.
Purtroppo tuttora a Pola chi conosce l'identità degli esecutori ha paura di parlare. Un timore comprensibile, che però non fa cessare le illazioni sui responsabili di quel massacro.

Paolo Radivo


254 - La Voce del Popolo 26/07/14 Intervista al Prof. Guido Rumici: Cresciuto tra due dialetti sulle rive di Grado

Intervista al Prof. Guido Rumici: Cresciuto tra due dialetti sulle rive di Grado


TESTIMONIANZE Autore di una quindicina di libri, il prof. Guido Rumici, è un testimone della vicenda del nostro popolo sparso
 
Cresciuto tra due dialetti sulle rive di Grado

 “Istria putela, suta e zentilina, oci de acqua marina che te fa duta bela…”, così scriveva Biagio, così scriveva Biagio Marin guardando dalla sua Grado la linea di terra che appariva all’orizzonte nei giorni di cielo terso. Ma era anche credenza che da quella apparizione lontana, arrivassero nelle notti fredde le “variuole”, le streghe che remando avvolte nei loro mantelli, raggiungevano la laguna per portare via i bambini. Poesie, leggende che testimoniano contatti tra due sponde che la storia recente aveva cancellato, da recuperare. In quel di Grado, è nato ed abita anche Guido Rumici, insegnante, storico che ha dedicato molti libri ai tragici destini di queste terre sconvolte dalla seconda guerra mondiale. Grado, Fossalon, Gorizia, alle spalle di Trieste, sono una realtà segnata dall’esodo delle popolazione dell’Adriatico orientale. Rumici come ha scoperto questo mondo? Lo racconta in questa intervista. “Grado è l’estremo lembo occidentale della Venezia Giulia ed io sono stato fin da bambino incuriosito dal fatto che la gente parlasse due dialetti diversi, ma simili, quello di mio padre e...l’altro. Per scoprire col tempo che gli “altri” erano gli istriani, chiamati “i esuli”, quasi la metà delle persone che i miei genitori conoscevano. Nelle lunghe cene a casa mia, con loro si parlava di Pola, Rovigno, Parenzo, Fiume, Albona, Ragusa, città che venivano descritte come luoghi bellissimi ed incantati, paradisi perduti. All’età di quattro anni, cominciarono le mie vacanze in queste località della costa, sempre in compagnia degli amici esuli e dei loro figli.
Un incanto senza fine, l’infanzia e l’adolescenza. Il mare profondo e trasparente, gli scogli, i pesci ed i fondali, i profumi della vegetazione, fu amore che ancora permane perché l’esplorazione non si è mai conclusa”.

Che cosa ti ha spinto ad esplorare i percorsi che hanno portato sin qui gli esuli giuliano-dalmati?
“Fu verso i 20 anni, quando cominciai a cercare di capire i sentimenti ed i vissuti di chi era partito esule e di chi era rimasto a vivere a casa propria. Due cose mi spinsero ad approfondire queste tematiche: in primo luogo mi aveva sempre colpito l’attaccamento ai luoghi che avevano abbandonato ma anche e soprattutto l’impossibilità del ritorno. Una immensa tristezza che però ritrovavo anche in Istria dove chi era rimasto sopportava, spesso con malcelato silenzio, situazioni e pressioni che stentavo a mettere a fuoco. Volevo capire. Nel 1984 entrai, quasi timoroso, nel Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, dove il prof. Giovanni Radossi, direttore dell’Ente, mi accolse con simpatia, coinvolgendomi con spiegazioni illuminanti e riempiendomi di pubblicazioni che mi invitò a leggere. Lo feci, avido. Poi visitai i vari archivi e infine iniziai a raccogliere testimonianze orali, sia tra gli esuli che tra rimasti. Ne ho svariate centinaia, su ambo i versanti del confine, molte già pubblicate nei mei libri, altre inedite”.

Il primo incontro con Fossalon, con la sua gente?
“Mia mamma ha fatto la maestra elementare a Fossalon e mi fece fare la prima elementare nella sua scuola. Fossalon era ed è la frazione agricola di Grado, in terraferma, abitata da coloni veneti e da esuli istriani, giunti dopo il Memorandum di Londra del 1954. Ero l’unico gradese in mezzo a tutti figli di istriani. Lì imparai anche il loro dialetto. Ricordo che erano quasi tutti originari della Zona B del TLT, figli di contadini del Buiese, dell’Umaghese e del Cittanovese. Il mio compagno di banco era il nipote dello scrittore Fulvio Tomizza che, non a caso ha dedicato un libro, “Il bosco di acacie”, all’insediamento degli esuli a Fossalon”.

Storie emblematiche che hai raccolto?
“Quando gli esuli giunsero a Fossalon, dopo la metà degli anni Cinquanta, questa località sembrava un deserto, solo da pochi anni si era conclusa la bonifica di una terra strappata al mare. Soprattutto gli anziani, all’inizio, provarono disperazione profonda davanti a questa pianura vuota, senza alberi, paragondola alla loro terra rossa che vedevano continuamente volgendo lo sguardo verso sud, a sole poche miglia, oltre quel mare che in passato aveva unito le genti e ora invece le divideva in maniera violenta. Poi, da buoni istriani, si rimboccarono le maniche e con anni di lavoro si rifecero una vita, grazie anche, è giusto sottolinearlo, alle provvidenze ed agli aiuti del Governo Italiano, di cui spesso ci si dimentica. Uno di loro mi disse, parlando del proprio vissuto, che l’Italia aveva perduto l’Istria ma aveva salvato almeno gli Istriani. I pescatori istriani invece si sono inseriti ed amalgamati in modo graduale nel tessuto lavorativo e sociale gradese, portando con sé le proprie imbarcazioni d’alto mare e le proprie tecniche di pesca, diverse da quelle dei gradesi, cui hanno insegnato molto in materia di pesca d’altura. In porto a Grado, sino a pochi anni fa, si sentiva parlare sia in gradese, sia rovignese, sia fasanese. Mi ha colpito soprattutto la tenacia dei pescatori rovignesi, circa 200 persone con i loro familiari, che sono riusciti a mantenere contatti clandestini, in mare aperto, con i loro parenti e amici rimasti in Istria, per tutti i lunghi anni in cui varcare il confine terrestre italo-jugoslavo era difficile se non proibitivo”.

Quante sono le famiglie giuliano-dalmate tra Grado e Fossalon?
“Tra la città di Grado e la frazione di Fossalon giunsero in tutto, tra il 1943 ed il 1958, circa 3.500 profughi (2.500 nei dodici anni compresi tra la fine della guerra ed il 1956 e circa un migliaio sommando il biennio bellico 19431945 ed il 1957/1958). Un po’ più della metà di loro lasciò poi, negli anni seguenti, il Comune di Grado per trasferirsi in altre località (soprattutto i polesi), per cui si può calcolare che la cifra degli esuli effettivamente rimasti ad abitare a Grado città ed a Fossalon in pianta stabile si sia attestato attorno alle 1.600/1.700 unità. Alcuni decenni dopo, nel marzo 1993, erano ancora residenti nel Comune di Grado circa 850 persone nate nei territori ceduti ora appartenenti alle nuove Repubbliche di Slovenia e di Croazia. In tale cifra non sono contemplati i loro discendenti che si sentono ormai gradesi a tutti gli effetti”.
Si parla spesso di eccellenza nel mondo dell’esodo, qualche nome importante anche in queste zone?
“Voglio rammentare l’onorevole Giuseppe Bugatto, zaratino, deputato a Vienna sotto l’Austria e poi rappresentante del Comune di Grado presso il Governo Militare Alleato (G.M.A.) dopo il 1945, l’industriale rovignese Pedol, che diede vita alla Safica, fabbrica del tonno, dove lavoravano decine di operai; il dottor Smareglia, che fece aprire l’ospedale civile di Grado, il dottor Anteo Lenzoni, magistrato di Pola, membro del C.L.N., organizzatore del trasferimento ed accoglienza degli esuli di Pola a Grado, il rovignese Tullio Svettini, attore, regista ed anima delle compagnie teatrali di Grado. Vi furono poi una trentina di maestri e professori istriani, fiumani e dalmati. Tra di loro voglio ricordare il maestro Giuliano Mattiassi, vero faro degli esuli istriani a Grado e per moltissimi anni delegato dell’ANVGD locale”.

In che modo le seconde e terze generazioni potranno continuare a mantenere viva una memoria storica?
“Soltanto quelle persone che hanno una particolare sensibilità umana, di ricerca delle proprie radici, possono continuare a guardare al recupero della memoria dei propri avi. Talvolta si tratta di casi isolati, che è difficile coagulare in un gruppo. Solo gli strumenti informatici possono avvicinare oggi persone che, pur vivendo anche molto distanti geograficamente, hanno la voglia e l’interesse di mantenere questa memoria storica”.
Dialogo esuli-rimasti, una tua riflessione sulla possibilità di costruire una rete di contatti ed iniziative.
“Il dialogo c’è da oltre vent’anni e solo alcuni ambienti ancora troppo legati a logiche di chiusura non vuole riconoscerlo. La rete di contatti che all’inizio era sviluppata solo a livello individuale e di singoli studiosi ed interessati, è oggi molto più fitta di qualche anno fa. Credo che i tempi siano maturi per una maggior collaborazione tra gli enti e i sodalizi delle due diverse realtà, e quindi anche ad iniziative comuni in campo culturale (vedi la MLHistria), religioso, sportivo ed associativo, anche perché il tempo passa e gli iscritti alle varie sigle sono inesorabilmente sempre di meno”.

 Scrivere i tuoi libri sulle vicende del confine orientale, che cosa ha rappresentato per te?
“E’ stata una sfida condensata in una quindicina di pubblicazioni sulle vicende giuliano-dalmate, perché sapevo di dover sempre sfiorare l’ombra della politica e delle ideologie, mentre invece volevo cercare di raccontare queste vicende soprattutto dal punto di vista umano, delle gente comune. Ho cercato di descrivere le varie e diverse posizioni di chi è partito e di chi è rimasto e sapevo anche che la scelta di far parlare uomini e donne degli opposti schieramenti mi avrebbe procurato antipatie ed accuse. Però, in questo modo ho anche conosciuto moltissime persone di una umanità straordinaria, con grandi valori e con storie incredibili, che mi hanno comunicato grandi emozioni.
 In molti casi gli anziani mi hanno raccontato vicende che nemmeno ai loro congiunti avevano raccontato, spesso per non addolorarli troppo, facendomi sentire da un lato onorato delle loro confidenze ma anche gravato dal peso che volevano lasciarmi, di testimone dopo la loro scomparsa. Altre volte mi hanno chiesto di non pubblicare nulla data l’assoluta drammaticità dei loro vissuti. Si è trattato quindi, da parte mia, di un viaggio attraverso i sentimenti di generazioni diverse, che purtroppo stanno scomparendo, e che non so se riuscirò mai a descrivere compiutamente”.


255 - Il Piccolo 04/08/12 Isola Calva in vendita, scoppia la rivolta

L’associazione di Goli Otok: «Non può diventare un parco di divertimenti». Radin: «Il governo si fermi e rispetti la memoria»  

di Andrea Marsanich
 
FIUME Non poteva andare diversamente. La decisione del governo croato di centrosinistra di inserire l’Isola Calva (Goli Otok) nella lista dei 100 grandi immobili nazionali da privatizzare ha scatenato polemiche e proteste in Croazia. Probabilmente l’idea non è piaciuta neanche nelle altre ex repubbliche della Jugoslavia, considerato che nell’ex lager di Tito finirono oppositori che vivevano (o vivono) in Slovenia, Serbia, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Macedonia. A reagire con un duro comunicato all’iniziativa dell’esecutivo croato è stata l’associazione Isola Calva “Ante Zemljar”, da sempre in prima fila nel voler fare di questa caratteristica isola nordadriatica un’area della rimembranza, dove mantenere vivo il ricordo delle 400 vittime del campo e delle sofferenze di tutte le 13 mila persone che dovettero trascorrere anni durissimi, dal 1949 al 1956, in quest’angolo d’inferno. Il presidente dell’associazione, Darko Bavoljak, ha rilevato nel comunicato che l’Isola Calva non puo venire commercializzata, trasformata in luogo da dare in pasto ai privati: «Siamo convinti che la privatizzazione dell’isola, destinata così a diventare un parco divertimenti, arrecherebbe un’offesa incancellabile alle migliaia di internati e alle loro famiglie. Vogliamo avere un adeguato centro memoriale e non svendere i nostri ricordi e il nostro passato, relativizzando le tragedie che si consumarono all’Isola Calva». Secondo Bavoljak, l’isola, o parte di essa, dovrebbe essere proclamata area della rimembranza, dove si potrebbe dare vita ad una particolare forma di turismo, che si baserebbe sullo studio della democrazia e dei diritti umani, sulla tutela dei ricordi legati alle vittime di questo famigerato campo di internamento, con l’Isola Calva che dovrebbe diventare uno spazio anche per artisti e ricercatori. «Chiediamo al presidente della Repubblica, al governo e al Parlamento di promulgare una legge in materia, coinvolgendo nel progetto tutte le ex repubbliche jugoslave. In tal modo si potrebbe concorrere ai mezzi dell’Unione europea tramite il programma intitolato “L’Europa per i cittadini”». Infine Bavoljak ha detto di voler credere che l’esecutivo del premier Zoran Milanovic„ (Partito socialdemocratico) agirà in tempi rapidi, nominando un interlocutore che ascolti quelle che saranno le proposte della “Ante Zemljar”. A manifestare dissenso nei riguardi del progetto di commercializzazione dell’Isola Calva è stato anche il connazionale Furio Radin, presidente della Commissione parlamentare per i diritti umani, che da anni si batte per trasformare questa manciata di pietre adriatiche in un’area del ricordo e della pietà. «Sono contrario a progetti che parlano di investitori, imprenditori, denaro e quant’altro all’Isola Calva. Parliamo di una zona del dolore e delle tragedie, che non va monetizzata. Tuteliamola affinché costituisca un messaggio alle future generazioni».


Si ringraziano per la collaborazione della Rassegna Stampa: L’Università Popolare di Trieste e l’Assoc. Nazion.Venezia Giulia e Dalmazia - ANVGD di Gorizia

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Maggio - Giugno 2014 – Num. 45


30 -  La Voce in più Storia & Ricerca 07/06/14 Vergarolla: Fonti Jugoslave (Daria Deghenghi)
31 - Panorama Edit 30/05/14 Foibe ed Esodo: dalla rimozione alla conoscenza, il nuovo saggio di Carla Isabella Elena Cace (Fulvio Salimbeni)
32 - Il Piccolo 04/06/14  L'affascinante reportage del giornalista francese Yriarte raccontava già nel 1874 la difficile convivenza in Istria (Alessandro Mezzena Lona - Carlo Yriarte)
33 - Leggere Tutti - Aprile 2014 Paolo Scandaletti: La storia dell'Istria e della Dalmazia (Albero De Grassi)
34 - La Voce del Popolo 08/05/14 Cultura - Conoscere la guerra per amare la pace (Kristjan Knez)
35 - Panorama Edit 30/05/14 Ricordando Tomizza (Marino Vocci)
36 - La Voce in più Storia  07/06/14 Torre civica emblema di Fiume (Igor Kramarsich)
37 - Il Piccolo 08/05/14  Caracciolo: «Gli indipendentisti fermi al 1914»

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30 -  La Voce in più Storia & Ricerca 07/06/14 Vergarolla: Fonti Jugoslave

Recensioni di Daria Deghenghi

Vergarolla: Fonti Jugoslave

La strage di Vergarolla: fonti jugoslave” è l’ultima in ordine di tempo tra le ricerche storiografiche sulla sciagura - tutta polese e tutta italiana - del 18 agosto 1946.

Porta la firma di William Klinger e la sua pubblicazione, in forma di opuscolo (allegato) all’”Arena di Pola”, si deve all’associazione Libero Comune di Pola in Esilio. Al direttore dell’”Arena”, Paolo Radivo, il merito per aver sollecitato la ricerca e curato l’edizione presentata al 58.esimo Raduno degli esuli da Pola (1519 maggio). Vero è che l’ultima fatica di Klinger sulla carneficina in spiaggia del 1946 non ha portato a scoperte clamorose, ma è vero altrettanto che il ricercatore di origini fiumane ha per primo ispezionato gli archivi di Stato di Belgrado, riesumandovi documenti seppelliti che a parere di Tullio Canevari costituiscono “un altro tassello di quel mosaico che un giorno ci permetterà di vedere, forse tutta intera, la verità”.

Che però la “verità” sia altamente malleabile anche a distanza di decenni è lampante. E che i fatti, complice una pluridecennale omertà sul caso, siano talora spinti ad interpretazioni forzate, non è meno evidente. Ad ogni modo, il merito di Klinger è quello di aver decostruito e ricomposto tesi in aperto conflitto, ipotesi azzardate e costruzioni fantastiche dell’uno e dell’altro filone agiografico; di aver separato la farina dalla crusca, e cioè distinto nettamente tra fatti ed interpretazioni; di aver smascherato l’ideologia dietro la parvenza del giudizio oggettivo e soprattutto di aver fornito una “cornice al quadro”, e cioè descritto accuratamente il contesto storico, politico, demografico e ideologico che fu teatro di una delle maggiori carneficine dell’Italia del Dopoguerra. La prima assoluta e la più sottaciuta, e questo è certo.

Una strage inimmaginabile

Il fatto è presto detto, visto che alla strage in spiaggia non seguì alcuna imputazione di responsabilità né pene di sorta, ma solo un cupo silenzio. La mattina di domenica 18 agosto 1946 si tennero a Vergarolla le tradizionali gare natatorie della Coppa Scarioni e in serata fu programmata una festa per il sessantesimo della fondazione della società nautica Pietas Iulia, che ebbe sempre un orientamento patriottico italiano. Alle 14.10 il boato. Il numero delle vittime non fu mai accertato, anche se i corpi identificati furono 64. Ma resta il fatto che alcune persone “furono letteralmente polverizzate”. Circa 200 i feriti. Fu la peggior strage italiana del Dopoguerra, paragonabile solo all’esplosione alla Stazione di Bologna dell’agosto 1980. La città era divisa nell’anima.

“Documenti inglesi riferiscono che prima di Vergarolla da parte filojugoslava era stata espressa la volontà di boicottare qualsiasi manifestazione filo-italiana”. E infatti un mese e mezzo prima c’era stata la tappa Rovigno-Trieste del Giro d’Italia, osteggiata da una folla di dimostranti e sfociata in aperto conflitto a colpi di pistola. Il primo luglio a Trieste, durante gli scioperi indetti dal CLN e dall’Unione antifascista italo-slava, la folla lanciava una bomba che feriva soldati inglesi e americani; filoitaliani ricambiarono con bombe contro sedi filo-titoiste.

Ma la strage di Vergarolla era ancora inimmaginabile. Le munizioni erano incustodite e i civili non protetti, eppure quando la stampa americana affermò la responsabilità delle forze alleate, il Comando del GMA reagì furiosamente proclamando la propria estraneità all’accaduto. Anche l’indennizzo alle famiglie era stato trattato alla stregua di risarcimento per danni da calamità e non già come obbligo degli alleati per responsabilità diretta o indiretta dell’accaduto. Passati i funerali, le pubbliche manifestazioni di lutto (chiusura di negozi, messe di suffragio
eccetera) e distribuiti gli indennizzi, Vergarolla sparì immediatamente dalle cronache e dai resoconti di storia ufficiali di entrambi i Paesi per piombare nel mistero assoluto fino alla fine degli anni Novanta.

La controversia storiografica

Materiale documentario sulla strage agli archivi di Londra fu rinvenuto dall’argentino Mario J. Cereghino che con Fabio Amodeo pubblicò una gran mole di documentazione sul dopoguerra giuliano che però non incise minimamente sulla storiografia italiana, forse per la vendita in abbinamento a quotidiani a diffusione locale. A questo punto Klinger scrive le pagine più interessanti del suo lavoro. Riprende il contenuto dell’informativa “Sabotage in Pula” del 19 dicembre 1946, che punta il dito contro tale Giuseppe Kovacich, agente dell’OZNA, facendo leva su fonti italiane. Anni fa l’informativa in questione è stata un boccone ghiotto per la pubblicistica, che infatti aveva afferrato l’osso e se n’era nutrita ripetutamente, a puntate, ma senza alcuna ripercussione sulla storiografia.
Pochi, infatti, se ne occuparono con cognizione di causa e taluni lo fecero con ricami fantasiosi tali da stupire anche il pubblico meno colto, figurarsi quello più serio. Da parte croata c’è stata la tendenza a relativizzare la scoperta, considerata inattendibile “per parzialità di vedute” della fonte: i carabinieri italiani.

Darko Dukovski, ordinario di storia all’Università di Fiume, ha visitato gli archivi di Londra e ne ha tratto due pubblicazioni. L’articolo comparso sulla polese di storia “Histria” è di evidente stampo negazionista, propone innanzitutto una dettagliata analisi balistica dell’esplosione per poi cacciarsi in esplorazioni e considerazioni anche contrastanti, al punto che ora nega l’esistenza dell’attentatore ed ora ne postula cambi di identità, confutando il presunto interesse delle autorità politiche jugoslave a perseguitare gli italiani perché “tanto la carta politica della nuova Europa era già stata disegnata” e perché comunque il “problema italiano” si sarebbe risolto più avanti.

Attentatori italiani contro civili italiani?!

Nel 2013 Claudia Cernigoi riprende i dubbi di Dukovski e scrive che “a livello politico, era interesse strategico del CLN polese provocare un moto di popolo per impedire la cessione della città agli jugoslavi”, ribadisce che nel CNL c’era gente disposta a tutto, come ben dimostra il caso di Maria Pasquinelli e l’assassinio del generale britannico de Winton, e adduce che per puro caso proprio nel giorno dell’esplosione la Pasquinelli non si recò a Vergarolla, né ci andò il padre di Marina Rangan, “forse per un provvidenziale sesto senso”. Per Cernigoi, d’altronde, un nome dello stampo di Giuseppe Kovacich (Josip Kovacic) equivarrebbe in Italia a un Mario Rossi, che poi sarebbe “uno, nessuno e centomila”, neanche a fare apposta, o a volerselo inventare. Ergo gli italiani avrebbero causato essi stessi una carneficina di italiani a scopi propagandistici e rivoluzionari. Bisognerà pur dirlo: quella del filone Dukovski-Cernigoi è solo l’ultima delle pugnalate inferte da chi non ha davvero nulla da perdere nella ferita ancora sanguinante del popolo giuliano. Ma Klinger tira fuori dalla manica il vero Kovacic, di cui ha rintracciato la tomba al cimitero di Cosala. E dice: sarà poi anche vero che “il nome di Giuseppe Kovacich è comune quasi quanto quello di Mario Rossi”, ma il soggetto da noi rintracciato (partigiano, trentenne nel 1946 e fiumano) risulta essere l’unico, anche se resta vero che “un’informativa di per sé non costituisce una prova certa”. Lo riconosce del resto anche l’esule polese Sergio Cionci, agente del Servizio militare italiano dal 1947 al 1954. Intervistato da Andrea Romoli ebbe a dire in merito al presunto attentatore: “L'unica cosa che posso confermare è che il Kovacich era ben conosciuto dai nostri servizi, non fosse altro che per i suoi periodici contatti con la società di importazioni ed esportazioni jugoslave di via Cicerone a Trieste, strutture che all’epoca erano notoriamente sedi di copertura per l’OZNA in città. Ricordo che il suo nome emerse diverse volte in informative interne che ricevemmo dal controspionaggio ma mai - e sottolineo mai - venne in alcun modo associato alla strage di Pola”.

Brljafa suicida per rimorso?

In contrapposizione a Dukovski e Cernigoi, e ben prima di loro, il direttore del periodico “Istria Europa”, Lino Vivoda, Il luogo della strage come si presenta oggi aveva seguito le orme del giornalista David Fistrovic, che aveva aperto una pista d’indagine diversa - promettente e tuttavia abbandonata - secondo la quale il responsabile o uno dei responsabili dell’esplosione sarebbe stato Ivan Brljafa, un maggiorente comunista di Pola, che negli anni Sessanta fu anche sindaco, e prima ancora un agente dei servizi segreti jugoslavi.
Ebbene Brljafa morì suicida nel cortile di casa, a quanto sembra per rimorso, e avrebbe lasciato anche una confessione del suo operato terroristico su comando dell’OZNA in una lettera in possesso di una parente.
Fistrovic raccontò di aver visto con i suoi occhi il biglietto, ma non è più tra noi per testimoniarlo.

Quanto alla Cernigoi, che insiste a rimarcare la contrapposizione tra fascisti e antifascisti, questi ultimi tutti fedeli a Tito, Klinger risponde che “tali categorie appaiono già nel 1946 pienamente superate”, poiché gli “jugoslavi si muovevano ormai in aperta ostilità nei confronti degli ex alleati angloamericani”. In città il clima era pesante da mesi. Scoppi di arma da fuoco ed esplosioni di munizionamento e di residui bellici erano all’ordine del giorno, quasi quanto spiegazioni sulla loro casualità, di cui Klinger fornisce resoconti esaustivi. È vero, conclude l’autore, “a Pola era in atto una vera strategia della tensione, come del resto affermato da Claudia Cernigoi, ma che difficilmente può essere attribuita all’operato di spezzoni dei servizi fascisti’ italiani”. Del resto “... gli jugoslavi si presentavano come la punta di lancia dell’avanzamento sovietico in Europa”, afferma Klinger e adduce numerose prove in tal seno (occupazione dell’Albania e della Venezia Giulia prima della fine della guerra, eccetera eccetera).

La fuga, unica soluzione

Quanto a Vergarolla, l’attentato fu solo l’ultimo di una serie di esplosioni a catena, ma ebbe “conseguenze devastanti sul morale della popolazione, già duramente provata dalla guerra”. Quello della vigilia della strage era un momento topico, ribadisce Klinger. La prima fase della Conferenza di Pace (che vide confrontarsi una Jugoslavia trionfante e in pieno fervore espansionistico, contro un’Italia a capo chino con un de Gasperi in prima linea a rivendicare l’Istria “solo per ragioni di prestigio”) si concluse il
17 agosto.

l’attentato “rafforzò anche nei più titubanti la convinzione che l’esodo fosse ormai l’ultima garanzia di sopravvivenza”. Chi teme per la propria vita e vive nel panico non è in grado di fomentare moti di popolo per opporsi ad un oltraggio dovuto alla perdita di sovranità territoriale.

Fugge e basta. E infatti da Pola fuggirono in 28.000. Non certo perché gli italiani lanciarono bombe contro sé stessi.


31 - Panorama Edit 30/05/14 Foibe ed Esodo: dalla rimozione alla conoscenza, il nuovo saggio di Carla Isabella Elena Cace
La Storia Oggi

A dieci anni della Legge del Ricordo il nuovo saggio di Carla Isabella Elena Cace

Foibe ed Esodo: dalla rimozione alla conoscenza

di Fulvio Salimbeni

Il 30 marzo 2004 il Parlamento italiano quasi all’unanimità approvava la legge, n. 92, del “Giorno del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe, delleso-do giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati”, poi pubblicata nella “Gazzetta Ufficiale” n. 86 del 13 aprile successivo, grazie alla quale s’apriva una nuova stagione nel dibattito storiografico in materia e nell’opera di divulgazione di tali vicende nelle scuole e nell’opinione pubblica che, fuori dal Friuli Venezia Giulia, a parte rari casi, poco o nulla ne sapeva. Ora, ricorrendo il decennale di tale iniziativa legislativa, Carla Isabella Elena Cace, esule di terza generazione, appartenente a una famiglia originaria di Sebenico, alcuni componenti della quale hanno avuto un ruolo di rilievo nell’associazionismo dell’esodo adriatico, ha dato alle stampe, come n. 61 della collana “I libri del Borghese” (Pagine editore, pp.
188, con 31 fotografie, euro 16), Foibe ed esodo: l’Italia negata. La tragedia giuliano-dalmata a dieci anni dall’istituzione del“Giorno del Ricordo”, ripresa, sviluppo e ideale coronamento di due suoi precedenti lavori in materia, rispettivamente Foibe: martiri dimenticati, e Foibe:
dalla tragedia all’esodo, cataloghi della mostra al Vittoriano, curati insieme con Matteo Signori ed entrambi editi nel 2009 dall’editore Palladino d’intesa con l’Associazione Nazionale Dalmata.

Il presente saggio, scritto con linguaggio non specialistico e di taglio volutamente divulgativo, per raggiungere un pubblico quanto più vasto possibile, s’apre con le prefazioni di Roberto Menia, il deputato primo firmatario della legge in questione, Renzo de’ Vidovich, Lucio Toth, Marino Micich, Lorenzo Salim-beni, Paolo Sardos Albertini, Antonio Ballarin, tutti a vario titolo legati al mondo della diaspora, e Gian Marco Chiocci, direttore del quotidiano romano “Il Tempo”, che illustrano la lunga battaglia sostenuta per imporre all’attenzione della Nazione questa dolorosa pagina rimossa della storia italiana, denunciando pure quelle che, almeno secondo alcuni di loro, sono state le ragioni opportunistiche d’un cinquantennale silenzio in merito e indicando ciò che si deve compiere, in particolare sul cruciale piano didattico, per far conoscere tali vicende. Ad esse seguono cinque capitoli, riguardanti rispettivamente il Giorno del Ricordo, in cui è riportato il testo integrale della legge; il decennale dessa (2004-2014); quel che in tale periodo s’è fatto per rimuovere la cortina d’oblio; le foibe, con relativa cronologia dei fatti, testimonianze, documenti; lesodo, con, infine, l’elenco della cinquantina di Comunità Italiane attualmente attive in Slovenia e Croazia, sintetiche biografie di esuli illustri (Abdon Pamich, Alida Valli, Andrea Millevoj, Antonio Gandusio, Antonio Varisco, la famiglia Luxardo, il beato Francesco Bonifacio, Laura Antonelli, Mila Schoen Nutrizio, Nino Benvenuti, Ottavio Missoni, Sergio Endrigo), le conclusioni, la bibliografia, peraltro molto succinta, integrata da un elenco di siti Internet - a p. 94, però, v’è un paragrafo relativo alle pubblicazioni nel circuito nazionale dopo il 2004 -, e l’apparato fotografico.

La trattazione vera e propria ricostruisce per sommi capi e per punti essenziali la storia della sponda orientale adriatica negli ultimi due secoli, dal 1797 - anno della fine della Repubblica di Venezia - al secondo dopoguerra, fino al trattato di Osimo, che pose definitivamente termine alla vertenza diplomatica sul confine orientale, fornendo un primo, utile orientamento al lettore ignaro in materia. Più originali e interessanti sono le pagine del terzo capitolo, dedicate a quanto intrapreso dal 2004 in poi per diffonderne la conoscenza tra il più vasto pubblico nazionale, dalla costituzione del “Comitato 10 Febbraio” alle visite scolastiche alla foiba di Basovizza, sul Carso triestino, dotata d’un centro didattico e di guide specializzate, complementare, in un certo senso, alla Risiera di S. Sabba, nel capoluogo giuliano, essa pure dichiarata monumento nazionale, che ricorda l’altro tragico aspetto del periodo 1943-47, l’occupazione tedesca dopo l’8 settembre, con la conseguente spietata repressione del movimento partigiano e la persecuzione degli ebrei, oltre alla mostra del Vittoriano, di cui s’è già detto, che ottenne il patrocinio delle principali istituzioni nazionali e romane e una visibilità, data la collocazione, fino allora inimmaginabile. Sul versante mediatico, inoltre, si ricordano lo sceneggiato televisivo, diffuso anche nel circuito cinematografico, Il cuore nel pozzo, che, come s’è già avuto modo di notare in un precedente intervento, sarebbe stato meglio non venisse realizzato, data la discutibilissima ricostruzione storica in esso fornita, e il recente, invece riuscito, spettacolo teatrale Magazzino 18 di Simone Cristicchi, in cui il dramma giuliano-dalmata, inquadrato in un più ampio arco cronologico, grazie alla bravura dell’autore e interprete è stato rappresentato con rara sensibilità ed equilibrio storico.

Del pari positiva, e indice del nuovo clima che si va finalmente instaurando a livello di rapporti tra esuli e cosiddetti “rimasti”, è l’attenzione riservata a “quelli che decisero di restare” e alla loro tutt’altro che facile condizione nella Jugoslavia comunista, venuta migliorando molto lentamente una volta superate le maggiori tensioni tra Roma e Belgrado e cambiata decisamente in meglio soltanto dopo la sua disintegrazione nei sanguinosi conflitti degli anni Novanta, entrando a far parte dei nuovi stati di Slovenia e Croazia, finché il famoso concerto dell’amicizia del maestro Riccardo Muti, svoltosi a Trieste il 13 luglio 2010 alla presenza di presidenti delle repubbliche italiana, slovena e croata, ha suggellato l’aprirsi d’una nuova, positiva stagione nei rapporti transfrontalieri, facilitati, tra l’altro dall’ingresso nell’Unione europea di Lubiana prima e di Zagabria ora, e nel percorso verso una “memoria condivisa”, di cui, a un elevato livello politico e istituzionale, le premesse erano state posto nel civile confronto tra Gianfranco Fini e Luciano Violante svoltosi a Trieste nel marzo 1998, tappa per certi versi conclusiva d’un processo di revisione e ripensamento facilitato dalla fine della Guerra Fredda, dalla scomparsa dell’URSS e dalla trasformazione del PCI prima in PDS e poi in PD.

Altro pregio della pubblicazione è quello d’aver avviato la ricostruzione - sia pure sommariamente e privilegiando la dimensione politica - dal momento epocale della scomparsa della Serenissima, collocando il fatale quadriennio
1943-47 in una più ampia cornice cronologica, che gli dà maggior senso e storicità, cogliendo le radici della tragedia adriatica negli immani sommovimenti e drastici cambiamenti indotti dalla Grande Guerra, che, provocando la scomparsa di tre imperi multinazionali (austro-ungarico, russo, ottomano), diede origine a una serie di piccoli stati altrettanto plurietnici, ma dominati dal mito della purezza nazionale, donde la persecuzione delle numerose minoranze in essi esistenti e le rivendicazione delle proprie, incorporate in altri stati, come è stato, del resto,ricordato nell’intervento di Robert Gerwarth Uno stato, un popolo: l’eredità avvelenata del 1914-18, comparso nel fascicolo monografico, fresco di stampa (n. 5, 2014), di “Limes”, 2014-1914: l’eredità dei grandi imperi.

Positivo, infine, è stato aver riportato integralmente il testo della legge istitutiva del Giorno del Ricordo, che tanti citano senza nemmeno averla letta, perché, qualora lo avessero fatto, avrebbero appreso che nell’art. 1, comma 2, in cui sono previste iniziative didattiche e scientifiche miranti a diffondere la conoscenza di tali fatti e a preservarne la memoria, si dichiara che esse “sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica e altresì a preservare le tradizioni delle comunità istrianodalmate residenti nel territorio nazionale e all’estero” (pp. 55-56). Tale raccomandazione è la miglior giustificazione tanto della meritoria attività dell’IRCI (Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata) - al principiare degli anni Novanta fondato da Arturo Vigini, indimenticabile figura di politico, nell’accezione migliore del termine, istriano -, sin dall’inizio impegnato, con la rivista “Tempi & Cultura” e con corsi d’aggiornamento, convegni, seminari, spesso confluiti in pubblicazioni degli atti, presentazioni librarie, a far conoscere l’intera e complessa storia della civiltà adriatica nelle sue diverse componenti e articolazioni, senza ridurla soltanto agli eventi del secondo conflitto mondiale e a quelli immediatamente successivi, quanto del Centro di ricerche storiche di Rovigno, senza scordare che numerosi comitati provinciali dell’ANVGD, come quelli di Gorizia e di Udine, da tempo sono impegnati, e con ottimi risultati, nella medesima direzione.

Il saggio della Cace, dunque, si propone sia come sintetico profilo delle travagliate vicende del confine orientale sia quale bilancio di quanto fatto nell’ultimo decennio, tenendo desta la memoria d’esse, per comprenderle e contestualizzarle sempre meglio sul versante storiografico.


32 - Il Piccolo 04/06/14  L'affascinante reportage del giornalista francese Yriarte raccontava già nel 1874 la difficile convivenza in Istria
Biblioteca dell’Immagine pubblica l’affascinante reportage del giornalista francese Yriarte raccontava già nel 1874 la difficile convivenza in Istria

di Alessandro Mezzena Lona

Di professione faceva l’ispettore degli asili. Nel tempo libero amava scrivere, ma soprattutto viaggiare. Quando lasciò Trieste, a cui dedicherà un memorabile reportage, per addentrarsi nei territori dell’Istria, scendendo fino al Quarnero, alle isole, Carlo Yriarte si accorse subito che quella terra era una polveriera. Pronta a esplodere. Dove la gente conviveva sì, ma senza amarsi.

Affascinato dall’Italia, partito per un viaggio d’esplorazione lungo le coste dell’Adriatico, Yriarte pubblicò a puntate il racconto del suo girovagare. Nel 1875 lo lessero, per primi, i francesi che acquistavano la rivista “Tour du Monde”. Qualche tempo dopo, nel 1883, anche i Fratelli Treves di Milano dedicarono ai racconti “on the road” del giramondo parigino, nato nel 1833 da una famiglia di origine spagnola, una collana diventata leggendaria.

Adesso, quel viaggio ridiventa una storia di carta in più volumi. Dopo l’antipasto di “Trieste”, proposto l’anno scorso, la Biblioteca dell’Immagine comincia la sua lunga navigazione sulle tracce di Yriarte proponendo “Istria. Il golfo del Quarnero e le sue isole”, che arriva nelle librerie oggi.

«Abbiamo raccolto, nelle maggiori librerie antiquarie italiane ed estere - racconta l’editore Giovanni Santarossa -, i volumi contenenti i famosi resoconti di viaggio compiuti in Italia dalla metà a fine Ottocento. Abbiamo selezionato le opere e lavorato intensamente per due anni per rendere disponibili questi gioielli che raccontano l’Italia da Trieste a Palermo, da Cagliari a Trento. Complessivamente saranno realizzati circa 50 volumi». E ogni libro sarà accompagnato dai disegni, davvero splendidi, che Yriarte abbozzava durante il viaggio, e perfezionava al suo ritorno a casa.

Charles Yriarte, italianizzato in Carlo, non ha visto da vicino le follie del secolo breve. Morto nel 1898, a 66 anni, si è risparmiato il crollo dell’Impero austroungarico, la discesa delle truppe fasciste e naziste lungo i Balcani, le due guerre mondiali, l’orrore dei lager, la vergogna del campo di Arbe, e poi il terribile esodo della gente italiana dall’Istria e dalla Dalmazia, il massacro delle foibe, la caccia all’uomo. Ma lungo il percorso del suo viaggio nelle terre istriane, già nel 1874 si era accorto che sotto la cenere di una convivenza apparentemente quieta covava la scintilla di future rese dei conti.

Scriveva Yriarte: «Tutta la costa dell’Istria è veneta per tradizione e per origine; tutta la campagna è slava, e questo ultimo elemento costituisce oltre due terzi della popolazione totale. L’elemento tedesco si compone soprattutto di impiegati e militari, rappresentanti del potere centrale, che, venuti dall’interno dell’Austria, si considerano spesso come esiliati in questo paese perduto, raffrontandolo con rammarico alle ridenti valli della Stiria e alle belle provincie dell’arciducato d’Austria. La lingua in uso nelle città è l’italiana. Nelle città del litorale e in quelle dell’interno, i piccoli commercianti parlano slavo per la necessità d’intendersi coi contadini, senza entrare in questioni d’ordine politico, è impossibile al viaggiatore di non riconoscere l’antagonismo flagrante fra l’elemento italiano e l’elemento slavo. Tra queste due razze, l’elemento tedesco, che rappresenta il potere e l’autorità, barcheggia con prudenza, e studia di conservar l’equilibrio». Ma Yriarte era bravo anche a raccontare l’anima dei luoghi. Gli usi e i commerci, le credenze e i modi di abbigliarsi. Ci sono pagine che si fanno leggere come quelle di un romanzo. Senza mai perdere di vista l’obiettivo principale: svelare una terra poco conosciuta a chi, allora, sognava il mondo dalla poltrona di casa.

C’è poco cibo però non manca l’ospitalità degli abitanti

Da “Istria. Il golfo del Quarnero e le sue isole” di Carlo Yriarte pubblichiamo un brano del primo capitolo, per gentile concessione della Biblioteca dell’Immagine.

di CARLO YRIARTE

Le strade esistono fra i grandi centri, ma lì soltanto. I mezzo di locomozione mancano affatto; c’è bene un servizio di posta, che attraversa il paese, ma, oltre al non partire tutti i giorni, la vettura non ha che due posti, ed è un mezzo lento, a causa delle località da servire. Abboccandovi cogli abitanti, trovate quasi dappertutto dei vetturini, che vi portano da un luogo a un altro, ovvero potete viaggiare sui muli. Rispetto all’alloggio e al vitto, i grandi centri hanno degli alberghi, e si può mangiar convenientemente. Se vi dirigete verso il nord, non trovate altro modo d’alloggiare fuori dell’ospitalità degli abitanti, né potete sperare altro cibo, oltre quello portato con voi. Se visitate la campagna, bisogna assolutamente che vi provvediate d’ una guida, presa alla costa, e che parlando lo slavo e l’italiano, vi può render più facile la vita.
Non mai, nella sua capanna, uno Slavo accetterà la ricompensa del servigio prestato; egli è taciturno, un po’ diffidente e timoroso, ma ospitalissimo. Le strade sono più che sicure; il maresciallo Marmont, al tempo della dominazione francese, atterrì i malfattori, che trasformavano il nord dell’Istria in una spelonca. Da allora, l’amministrazione austriaca, proba, saggia, energica rispetto alla polizia, provvede alla sicurezza dei viaggiatori con un servizio di gendarmeria, fatto con gran coscienza. Se alcuno fosse tentato di intraprendere l’escursione che sto per raccontare, dovrebbe munirsi d’un bagaglio ridotto così, da poterlo attaccare sotto la paletta della sella, o come portamantello, perché, in certi luoghi, le strade mancano; vi bisogna attraversare un torrente dalle rive scoscese, e dove non possono discendere le vetture: come per esempio, nel tragitto da Pola ad Albona. Nelle isole potete andar bravamente a picchiare alla casa del curato del luogo che deve esser povero, ma che accoglierà con lieta cera  il viaggiatore. La pietanza sarà magra, senza dubbio, poiché la vita è assolutamente negativa; ma troverete dell’uva secca, delle olive, del pane, del vino, ben di rado un po’ di porco salato.


33 - Leggere Tutti - Aprile 2014 Paolo Scandaletti: La storia dell'Istria e della Dalmazia

TERRE DELL'ADRIATICO

La storia dell'Istria e della Dalmazia

L'impronta di Roma e di Venezia, Le foibe di Tito e l'esodo degli italiani nel nuovo libro di Paolo Scandaletti, edito dalla Biblioteca dell'Immagine.

DI ALBERTO DE GRASSI

L'ingresso della Croazia in Europa, e la Serbia che incalza, sollecitano la memoria dell’o-pinione pubblica sulla tragedia adriatica: quella dei 350 mila italiani che hanno dovuto abbandonare l’Istria e la Dalmazia - vissuto, averi, attività Hsotto l’incalzare terroristico dei partigiani di Tito. Coi nostri libri di scuola ancora zitti, a sessant’anni passati.

Terre affacciate sull’Adriatico, legate da sempre alla sponda italiana. I Romani, risaliti da Rimini e piazzate le roccaforti a Padova e Aitino, si dirigono verso Nordest a fondare Aquileia, 181 anni prima di Cristo: da quel porto fluviale, protetto dalla laguna di Grado, orienteranno 1 traffici su Costantinopoli e Alessandria d’Egitto, facendolo diventare in breve la terza città dell’Impero. Di là irradiano le loro strade verso le Alpi e 1 Balcani; partono alla conquista dell'lstria e della Dalmazia, per fondarvi città dall'impronta inconfondibile come Pola, con l’Arena che ancora vediamo, Zara e poi Spalato, la patria di Diocleziano.

Otto secoli e arriverà Bisanzio, poi i Franchi e il sistema feudale. Da prima del Mille e per ottocento anni ancora, la storia di queste terre meravigliose sarà strettamente legata a quella della Serenissima Repubblica di san Marco. Venezia tutela i suoi traffici procurando sicuri approdi alle navi in rotta verso i ricchi mercati del Mediterraneo orientale. In cambio offre protezione dai pirati e occasioni di sviluppo economico e culturale.

Dopo il crollo della Repubblica del 1797 e il fulmineo intermezzo di Napoleone, subentrano gli Austriaci con la loro corretta amministrazione, fino all’epilogo della Grande Guerra. Allorché l’Istria verrà assegnata all’Italia e la Dalmazia alla neonata corona jugoslava, con l’eccezione di Zara, il regime fascista impone con la forza la predominante italiana.

A guerra ormai perduta, nel '43 si ha la ritirata rabbiosa dei nazisti; alla cui violenza fa seguito quella delle brigate del maresciallo Tito, che continuano a identificare tutti gli istriani e i dalmati col regime di Mussolini. Deportazioni, annegamenti e foibe costringono i cittadini di lingua e cultura italiana ad abbandonare precipitosamente tutto. Due i nuovi documenti che impressionano: il rapporto dell’ufficiale degli Alpini Mano Maffi sulle sei foibe da lui esplorate in incognito nel ’57, finora coperto dal segreto militare; e il manuale per la pulizia etnica ad uso dei miliziani di Tito, redatto dal nobile bosniaco Vasa Cubrilovic, in seguito ministro a Belgrado.

Fra il '43 e il ’54 gli italiani lasciano dunque la terra in cui sono nati, e dove quasi tutti hanno bene operato, nelle mani di sloveni e croati; insieme ai beni e alle proprietà, a grandi realizzazioni e ricordi spesso felici. Con le lacrime e il dolore per un’ amputazione così drastica, su mezzi di fortuna e tra mille peripezie approdano a Trieste, Udine e Venezia; poi in 140 campi di raccolta non certo confortevoli, spesso ospitati di malavoglia.

I 350 mila giunti in Italia, così come gli emigrati in America e in Australia, si sono integrati nella vita nazionale, facendosi onore con iniziative di significato e conseguendo meritata notorietà. Le associazioni che li rappresentano, non sempre in sintonia, hanno avanzato più volte le loro rivendicazioni verso Lubiana e Zagabria. Con scarso esito, in verità.
Fino alla via della riconciliazione che i tre presidenti Napolitano, Turk e Josipovic hanno aperta nel luglio del 2010, celebrata con il grande concerto di Muti in piazza dell’Unità a Trieste.

La comune patria europea offre ora ulteriori ragioni per la comprensione fra popoli confinanti. Ma sulle famiglie degli esuli grava sempre la quasi nulla memoria che i concittadini italiani hanno di tante tragiche vicende. Lucio Toth, leader storico degli esuli, di questo libro (La stona dell'lstna e della Dalmazia, Edizioni Biblioteca dell'Immagine IX, pp. 234 con 90 illustrazioni, euro 14) ha scritto: "è uno stupendo excursus storico dell’lstna e della Dalmazia, dall’antichità alle tragedie del ’900, ad oggi".


34 - La Voce del Popolo 08/05/14 Cultura - Conoscere la guerra per amare la pace
Conoscere la guerra per amare la pace

Kristjan Knez

I colpi di rivoltella sparati a Sarajevo, la crisi di luglio, la febbrile attività diplomatica nelle cancellerie europee, la mobilitazione generale degli eserciti, quindi la conflagrazione, che fece precipitare il continente in un conflitto senza precedenti, un incendio che in breve tempo si sarebbe esteso sul globo intero. E sull’Europa si spensero le luci, per usare le parole di Sir Edward Grey, ministro degli Esteri britannico.

Per approfondire le dinamiche di quel bagno di sangue, di cui quest’anno ricorre il centenario dallo scoppio delle ostilità, il Centro Italiano “Carlo Combi” di Capodistria sta promuovendo delle lezioni e delle escursioni didattiche riservate agli studenti delle scuole medie superiori della Comunità nazionale italiana, per ragionare sulla portata della Grande Guerra, che per quatto anni e mezzo fagocitò uomini, mezzi e risorse di tutte le parti scese in campo.

Evento che schiuse la nuova era

Nei prossimi quattro anni, il progetto stesso coinvolgerà i giovani in un percorso teso ad avvicinare tale evento dirompente, che concluse l’Ottocento e schiuse il nuovo secolo, contraddistinto dalla modernità, dalla velocità, ma anche dalla violenza e dall’abbruttimento del genere umano. Se al tramonto del Diciannovesimo secolo le locomotive erano arrivate sugli schermi delle sale cinematografiche, neanche un ventennio più tardi, su quei treni sarebbero salite intere generazioni di giovani in divisa, convinti di partire per una guerra breve.
Fu un’illusione. E nella stragrande maggioranza dei casi quegli uomini non sarebbero rientrati a casa. Era solo l’inizio di un’ecatombe, che avrebbe sconvolto i popoli, gli imperi e le leadership su scala mondiale.

Presente nella memoria delle famiglie

La Prima guerra mondiale è sì un evento lontano, ma al tempo stesso parzialmente ancora presente, grazie alla memoria tramandata nelle famiglie. È un capitolo che appartiene al passato, parimenti rappresenta un momento per commemorare la tragedia dell’Europa, quella stessa che, sebbene detenesse il primato indiscusso e avesse raggiunto uno spessore civile ragguardevole, era capitombolata in una mattanza, conclusasi solo con l’esaurimento in senso lato degli schieramenti in lotta.

Ma a differenza del Secondo conflitto mondiale, con le memorie ancora divise, giacché attraversate da posizioni ideologiche diametralmente opposte, nonché da anacronistiche polemiche alimentate in varie parti del continente – forse perché la politica odierna è ormai a corto di soluzioni per la crisi che stiamo attraversando e allora è più facile scadere nella demagogia, individuando “pericoli” e riesumando vecchie questioni –, le cruenti pagine di storia di cent’anni or sono possono costituire un punto di partenza per comprendere.

Ottima occasione per riflettere

La carneficina del 1914-1918 può diventare un’occasione per riflettere coralmente su quella “inutile strage”, che aveva tracciato un solco profondo nel vecchio continente, la cui fine, seguita dai punitivi Trattati di pace, avrebbe rappresentato un fomite di discordia per uno scontro armato futuro.

In un momento storico in cui grazie all’Unione europea sono venuti meno i confini – per i quali fu versato tanto sangue anche a queste latitudini – e altri scompariranno del tutto entro breve, la conoscenza dell’orrore della guerra di un secolo fa, con i suoi strascichi di sofferenza e miseria, per i più giovani può rappresentare un’occasione in più per cogliere il vero valore della pace e della concordia tra i popoli.


35 - Panorama Edit 30/05/14 Ricordando Tomizza
Ricordando Tomizza

Scrittore e uomo di pensiero ma soprattutto persona da ascoltare e da amare

Seppur da un decennio e mezzo non più fra noi, la sua presenza resta più che mai viva in questa terra che ha tanto amato in tutte le sue componenti diversificate e molto spesso contrapposte

Marino Vocci

Scrivo queste riflessioni la mattina di mercoledì 21 maggio seduto all'ombra di uno splendido rovere ultracentenario, a Coviglie. Una breve sosta nel corso di una solitaria caminada, dopo aver lasciato la mia Caldania per raggiungere Momichia. È una splendida giornata di sole in un'atmosfera quasi estiva che contrasta fortemente con quella di quindici anni fa quando, dopo aver saputo della morte di Fulvio Tomizza, mi ero incamminato tra l'erba e lungo i trosi accanto alla Sua casa di Momichia e, insieme alle robinie, avevo pianto anch'io. Un pianto disperato. Oggi però non mi sento così solo.
Tra le braide di terra rossa immerso in un'esplosione di diverse tonalità di verde, tra il profumo intenso del gelsomino e del bosso, quello delicato della rosa canina e dolciastro del grano, ad accompagnarmi ci sono il canto melodioso di usignoli e merli, quello primordiale delle cucuiza e il verso stridulo dello sparvier, e a ogni passo sento accanto la presenza della grande anima istriana. Sono proprio contento perché oggi in questo nostro piccolo grande mondo abbiamo capito che Fulvio è stato un grande scrittore e uomo di pensiero, ma prima di tutto è stato una persona da ascoltare e da amare.
Accanto al laco e alla spina di Giurizzani ho sentito le calde parole di questo... figlio dell'Istria. Istria una terra non risolta, e difficilmente risolvibile, che mi costringe a vivere una condizione di uomo di confine permanente... Un mondo in cui bisogna sostituire l'autoritario e consuetudinario aut aut col dimesso, quasi disperato e insieme fiducioso e associativo, et et. Un mondo di asprezze da accettare nella sua integrità e in cui rendere attuabile l'impossibile conciliazione, prima di tutto dentro me stesso, per non dover scegliere tra le diverse e magari opposte componenti di sangue, cultura, mentalità (di paesaggi n.d.r.), ma tentando piuttosto di accordarle riconoscendole proprie di uomo di frontiera (che crede e vive con responsabilità l'etica di frontiera n.d.r.) sentendole come reale opportunità e concreta ricchezza n.d.r.). Camminando entro lo straordinario e ancora integro pezzo di mondo rurale istriano, vero mosaico ambientale favorito in passato anche dalla frammentazione della proprietà, ho ripensato al forte legame di Fulvio con questa terra. Dentro di lui c'era indubbiamente la città di Miriam (Trieste) ma soprattutto Ma-terada e cioè la Sua, la nostra, Istria: un mondo e un paesaggio rurale (e plurale) che, naturalmente non solo per l'amore nei confronti della "grande anima", dobbiamo assolutamente amare e difendere. Istria come luogo antropologico, come ha sottolineato con forza Martina Vocci nella tavola rotonda "Il paesaggio e la memoria nei romanzi di Fulvio Tomizza" organizzata in attesa del Forum Tomizza 2014 nella prestigiosa sala di Palazzo Economo a Trieste
- sede del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici e Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantro-pologici del Friuli Venezia Giulia.

Nei romanzi di Tomizza vengono documentati e descritti con amore e precisione quasi fotografica, i luoghi antropologici, ossia i luoghi di piccole/grandi storie, identità multiple, luoghi di relazione in cui la Comunità ha ancora un ruolo preponderante. Martina, laureata alla Sapienza di Roma, per sottolineare l'importanza del paesaggio e dei luoghi nella narrazione tomizziana ha richiamato la definizione dei non luoghi di Marc Augè, luoghi di passaggio, ad esempio strade, stazioni, centri commerciali che si definiscano contrastivamente ai luoghi antropologici, con forte presenza di identità, storia e relazioni.

Credere e difendere i luoghi antropologici

I non luoghi sono il tipico esempio della surmodernità, del nostro tempo, e rappresentano i suoi eccessi: di luogo (possiamo essere ovunque ma non viaggiamo veramente), di tempo (abbiamo talmente tante cose/ eventi che in realtà tutto è azzerato e viviamo nella perenne condizione di mancanza di
tempo) e di ego (esiste solo l'individuo, il proprio ombelico, senza niente intorno).

Per questo nostro mondo "In bilico sulla sbarra" - questo il tema del Forum Tomizza 2014 - dove dopo l'abbandono rischiamo anche la distruzione/cancellazione del paesaggio culturale e colturale, dobbiamo credere e difendere i luoghi antropologici. Non solo per un problema affettivo ma anche e soprattutto perché solo difendendo la loro specifica identità, e quindi la memoria che rappresentano, possiamo costruire il nostro futuro.

Il paesaggio culturale e colturale istriano ha già pagato costi non da poco.
Come per esempio, e lo ha ricordato nel corso dell'incontro il geografo Franco Juri, nel secondo dopoguerra con l'Esodo soprattutto della componente italiana e poi negli anni Cinquanta con l'abbandono quasi totale dell'Istria interna e con le colate di cemento per la costruzione di "cubi" turistici spuntati in abbondanza nella parte costiera. Mentre a partire dagli anni Novanta abbiamo assistito ad altri scempi con un'ondata di "villettizzazione" e di "condominizzazione" del mondo rurale. Così come un altro piccolo/ grande esempio, che ha interessato il paesaggio colturale, è stato il declino dell'olivicoltura provocato dall'enorme espansione della vite e l'abbandono quasi totale dell'ulivo. Questo non solo per la catastrofe provocata dal gelo del 1929, ma anche al "gelo" provocato dall'Esodo della popolazione e da quello regalatoci dal regime comunista che ha messo in crisi - e non solo con questo - la piccola proprietà privata contadina.

Per questa nostra cara Istria, che ora più che mai dobbiamo nuovamente amare, Ulderico Bernardi ha riportato le impressioni, dopo un viaggio compiuto negli anni Sessanta in Istria, di uno dei più grandi intellettuali del Novecento, il friulano Pier Paolo Pasolini: "Dopo Trieste comincia in effetti qualcosa di diverso. Io, almeno, in Italia non ho mai visto niente di simile... sono un uomo complicato e trovo stupenda questa Italia non
italiana: costa azzurra e tenera lungo un entroterra diverso... La storia non coincide con quella di una nazione. La storia è una storia di culture.
Nazione e cultura sono due nozioni che devono disgiungersi, anche se una secolare abitudine le mescola dentro di noi'.


36 - La Voce in più Storia  07/06/14 Torre civica emblema di Fiume
TORRE CIVICA EMBLEMA DI FIUME

di Igor Kramarsich

La torre Eiffel per Parigi, la tower bridge per Londra, la statua della libertà per New York. Sono tutti simboli di questi metropoli, però simboli che sono visitabili da milioni di visitatori ogni anno e che portano tanti soldi alle locali comunità. Fiume ha pure il suo simbolo, la Torre civica. Uno dei simboli di Fiume che abbiamo visto da tutti gli angoli. Arrivando dal mare, passeggiando per il Corso o magari da quello che era la Civitavecchia.

Però al contrario dei vari altri simboli nel mondo la torre civica di Fiume, rimane ancora oggi non visitabile. Pochissime persone sono mai entrare dentro. Ma perché è così e cosa nascondono queste "quattro mura".

L'entrata nella torre è molto ben mimetizzata. Quante volte siamo passati sotto la torre e non abbiamo visto che nella parte occidentale del passaggio esiste una piccola porta. Ora dipinta come tutto il passaggio è quasi nascosta. Abbiamo le chiavi ed entriamo dentro. Subito ci troviamo davanti ad una serie di scalini a chiocciola. Alla fine ci aspetta la prima scala. Piccola ma ci porterà al primo tratto è del tutto angusto dove appena una persona può passare.

Dopo pochi passi arriviamo al primo livello. Qua sono stati portati tutti i congegni elettrici e la luce come tale. Subito dopo ci serve una seconda chiave. Infatti arriviamo davanti ad una porta di metallo, fatta di recente, che protegge il resto della torre. Dietro la porta abbiamo una grande ripida scala e dietro i tre pesi delle campane. Subito dopo la prima ci aspetta una seconda ripida scala, quella che ci porta al secondo piano delle torre.

Questo secondo piano, è il piano che riconosciamo dall'esterno come il piano sotto l'aquila bicipite. Qui troviamo l'armadio. Un vecchio armadio a tre ante, in buona parte in vetro. Dentro, il complesso meccanismo che regola l'orologio. E' un meccanismo molto vecchio, leggiamo tra il resto troviamo la scritta: Joh(ann) Mannhardt'sche Thurmuhren-Fabrik in Muenchen 1873. Numero dell'orologio 1029.

Con questo armadio con una serie di ingranaggi è collegato l'orologio "rotatorio", quello con numeri romani e numeri a scadenza di cinque minuti. Un grande cilindro vuoto che occupa tanto spazio. Anche se il tutto sembra ancora in funzione, in realtà il meccanismo da qualche anno è stato cambiato con uno elettrico e più preciso.

Riprendiamo a salire con una doppia scalinata, la più comoda in tutta la torre, ma di sicuro la più vecchia e un po' traballante. Arriviamo così al terzo piano. Un piano quasi "inutile" che però dall'esterno lo individuiamo come il piano dove si trova il classico orologio, o meglio dei quattro orologi uno ad ogni lato della torre. Orologio regolato con una serie di ingranaggi da quell'armadio che abbiamo trovato di sotto. Inoltre vediamo tutti i cavi di acciaio che passano dai pesi che abbiamo visto di sotto fino le campane. Inoltre si trova qui la "sede" dell'internet wifi che compre il centro cittadino.

Torniamo a salire. Un altra scala di legno. Arriviamo così al piano forse più interessante e storico. Il piano dove sono poste le campane. Quante sono? Be sono solo due. Una grande sotto e una piccola di sopra. Segnano rispettivamente le ore piene, quella di sotto, e i quindici minuti quella di sopra. Non si trovano alla cima del piano, ma bensì in una costruzione d'acciaio. Però al contrario di tanta campane queste rimangono sempre del tutto immobili. Infatti a "battere" le ore ci pensa un BAT. Non deve sorprendere che qui, come pure nella torre pendente le campane siamo ferme. Infatti nel vale della staticità delle costruzioni.

Dappertutto tanta polvere, ma pure del verde. Questa è inoltre il piano più soleggiato, ma pure il più freddo. Infatti ritornando a guardare dall'esterno ci troviamo subito sotto la cupola e per cui nella parte dove troviamo le finestre di vetro. E' un vetro non trasparente, però entra tanta luce.

Ritorniamo a salire. Questa volta con una ripida scala di metallo. Arriviamo al piano decisamente più caldo. Arriviamo al piano quasi del tutto vuoto. Siamo dentro la cupola delle torre. Un piano del tutto scuro, ma per fortuna illuminato dalla luce interna. In questo piano esistono due "finestre". Sono "finestre" fortuite fatte negli anni nella torre. Infatti la prima la troviamo "chiusa" da un pezzo di legno. Aprendola ci troviamo davanti ad un panorama del tutto unico.

Infatti davanti a noi la Riva Boduli, ma pure mettendo la testa un po' fuori possiamo vedere tutto il Corso, per tutta la sua lunghezza. Un panorama unico e bello da vedere. Tanto unico che guardando dal di fuori dal Corso questa " finestra" non si vede. Però non finisce qui la panoramica della torre e neppure le scale.

Infatti esiste ancora qualche scalino. Dei scalini fatti pure da Guglielmo Barbieri e Alberto Tappari quel lontano 4 novembre 1919 quando privarono l'aquila fiumana di una delle due teste. Infatti questi scalini portano quasi in cima alla cupola nella parte che guarda verso nord. Dopo i primi scalini ci tocca fare un po' di ginnastica e contorsioni per, prima aprire la cupola, ossia la finestra, verso l'alto e poi quasi del tutto uscire e metterci in piedi.

Però quello che si presenta per noi è un altro unico e fenomenale panorama a gran parte della città. Davanti a noi si presenta subito la piazza Kobler e tutto quello che rimane della Civitavecchia, ma pure la vista va molto lontano verso gli altri quartiere a nord, però si riesce a vedere pure gran parte del Corso e del Quarnero. A portata di mano pure la bandiera. Arrivare fin qui in una splendida giornata di sole è l'ideale.

Non ci rimane che tornare indietro. Una cosa è sicura. Visitare la Torre civica è difficile e molto probabilmente rimarrà a lungo inaccessibile a quasi tutti. Pensare a una sua trasformazione turistica è improbabile. Però magari è meglio così, e continuerà ad avere tutto il suo fascino e mistero.

Nella torre ci sono due campane, una sopra l'altra.

Quella superiore e la più piccola è del 1775. Ha diversi stemmi. Ma quella più interessante dal punto di vista storico è quella inferiore. E si può notare come è stata cambiata negli anni. Infatti su di essa sono stati messi quattro stemmi. Così troviamo il primo con la scritta S • V • M • C • F • M • CIVITATIS • FLUMINENSIS. Mentre sotto lo stemma con due angeli che tengono lo stemma di Leopoldo I un testo: OBUS JOHANNES REID LABACI 1777.

Il secondo stemma è quello della famiglia Steinberg. Lo riconosciamo grazie alla scritta Antonio de Steinberg (pittore, innovatore, geodeta e con tanti altri interessi) attorno allo stemma. Questi due stemmi sono stati messi quando la campana è stata fatta.

Interessante che alla creazione della campana ha partecipato in prima persona Elisabetta Reidin, la zia di Johannes Reid. Inoltre il suo nome lo troviamo in fondo alla campana a firma del suo lavoro. E poi ci sono due stemmi minori. Uno che da l'idea di essere degli Asburgo, ma non quello classico. E infine c'è uno che sembra rappresentare la chiesa. Infine nella parte superiore c'è una lunga striscia sulla quale si può leggere: Antonio de Monaldiset Tra Gverlitz Ivdicibus Ac Rectoribus

Breve cronistoria

La Torre è stata costruita in diverse fasi. All’inizio era solo una delle due entrate nel centro cittadino che era cinto da mura.
1639: dopo un incendio la porta cittadina viene ingrandita però la costruzione rimane della stessa altezza
17° secolo: la Torre/entrata è stata alzata ed è stato introdotto l’orologio, quello inferiore
1695: viene posta l’aquila bicipite degli Asburgo
1728: Sotto l’aquila troviamo due rilievi che rappresentano i busti degli imperatori austriaci Leopoldo I e Carlo VI. Il primo ha firmato che l’aquila bicipite sia il simbolo della città e il secondo ha visitato la città nel 1719. Inoltre viene tolto il meccanismo di apertura della porta verso il mare
1750: Fiume viene colpita da un forte terremoto. La città riceve grandi finanziamenti da Vienna e comincia ad espandersi verso il mare
1775: viene tolta la porta d’entrata nella Civitavecchia
1784: a Lubiana viene acquistato il meccanismo dell’orologio da Johann G. Wildman, quello classico “superiore” e su tutti e quattro i lati. Rimase in funzione fino al 1873
1801: la Torre riceve la sua prima cupola su progetto dell’architetto Antun Gnamb
1873: nella Torre viene installato il nuovo meccanismo per l’orologio, quello attuale.
1890: su progetto dell’architetto Filibert Bazarig, Fiume riceve la sua attuale cupola sulla Torre


37 - Il Piccolo 08/05/14  Caracciolo: «Gli indipendentisti fermi al 1914»
Oggi il direttore di LiMes all’apertura del festival “vicino/lontano” di
Udine: «L’Europa? Facciamo solo finta che esista»

Caracciolo: «Gli indipendentisti fermi al 1914»

UDINE L’Europa e il mondo un secolo dopo la fine della prima Guerra mondiale, ma anche i diari più intimi di Tiziano Terzani, quelli che «svelano l’altra metà della luna, arricchendo e arrotondando il personaggio con un’immersione nella sua vita dietro le quinte, nei sentimenti e nei rapporti familiari», spiega Angela Terzani, moglie del reporter e scrittore scomparso nel 2004. Sono questi alcuni dei temi forti dell’edizione 2014 della rassegna “vicino/lontano” (n. 10), sulla quale oggi si accendono i riflettori a Udine (cerimonia inaugurale alle 19). Tra i momenti clou, la consegna il 17 maggio del premio letterario internazionale Tiziano Terzani ex aequo allo scrittore pakistano Mohsin Hamid per il romanzo “Come diventare ricchi sfondati nell’Asia emergente” (Einaudi 2013) e al poeta friulano Pierluigi Cappello per “Questa libertà” (Rcs Libri, 2013).
Un’occasione anche per presentare i diari inediti di Tiziano, “Un'idea di destino”, pubblicati in questi giorni da Longanesi, a cura di Angela S.
Terzani e Àlen Loreti. Tra gli ospiti più attesi, Lucio Caracciolo, esperto di geopolitica, direttore delle riviste “LiMes” e “Heartland”, editorialista di Repubblica, docente di Studi strategici all’Università Luiss di Roma, nonché membro del comitato scientifico di vicino/lontano. Caracciolo terrà oggi a Udine (alle 21, ex chiesa di San Francesco) una lectio su “1914/2014:
cent'anni dopo”. «Nel 1914 - anticipa Caracciolo - è caduto in modo definitivo un ordine europeo costruito al Congresso di Vienna e durato cento anni. Da allora a oggi abbiamo avuto due Guerre mondiali, vari conflitti regionali e locali, nella sfera europea, mediterranea e asiatica continuano a manifestarsi gli effetti della prima Guerra mondiale». Del resto, quando scompaiono quattro grandi imperi in una volta sola, «non è poi così facile che le cose si rimettano a posto». «Tutto quello che vediamo oggi - continua l’esperto -, tra cui il separatismo veneto e l’indipendentismo triestino, sono in qualche modo riferibili a questo». Occorre, perciò, conoscere la storia per cercare di non ripeterla. «Quasi inconsciamente - aggiunge Caracciolo - cerchiamo analogie quando leggiamo i fatti in cui siamo immersi. E ci diciamo: ecco sta accadendo ciò che è successo in quel determinato periodo. È un modo sbagliato di leggere la storia - prosegue - come se ci fosse una contemporaneità permanente degli eventi. Non ha senso trasferire all’oggi cose che sono accadute in tempi e con presupposti completamente diversi». In Ucraina, secondo Caracciolo, «ci sono tutte le premesse per lo scoppio di una guerra civile». Nel paese a cui è dedicato l’ultimo numero (già in edicola) della rivista LiMes, «è cominciato un processo che nessuno è in grado di controllare: né i russi, né gli Usa, tanto meno gli europei». E così «la partita è affidata agli ucraini, che però sono molto divisi. Lo Stato - aggiunge l’esperto - non esiste più, almeno nei termini in cui è esistito fino a un paio di mesi fa»: la Crimea se n’è andata, un terzo del Paese è completamente destabilizzato: gli ucraini non si fidano di Kiev e i filorussi li confermano in questa direzione». Come uscirne? «Per evitare una guerra civile - suggerisce Caracciolo - occorrerebbe un accordo tra le varie fazioni ucraine e un compromesso tra Russia e Stati Uniti basato sulla neutralità dell’Ucraina e anche sulla federalizzazione del Paese». «Inoltre - continua - ci dovrebbe essere l’accettazione, da parte della Russia e di altri Paesi, del fatto che lo Stato ucraino sia indivisibile». Il resto è affidato «alla buona volontà degli ucraini e anche ai soldi che ci metteremo tutti, a cominciare dagli oligarchi ucraini che hanno saccheggiato il Paese». Le elezioni europee alle porte? «Siamo alla vigilia di 28 elezioni nazionali parallele in cui l’Europa è usata solo in chiave politica interna - commenta il direttore di LiMes -; ne uscirà un parlamento che non interesserà a nessuno fino alle prossime elezioni». Sul perché l’Europa si sia ridotta così, Caracciolo non ha dubbi: «Abbiamo voluto continuare a fingere che l’Europa esistesse - afferma - e invece non c’è. Smantellare questo teatrino semi-automatico non è possibile, se non con devastazioni. E così - conclude - ne restiamo prigionieri».

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