Quelle tombe parlano italiano
E’ stato presentato alla Comunità degli Italiani di Pola venerdì 25 ottobre il volume del giovane storico connazionale Raul Marsetič Il cimitero civico di Monte Ghiro a Pola (1846-1947), edito dal Centro di Ricerche Storiche grazie al patrocinio dell’Unione Italiana di Fiume e dell’Università Popolare di Trieste. Una monumentale opera di ben 948 pagine riguardante 1.500 tombe, che fa parte della “Collana degli Atti” n. 35. La sala era gremita. La presidente dell’Assemblea della CI Tamara Brussich ha dato la parola per i saluti ai rappresentanti delle istituzioni presenti, tra cui il sindaco del Libero Comune di Pola in Esilio Tullio Canevari, che ha ricordato quanta parte abbia Monte Ghiro nel cuore degli esuli. Dopo l’introduzione del prof. Rino Cigui, il prof. Giovanni Radossi, direttore del CRSR, ha pronunciato l’allocuzione ufficiale:
La storia, si sa, è analisi dei grandi problemi, ricerca dei nessi che condizionano le vicende umane, scandite dal conflitto eterno al di fuori e al di sopra di ogni specifico momento storico, che è di ogni uomo e di ogni collettività, fra libertà e necessità. Essa è un mondo di valori per cui i ricercatori del nostro Centro si sono trovati a lungo dibattuti tra politica e sopravvivenza individuale e collettiva, ma risoluti nella rivendicazione della funzione civile della storia, perché da sempre convinti che essa costituisce, insieme con l’eredità delle nostre tradizioni, la base delle nostre opinioni morali e politiche, delle nostre “ideologie”, dei nostri miti, della nostra concezione del mondo.
La storiografia che non sia semplice accertamento dei fatti è figlia del proprio tempo, ed è battaglia di idee e di ideali. La nostra preoccupazione massima e costante è stata quella di individuare il legame che esiste tra storia del passato e contemporaneità, legame oltremodo specifico del nostro mondo minoritario, da quando si è voluto artatamente che minoritario fosse, più di sessant’anni fa, in barba alla nostra reale e patente onnipresenza sul territorio del nostro insediamento.
La comunità italiana dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, risulta tuttora ben radicata nel tessuto sociale; ciò deriva in primo luogo dal carattere autoctono della sua presenza, dalle origini remote di tale autoctonia da ricercarsi in epoche storiche che hanno segnato l’area adriatica orientale molto tempo prima della comparsa del concetto di nazione. In altre parole, nel definire lo specifico nazionale della nostra etnia, dovuto a peculiari requisiti ambientali e storici, all’accumularsi generazionale di un retaggio culturale-linguistico e di tradizioni e costumi particolari, è impossibile ignorare o sottovalutare il riferimento ad esperienze e cognizioni precedenti quali quelle della temperie culturale giuliano-veneta, che hanno lasciato un’impronta indelebile sulla nostra fisionomia.
La forte curiosità di ricerca ci ha spinto a tentare di cogliere, di intuire le ragioni o le pulsioni che sono state alle origini di determinati comportamenti fuori, ma soprattutto dentro il nostro piccolo universo. E abbiamo così colto il richiamo ai “luoghi”, alle “culture”, alle strutture, alle ideologie che tanto duramente hanno colpito il nostro essere minoritario. La ricerca storico-sociologica, poi, ci ha reso possibile scendere, penetrare nelle pieghe più remote dell’animo dei “protagonisti”, e vederne gli aspetti sufficienti ma anche gli impulsi meno nobili, le loro incoerenze: sempre per cercare di capire, mai con lo spirito del censore. In effetti, lo studio del passato unito all’interpretazione del presente ci ha immerso nella totalità della nostra vita sociale, morale ed intellettuale per permetterci di caratterizzarla e di esserne caratterizzati, poiché è stata ed è ancor sempre nostra convinzione quella che la funzione civile e formativa della storia (in ispecie se riferita a gruppi nazionalmente minoritari) si esercita male se non si supera la stretta cerchia degli “addetti ai lavori”.
La memoria delle cose vive nella memoria degli uomini, per cui si perpetua il ricordo delle cose, dell’agire dei singoli e delle vicissitudini dei gruppi e riesce così possibile stenderne la storia, assicurando ai posteri le proprie radici culturali. Una comunità nazionale che vive in continuità territoriale con la propria matrice (com’è il caso degli Italiani istro-fiumani) è particolarmente interessata ad approfondire la propria storia sociale e quella antropologica in un contesto territoriale ed umano eterogeneo sul piano nazionale, specifico su quello economico, divergente sul piano culturale, poiché esistito per secoli in una tensione latente o palese, conformando la propria esistenza alle oscillazioni politiche locali ed al complesso intrico delle vicende internazionali.
Le laboriose genti dell’Istria hanno saputo conservare per oltre due millenni la propria individualità etnica, linguistica, culturale e religiosa, pur attraverso una varietà di esperienze e di atteggiamenti che l’hanno portata talvolta ad urti ed attriti coi popoli vicini in ogni campo della vita sociale, ma altre volte alla convergenza ed alla confluenza di interessi e tradizioni che hanno concorso alla formazione di una realtà civile duttile ed aperta. Ma poiché le quantità dialetticamente si trasformano in qualità, è comprensibile esprimere anche in questa occasione d’incontro le nostre legittime preoccupazioni acché la componente romanza del territorio, vistosamente ridotta in questi sei e più decenni, non soccomba ulteriormente ai deleteri effetti di una stravolgente assimilazione nazionale ed etnica.
Ci sono città e territori che rimangono sempre uguali per centinaia d’anni: si producono le stesse cose, si costruisce allo stesso modo, si interpreta il mondo seguendo gli stessi schemi. Le guerre e le carestie, i periodi favorevoli, la vita e la morte seguitano ad intercalare i loro cicli, quasi naturali, senza che il luogo si modifichi. Poi, d’improvviso, diventano centro di profonde trasformazioni e allora nulla si rigenera, ogni cosa muta: gli uomini, le istituzioni, le architetture, gli spazi, la lingua, le sepolture, gli orizzonti. Da un lato emergono le trasformazioni civili, amministrative e politiche; dall’altro vengono ridefiniti i processi necessari a regolare la trasformazione ed a stabilire il nuovo modo di crescere.
Nel lontano 1971, agli albori della nostra vicenda umana e professionale, i ricercatori del Centro (allora soltanto studenti universitari a Zara e Lubiana), furono impegnati – in condizioni di estremo disagio organizzativo ed anche politico – per alcuni anni nel corso delle vacanze estive nell’opera di rilevazione delle sepolture italiane in ben 80 cimiteri di tutta l’Istria, quale strumento per contrastare le allora già evidenti incongruenze dei censimenti della popolazione, onde disporre di nuovi rapporti numerici tra defunti e vivi connazionali. I risultati già allora apparvero eccellenti, anzi straordinari, anche se i tempi che correvano non ci permisero allora di usare appieno la documentazione prodotta, oggi prezioso quanto geloso lascito nell’Archivio del Centro.
Furono rilevate in quell’azione non soltanto le epigrafi italiane, ma anche croate e slovene di indubbia provenienza romanza, producendo un materiale che in massima parte attende ancora di vedere la luce e, soprattutto, di essere dettagliatamente studiato, compulsato con una serie di informazioni, di inesplorate statistiche che oggi sono a portata di mano degli studiosi, ma anche delle persone cui stanno a cuore le vicissitudini delle generazioni che hanno calcato nei secoli queste zolle di suolo natio e continuano testardamente a riprodursi ed a riproporsi su di esse. Quello che ci preme qui rilevare è il nostro impegno per la conservazione gelosa delle memorie del passato narrate da quelle iscrizioni cimiteriali che aiutano a comprendere inequivocabilmente lo svolgimento della storia, delle istituzioni, della lingua e delle usanze: irrinunciabili memorie che confermano e testimoniano la nostra avita nazionalità.
Queste poche e fugaci riflessioni sono sufficienti a svelare la grande complessità dei fenomeni legati alla definizione degli ambiti di esistenza, se non addirittura in taluni casi limite di sopravvivenza, della comunità nazionale italiana in genere, di questo experimentum historiae, al quale non si può rispondere interrogandosi unicamente sulla politica e sulla storiografia, e sugli strumenti interpretativi ad essi applicati. Gli ambiti istro-fiumani sono diventati, dopo il secondo conflitto mondiale, casi topici per le loro trasformazioni e le complesse contraddizioni in esse determinatesi; la coscienza che quest’area è stata originariamente luogo di arrivi e di partenze, luogo di incontro e di esilio per genti tra loro diverse e quindi luogo di profondo realismo, ha consolidato la consapevolezza che l’identità di ognuno di noi, anche in senso nazionale, si produce con un atto di volontà – una precisa opzione – e non con la sola consolazione della memoria.
Non mi resta, a questo punto, che esprimere plauso e gratitudine per questa ponderosa opera sul Cimitero di Monte Ghiro all’Autore Raul Marsetič, ricercatore del nostro Istituto che, coadiuvato dall’Ufficio di sovrintendenza del patrimonio storico-monumentale della Città di Pola, ha concorso alla stesura della Delibera cittadina onde sono divenute monumento talune tombe storiche, la maggior parte delle quali di famiglie italiane risalenti a fine Ottocento o inizi del secolo scorso; la Delibera ha infatti sancito che il cimitero civico, con il suo prezioso carico di storia, è parte della memoria collettiva, con le sue oltre 1000 tombe, delle quali 27 sono state classificate di grande valore storico, mentre altre 37 sono state ritenute di precipuo valore monumentale, architettonico, storico, culturale o legato all’importanza dei personaggi in esse sepolti.
Nel ringraziare infine gli Enti patrocinatori di questa iniziativa – l’Unione Italiana e l’Università Popolare di Trieste – esprimo il mio sentito grazie a tutti coloro che hanno accolto con vivo entusiasmo l’idea di sostenerci e di farsi partecipi di questa significativa opera che costituisce il miglior contributo nel rendere modernamente più “leggibile” il libro aperto dei monumenti e delle epigrafi lapidee polesi, voci parlanti della nostra identità umana e nazionale. Alla Nazione Madre che per il tramite del Ministero agli Affari Esteri tanto, tantissimo ha fatto perché il Centro potesse progredire, crescere in qualità e produrre cultura e scienza per oltre quarant’anni, ai connazionali residenti e a quelli esodati che ci hanno seguito in questo difficile procedere con amore, spesso con trepidazione e sempre con partecipazione, la gratitudine dei dipendenti, dei ricercatori e degli oltre settanta collaboratori esterni. Alla Comunità degli Italiani di Pola, primo erede e custode di tanta e cotanta memoria, il grazie per la solerzia, l’amorevolezza e l’amicizia nell’accogliere questa cerimonia e la puntualità con la quale l’ha condotta. Grazie!
E’ quindi intervenuto l’autore Raul Marsetič:
Trascorsi ormai 8 anni dalla presentazione, in questa stessa sala, del mio libro sui bombardamenti di Pola, ho sempre continuato a indagare le vicende storiche che hanno coinvolto e caratterizzato la mia città durante l’Ottocento e la prima metà del Novecento. Numerosi sono i temi che ho trattato ma cruciale, per lo sforzo e tempo richiesto, risulta senza dubbio essere lo studio delle vicende legate alla nascita ed allo sviluppo del cimitero civico di Monte Ghiro, oggi ormai da tutti noi erroneamente chiamato Monte Giro.
A proposito, in pochi sanno che fino ai primi del Novecento veniva indicato come cimitero di San Giorgio, come anche l’omonimo Forte austriaco nelle immediate vicinanze, entrambi denominati così per l’ubicazione sul colle dei resti di una chiesetta dedicata al Santo. Proprio per cercare di creare un collegamento con l’antica denominazione, ho voluto riportare sulla copertina del libro la pregevole statua di San Giorgio presente sul monumento della famiglia Monai.
Il libro esamina una struttura urbana certamente particolare, piena di molteplici significati come luogo di commemorazione e identità cittadina. Voglio però far presente che non si tratta specificatamente di uno studio sulla morte e sul lutto. L’intenzione è stata sempre di discutere ed analizzare l’origine, lo sviluppo ed il patrimonio storico culturale del cimitero civico polese, attraverso l’investigazione delle fonti e del complesso contesto che ha portato a concepire e sviluppare questo luogo così specifico. Ho voluto presentare, attraverso l’inedito materiale d’archivio analizzato, le complesse circostanze cimiteriali di Pola comprese nel periodo dal 1846 al 1947. In effetti, ho tentato di creare un collegamento tra i molteplici aspetti che la questione delle sepolture, nella sua particolarità, innegabilmente comporta. Attraverso questa modalità di ricerca, ho esposto le condizioni che hanno determinato l’individualità urbana ed il raggiunto livello di cultura sepolcrale insieme ad una migliore comprensione dei processi sociali e di modernizzazione della città.
Monte Ghiro esprime la ricchezza culturale della popolazione, testimonia le vicende belliche e le tragedie cittadine, la composizione etnica e la stratificazione sociale, insieme ai legami vicini e lontani che permettono di riconoscere nella continuità di simboli o caratteri formali comuni i rapporti tra gruppi diversi all’interno di un panorama sociale comune. Attraverso le famiglie e le persone che vi riposano, raffigura un luogo privilegiato di ricordo e orgoglio cittadino, testimoniandone la cultura, la confessione religiosa e l’appartenenza linguistica. Deve essere inteso come il luogo della memoria per eccellenza dove è possibile ricostruire la storia e la società della città in un dato periodo e che quindi come tale può contribuire ad una migliore conoscenza della realtà polese del XIX e della prima metà del XX secolo. In effetti, raffigura la perfetta riproduzione dell’ordinamento socio-economico di Pola nell’arco temporale trattato. Nel corso degli anni, il nostro cimitero cittadino ha sviluppato una precisa e caratteristica forma architettonica ed una particolare identità che, anche se autonoma dalla città, ne rispecchia in pieno le vicissitudini ed i cambiamenti. All’interno del suo recinto si trovano sedimentate immense testimonianze di storia civica che riflettono pienamente la cittadinanza passata.
Lo studio svolto ha come principale finalità la tutela e la conservazione di un importante patrimonio culturale che, nonostante i numerosi passi in avanti fatti negli ultimi anni, va lentamente e inesorabilmente sparendo. Purtroppo, nonostante le lodevoli disposizioni di salvaguardia approvate, su proposta della commissione cittadina per la tutela di Monte Ghiro, dalla Città di Pola, che devo elogiare per la grande sensibilità dimostrata, il nostro patrimonio cimiteriale continua pietosamente a scomparire di giorno in giorno per i molti casi di indiscriminata violazione delle norme di protezione prescritte. Ho cercato in più occasioni di sensibilizzare chi di dovere ad intraprendere delle azioni concrete per fermare tale scempio ma purtroppo, senza voler entrare adesso in poco opportune polemiche, non ho ottenuto alcun risultato concreto.
Il presente volume è il prodotto di anni di intensa ricerca archivistica affiancata da lunghe e impegnative ricognizioni cimiteriali. Si è trattato di veri e propri studi di archeologia cimiteriale che mi hanno permesso di conoscere ogni viale, monumento e dettaglio presenti nella parte storica del cimitero e che, interpretati nella maniera voluta, hanno portato alla testimonianza che presentiamo stasera e che spero sinceramente risulti interessante.
A proposito di fatti curiosi, durante le mie indagini sul campo, munito di penna, quaderno e fotocamera, mi è successo più volte di essere scambiato per impiegato cimiteriale e fermato, per lo più da anziane vedove in cerca di qualche dritta per l’acquisto di una semplice tomba ma anche di un monumento d’epoca più importante. Non ho potuto poi non accorgermi degli sguardi di tanti che mi esaminavano con una certa curiosità, devo dire pienamente comprensibile, vedendomi girovagare per delle ore al cimitero con aria pensosa, dando forse l’impressione di uno con chissà quali idee strane per la mente. Posso liberamente affermare di essere riuscito a crearmi una certa fama abbastanza discutibile tra i visitatori più assidui del camposanto polese e quindi, da adesso in avanti, ho fermamente deciso di dedicarmi ad argomenti un attimino più sereni al fine di riabilitare, per quanto ormai possibile, la mia compromessa reputazione.
Senza poter soffermarmi, per motivi di tempo, a ringraziare le numerose persone con cui ho collaborato nelle ricerche, per i preziosi consigli e per l’aiuto fornitomi desidero esprimere riconoscenza in maniera particolare al dottor Antonio Pauletich, che mi ha fin da subito incoraggiato e sostenuto. Voglio ancora manifestare piena gratitudine al direttore Giovanni Radossi che è riuscito, devo dire con grande impegno, a ottenere i notevoli finanziamenti necessari per la stampa di un libro così ambizioso anche dal punto di vista estetico. A mia moglie Nensi devo poi giustamente un ringraziamento speciale per la comprensione e l’infinita pazienza.
Desidero ancora esprimere la mia intenzione, attraverso questo volume, di sfruttare l’indagine cimiteriale trasformandola in uno strumento per togliere dal completo oblio, magari anche per pochi momenti durante una lettura veloce, le esistenze di migliaia di polesi. Ognuno di loro ha infatti contribuito a proprio modo a determinare le peculiarità di Pola. In base alle informazioni disponibili per ogni persona nominata, spesso riporto dati interessanti e poco noti (documentando anche mestieri insoliti come impresari di pompe funebri, proprietari di case tolleranza, circensi, mendicanti, ecc.), mentre per molte personalità più note sono riuscito a ricostruire delle dettagliate biografie.
Nel suo complesso, Monte Ghiro rappresenta il primo moderno impianto cimiteriale di Pola, con ben 167 anni di ininterrotta attività. Costituisce uno tra i principali monumenti cittadini che conserva ancora oggi una parte insostituibile della memoria civica che con questo libro ho umilmente voluto, e spero sinceramente saputo, descrivere come merita.
Infine, invito tutti i presenti a visitare con curiosità e rispetto il nostro cimitero, cercando di evitare, per usare un eufemismo, soggiorni più definitivi, per i quali c’è ovviamente sempre tempo.
«La presentazione del volume – osserva Tullio Canevari – è stato un momento importante nel nuovo clima, nel quale la presenza della componente italiana della città e della sua cultura assumono un peso e un significato sempre maggiori. Il coro “Lino Mariani” ha contribuito con motivi popolari, come Al patinagio e Son nato drio la Rena, a riportarci ai tempi felici di quando Pola era la nostra Pola e con il Va, pensiero a riaffermare la legittimità del nostro rimpianto per una patria perduta. Il momento conviviale conclusivo è stato l’occasione per rinsaldare amicizie e iniziarne di nuove, come quella con chi, ho scoperto, aveva abitato a Brioni negli anni in cui c’ero anch’io o un’altra con chi, sentendo il mio rammarico per non avere contatti, anche solo umani, con i vertici dell’amministrazione polese, mi ha promesso che cercherà, forte degli incarichi ricoperti a suo tempo, di adoperarsi in tal senso».