9 GENNAIO 1944: IL PRIMO BOMBARDAMENTO DI POLA


Sono passati 70 anni esatti dal primo dei 23 bombardamenti aerei anglo-americani su Pola. Era il 9 gennaio 1944 e quel terribile evento lasciò lutti e rovine, rimanendo impresso indelebilmente nella memoria di tutti i polesani superstiti. Il consigliere ed ex sindaco dell’LCPE Lino Vivoda ne parla in un capitolo del suo recente libro In Istria prima dell’esodo. Autobiografia di un esule da Pola (Edizioni Istria Europa, Imperia 2013), che riproduciamo di seguito. Invitiamo i lettori che sperimentarono quella tragedia a mandarci la propria testimonianza diretta.

 


Tra i tanti accadimenti vissuti durante la guerra ricordo bene il giorno del primo bombardamento di Pola. Era domenica e giocavo al pallone nel campetto del cortile della Catolica quando le sirene verso le dieci iniziarono a suonare per l’allarme aereo. Mi recai a casa abbastanza svelto, non avevamo ancora cognizione infatti di che cosa potesse seguire a un allarme aereo. Giunto a casa mi misi in spalla lo zaino grigio che Papà mi aveva dato quando erano iniziati gli allarmi aerei: conteneva un cambio di biancheria, una maglia un po’ pesante per stare in rifugio e quattro pacchetti di gallette che chiamavamo scherzando “razioni di guerra”. Presi anche il piccolo seggiolino pieghevole di legno e tela sotto il braccio e scendendo le scale incontrai Papà che era venuto in bicicletta da Scoio Olivi per sincerarsi che tutti fossimo andati in rifugio. Arrivai comodamente al riparo e incominciai con le solite chiacchiere coi vicini per passare il tempo quando iniziammo a sentire le vibrazioni degli scoppi e nelle orecchie lo spostamento d’aria. Erano le undici e quindici del 9 gennaio 1944 quando iniziò il primo bombardamento della mia vita.
Quando finì il rumore delle bombe qualcuno disse: «C’era da aspettarselo, l’altro ieri hanno bombardato Fiume».
Cessato l’allarme uscimmo lentamente all’aperto, e poi di corsa verso casa. La città era stata pesantemente bombardata da più di cento B-17 della 15a AF americana: centrate chiese, ospedali, scuole e numerose case, provocando la morte di oltre cento persone solo fra i civili.
L’impressione tra la gente fu profonda vedendo le macerie dappertutto, le strade coperte da una sottile coltre grigiastra. Ovunque nell’aria l’odore dell’esplosivo. Cambiò subito l’atteggiamento in tutti: dal primo allarme successivo i tempi di percorrenza per arrivare al rifugio si ridussero notevolmente cercando tutti di mettersi al sicuro il più presto possibile.
Il nostro palazzo per fortuna era intatto ma vicino a noi parecchie case erano state sventrate in via Tradonico, e mi dispiacque vedere sparito il negozio di alimentari di sior Rocco all’inizio della strada, nella piazzetta del Torchio, dove talvolta andavo a comperare qualcosa e ricevevo sempre alcune sidele (mentine simili a caramelle).
Anche il cantiere di Papà era stato colpito in più parti (era anche la base dei sommergibili) e, quando mi recai il giorno dopo a portargli il pranzo, mi fece vedere da lontano la sagoma di un sommergibile tedesco semiaffondato a fianco della vasca grande verso la città, che con le due piccole gemelle costituivano i bacini di carenaggio del cantiere. Il sommergibile tedesco era il famoso U-81, che il 13 novembre 1941 aveva silurato ed affondato la portaerei britannica Ark Royal. Anche un altro sommergibile tedesco, l’U-407, venne colpito.
Ma quello che fece più impressione fu la tragica morte del giocatore di calcio polesano Aldo Fabbro, assieme alla mamma ed alla nonna. Fabbro era centromediano del Napoli ed essendo fermo il campionato di calcio era venuto a casa in licenza. La sua abitazione fu centrata in pieno e rasa al suolo. I soccorritori intenti a sgomberare le macerie raccolsero ciò che rimaneva delle tre vittime in un secchio pieno di resti umani.
Lino Vivoda (Imperia)


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