LE STORIE ED IL DOLORE. IL DOLORE DELLA STORIA

LE STORIE ED IL DOLORE. IL DOLORE DELLA STORIA.
di Anna Maria Crasti
Esistono tante storie; ognuno ha la propria, personale. Poi, c'è la storia familiare ed, ancora, ogni famiglia ne può
avere tante.
C'è la storia di una comunità, piccola o grande, sia: paesana, cittadina, nazionale. Soprattutto la storia di una
Nazione diventa la Grande Storia.
Purtroppo, molte storie o Storie sono piene di dolore.
Ed eccone una personale, la mia, e quella familiare, della mia famiglia.
Avevo compiuto vent'anni, da pochi giorni, e pensavo che nulla di male potesse accadermi, potesse accaderci,
nonostante il lavoro difficile, pericoloso di papà.
Mamma e papà, dopo tanti anni, si amavano come da fidanzati ed il loro amore, per noi tre figli, ci è stato di
guida, uno dei punti di riferimento per le nostre vite. E' così dolce poter ricordare gli sguardi pieni di amore che si
scambiavano mamma e papà!
Secondo me, ragazza spensierata, estroversa, innamorata del giovane uomo che, dopo, è diventato mio marito, la
vita non poteva che serbare felicità a piene mani.
E' stata una telefonata, brevissima, all'alba. "Giovanni ha avuto un incidente, non è niente di grave."Alle tredici
papà era morto, solo, lontano da tutti noi; mamma e Franca in quel momento erano in viaggio, partite per andare
ad assisterlo.
La vita di papà stroncata, in un minuto; la vita di mamma spezzata: da quella volta, non si è mai più ripresa; la vita
di noi tre ragazzi ( io sono la più grande), in un attimo, completamente cambiata. La vita di prima si era dissolta,
non esisteva più.
E il dolore.Quel grande, immenso dolore che ha accompagnato mamma fino alla morte. Quello che proviamo
ancora noi tre dopo più di cinquant'anni.
Questa è la mia storia personale e familiare che, inesorabilmente, diventa dolore: da insopportabile diventa acuto
e, lentamente, si lenisce, ma non passa mai
C'è, poi, la storia di una piccola comunità. Anche questa ha tante piccole storie personali e familiari. Anche questa
piccola comunità sarà colpita da grandi dolori, dalla tragedia.
La comunità è quella del Paese dove sono nata: Orsera d'Istria.
Un paese che esisteva da sempre, dalla preistoria. L'Ursaria romana, l'Orsera veneziana, l'Orsera absburgica,
l'Orsera italiana, dolorosamente , la. Vrsar prima jugoslava ed, oggi, croata.
In duemila anni non ha cambiato nome, pur passando "di mano" a popoli che parlavano francese, tedesco. Solo da
quando la lingua ufficiale è diventata il Croato, ha cambiato nome.
Da sempre abbiamo parlato il nostro dialetto istro-veneto, con il suo morbido accento cantilenante.
Orsera, che, lentamente, nei secoli, cresce e si sviluppa su un colle; che, dolcemente, scendendo per "i rati", si
getta in mare. Con il mare scherza, giocando con "i scoi", gli isolotti, tanti, che ricamano il mare davanti al mio
paese.
Quel mare turchese, azzurro, cobalto, bianco, trasparente. Quando mi ci tuffo, mi sento abbracciare, "bentornata"
mi dice.
Quelle piccole case dei Pianisei "Via della Redenzione", una attaccata all'altra, che accompagnano alla Chiesetta
di Santa Fosca, che girano a destra e portano alla Chiesa di San Martin e dietro........una visione d'incanto.
In quella splendida tavolozza di tutti gli azzurri possibili galleggiano "i scoi" : tutt'intorno la terra ferma ricoperta
dal verde scuro dei pini e della macchia mediterranea che stupendamente si armonizza con il mare.
E, di sera, i tramonti rossi, arancione, oro. Cielo e mare hanno gli stessi colori: L'orizzonte non esiste più.
In quel paese da favola viveva una comunità come tante altre, dove si nasceva, si andava a scuola, si amava, si
moriva, si era felici e si soffriva. Come succede in tutti i luoghi del mondo, quando esiste la normalità.
C'è stato, però, un momento, dopo l'otto settembre 1943, di rottura.
Si continuava a nascere, a crescere, ad amare, ma, soprattutto, NON si era più felici. Si soffriva, molto, e si
moriva. Ma non di morte naturale. Perchè anche nel nostro paese abbiamo avuto parecchi morti...infoibati...presi a
fucilate...Tutte persone oneste, grandi lavoratori , persone semplici che avevano una grande colpa in comune:
l'essere Italiani. Tutti, circa una trentina, hanno fatto una morte orribile.
Ed ecco il dolore che si intreccia alle storie, alla Storia. Il dolore per i morti, per essere "portadi via", spesso a
morire, per non essere più padroni in casa tua, per la paura delle delazioni, che impediva di parlare anche con i
parenti; anche i muri di casa avevano orecchi.
E per questo, dopo la liberazione di papà dalla prigione di Parenzo, dopo la sua fuga a Trieste, una sera, mamma
mi ha preso per mano " vien, andemo a saludar nona Checa "E così. In una sera di aprile, lei incinta, io bambina di
sei anni, vestite solo di un abito non siamo andate dalla nonna, ma dritte in Marina, dove ci aspettava una piccola
barca che, di notte, una lunga eterna notte, ci ha portato a Trieste. Bisognava stare in silenzio, quasi non si fiatava,
se i "drusi" si fossero accorti di noi, ci avrebbero mitragliato.
Il dolore. Mi sono resa conto di questo genere di dolore poco più tardi, anche se ero piccola. Quando al
pomeriggio, ascoltando la radio, in casa c'era un grande, religioso silenzio.
"Fratelli giuliani e dalmati ! Vi chiama la Patria !" Ed echeggiavano le note del Nabucco.
In quel silenzio, le mani giunte, quasi in preghiera, gli occhi pieni di lacrime, i grandi ascoltavano ansiosamente,
quasi con avidità, le notizie dei parenti, degli amici, dei compaesani lontani ( ma lontani dove ?), sparsi per tutta
Italia ,soprattutto nei Campi Profughi. L'Italia- la Patria con noi mai madre, sempre matrigna.
Da allora ho capito che la fuga di papà, quella di mamma e mia, l'addio delle nonne ad Orsera erano stati un
dramma, che era comune a tutti i parenti, a tutti gli amici, a tutte le persone che non vedevamo più e che, nella
maggioranza, non avremmo mai più rivisto.
E' stata una tragedia che ha coinvolto tutta l'Istria, Fiume, Zara. E' stata una tragedia per le migliaia di morti, per i
350.000 che se ne sono dovuti andare, per i rimasti.
Quei 350.000 sono stati accolti in Patria come sappiamo: nell'indifferenza e nell'ignoranza generali, con sventolio
di bandiere rosse, con grida "fascisti", al suono di Bandiera rossa, tra insulti ed urla "tornate a casa vostra". Ma
quale casa, quella che non era più nostra ?
Per essere gettati, non accompagnati,nei Campi di Raccolta, nei Campi Profughi dove sono rimasti per anni ed
anni, qualcuno, e non sono pochi, anche quindici.
Nel migliore dei casi, per essere ignorati, spesso, trattati male. Per essere mal sopportati, quando, più tardi,
abbiamo tentato di raccontare la nostra Storia.
Non la volevano sentire, infastiditi dalle nostre parole, senza comprendere il bisogno, la necessità che avevamo di
essere capiti.
Mai accettati, solo tollerati, ma con astio.
E' durato per tanti, troppi anni.
Finalmente, è arrivato il Giorno del Ricordo. Anche noi abbiamo una data ufficiale da ricordare, un giorno ben più
triste del 1. novembre.
Ma, con il Giorno del Ricordo gli altri, quelli che non hanno vissuo il nostro dramma, hanno iniziato ad ascoltarci,
a credere a quello che raccontavamo.
Non si puo parlare delle Foibe e dell'Esodo partendo dal 1940; bisogna andare ben più indietro, dalla seconda
metà del 1800, quando sono incominciati gli "attriti" tra Italiani, Sloveni e Croati d'Istria e Dalmazia.
Poi, lentamente, in mezzo ad innumerevoli difficoltà ( talvolta la diffidenza nei nostri confronti è palpabile) il
velo, il sudario, come lo chiamo io, che avvolgeva la nostra Storia si è incominciato a squarciare.
C'è stato l'incontro a Padova tra Ass.Naz.Venezia Giulia Dalmazia ed ANPI di quella città, con le scuse a noi
rivolte da quell'ANPI.
C'è stato il 13 giugno 2014. il giorno della commemorazione della strage di Vergarolla. A Montecitorio, nella sala
Aldo Moro, con i rappresentanti relle Camere riuniti. E' la prima volta che, ufficialmente, si parlava di quella
strage.Oltre agli Istriani, chi in Italia ne sa qualcosa?
C'è il Presidente dell'ANPI di Segrate che, incontrandomi, ha ribadito che non tutte le Associazioni di Partigiani
nutrono sentimenti ostili nei nostri confronti, ma di grande comprensione.
C'è stato l'abbraccio liberatorio tra il Prof.Todero e me, ad una celebrazione del Giorno del Ricordo, a Seregno. Il
Prof. Todero (Istituto Storia della Resistenza del Friuli-Venezia Giulia), con grande obiettività storica ha rievocato
la Storia, la nostra, del Confine Orientale.
Quella Storia che è stata, nei nostri confronti, sorda e crudele, aggiungendo al dolore per la perdita del TUTTO :
dei parenti, dei morti, degli amici, della casa, del Paeae, del lavoro, della tua vita, aggiungendo, dicevo, il dolore
del rifiuto e dell'oblìo.
Ma noi non abbiamo dimenticato.
Tenacemente amiamo la nostra terra perduta, tenacemente ricordiamo la dolcezza della vita passata nei nostri
paesi, tenacemente ricordiamo i nostri anziani, come le mie nonne morte di crepacuore, Nonna Checa e Nonna
Anna, morte di dolore dopo l'addio ad Orsera che non hanno mai più rivisto, tenacemente, ora, cerchiamo di far
sapere la nostra storia.
Gli episodi succitati dimostrano la volontà, la buona volontà di capire da parte di persone o associazioni, episodi
che alimentano la speranza, sempre più forte, di essere compresi da chi non ci voleva, non dico comprendere, ma
neppure ascoltare.
Da Annamaria che appartiene "ad una comunità che avrebbe potuto continuare ad essere e che non lo è stata mai
più : Orsera."

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