OMAGGIO
ALL'ISTRIA e AL FRIULI
Poesie di Bruno Pecchiari nato a Pola vive a Udine
POLA
( 24 - 25 Dicembre 1992 )
Soffro per i tuoi tanti mali,
povera, mia piccola Pola...
Oggi, ho portato l'aiuto dei bravi friulani,
a questa nuova gente,
parte integrante della mia Città,
e anch'essa cara al mio cuore.
Un giovane prete della Caritas Croata,
dovendo darmi dei riferimenti per la consegna,
mi ha chiesto:
- Sa dove è la chiesa di Sant'Antonio?-
Mi si è strozzata la voce in gola.
- M'hanno battezzato... là! - ho ansimato.
Nulla poi mi ha più chiesto!
E nulla si son chiesti i suoi padri,
quando, entrati in Città e nel mio Paese,
ne hanno preso possesso.
Non si sono chiesti il perché di quelle case vuote,
di quei campi, di quei vigneti abbandonati,
di quegli archi e di quelle colonne
di quegli epitaffi su tombe antiche
di quei monumenti…
che i loro avi non avevano eretto...
Non si sono chiesti il perché di quelle strade,
di quelle piazze, vuote e tristi,
senza giochi di bimbi,
senza canti di donne ai balconi...
Hanno marciato, petto in fuori, gioiosi, superbi,
e tuttavia intimoriti da cotanto nobile,
nuovo possesso...
Una gloriosa bimillenaria eredità,
che hanno banalizzata, negata,
in parte scalpellata via e gettata in mare.
Ma ciò che resta di quegli archi, di quelle rovine,
e di quelle epigrafi, sono stati la loro trappola!
Siamo Istrocroati! O Istrosloveni!
O ancora... siamo Istriani!
Dice ora, con orgoglio, la nuova progenie dei vincitori.
Noi, vecchi esuli guardiamo ancor diffidenti,
questi rudi e incolpevoli nipoti, che la Storia,
complici uno sciagurato ed un folle*, ci ha assegnato.
Sulle loro giovani spalle grava, oggi, il compito
di riparare torti ed errori dei nostri e loro padri.
E quando le ultime candele per noi accese,
si saranno spente sui nostri dispersi sepolcri,
e alcun ginocchio su di essi più si piegherà,
solo in loro potrà ancora rivivere il sogno,
e il nostro amore per l'Istria Eterna.
San Nicolò
Co stavo a Pola
'ncora putel
el sei de dicembre
iera el giorno più bel;
'vardando dal leto
sora el comò,
vedevo i regali
de San Nicolò.
Tuto contento
sveiavo i fradei
portandoghe via
i tochi più bei.
'Desso son grande
no speto più gnente
ma a ti te domando
un fià riverente:
o San Nicolò,
ma in quela cità
per noi benedeta
ghe xe qualche picio
che 'ncora te speta?
Sergio Fantasma poeta novantenne
Una delle insenature più belle, più caratteristiche, più frequentate del porto di Pola era Vergarolla. Le famiglie prediligevano questa località perché, alla bellezza del mare, si aggiungeva la frescura di un’ombrosa pineta che arrivava fino alla spiaggia. Su questa erano state accumulate dagli Alleati una trentina di mine disattivate benché ancora cariche di tritolo.
Il 18 agosto, tre giorni dopo la grande manifestazione all’anfiteatro romano, a Vergarolla si svolgeva una festa con gare di nuoto e ballo all’aperto. Numerosissime le famiglie sulla spiaggia, innumerevoli i bambini. Erano andati su barche imbandierate, su motoscafi, su cutters per divertirsi ed invece andavano incontro alla morte.
Verso le 14 e 20 un tremendo scoppio fece tremare la città già provata duramente dai bombardamenti e da altri due scoppi verificatisi dopo il ’45. Crollarono vecchi muri, si frantumarono vetrate, si contorsero saracinesche. Erano scoppiate per opera di «ignoti» (Comunicato Alleato) le mine marine.
El sol brusa le piere,
tremola l’aria e vien su da l’asfalto
de catrame vampade.
A Vergarola xé festa.
Su le barche bandiere,
soni, canti, ridade.
El mar, lucido e fermo, par de smalto.
Ogi nissun, sicuro, a casa resta.
Sfarfala i cuters, motoscafi cori,
passa barconi pieni
de mame e fioi sereni,
foleti scuri come tanti mori,
scherzosi, alegri come useleti
(sarà presto su, in cel, tanti angioleti)
...E tuti quanti va là, a Vergarola...
Circa le due e venti
quando tremar se senti
la tera, el cel, le case, tuta Pola.
Tremendo un rombo, ’na grande fiamada
e po’ da Vergarola ’na fumada
nera se alza in alto e paurosa.
Vetri roti... rolè sbregadi via...
... che disastro... che strage... Mama mia!
E la notizia cori dolorosa...
El sol brusa le piere,
tremola l’aria e vien su da l’asfalto
de catrame vampade.
A Vergarola la morte...
a mez’asta bandiere...
Sangue... vite sfalzade …
el mar xé rosso, fermo e par de smalto.
Quanti i colpidi da la bruta sorte?
Un brazo qua... là do’ mani... ’na testa...
stroncadi come fiori
i fioi coi genitori...
a Vergarola che tragica festa!
Pica dai rami dei pini spiantadi
tochi de carne... intorno, seminadi,
corpi de fioi ne le pose più strane,
scrivelai, tuti storti,
poveri pici morti!
Calca de gente a l’ospedal davanti.
Done palide, oci gonfi de pianto...
spetinade... mal vestide... Dio santo!
Dove xé el picio mio?... Mia sorela?...
I mi cognadi... i mi parenti tuti?...
Assassini... vigliachi... farabuti...
El giorno se fa scuro...
campane a morto co l’Ave Maria.
In capela stivadi
da l’altar, a fianco a fianco,
per tera, lungo ’l muro,
riposa i massacradi...
i feridi vanegia su in corsia...
Vea piansendo un dotor tanto stanco...
Bepi Nider
Il testo, estratto dal libretto Terra Nostra scritto nel 1948 da Giuseppe Nider in merito alla tragedia di Vergarolla,
ci è stato gentilmente inviato dalla socia Caterina Silli di Trieste.