Padre Germano compie 100 anni
Festa grande a Treviso per i 100 anni di vita e i 75 di sacerdozio di padre Germano (Mario) Diana. Nato il 21 gennaio 1913 ad Aiello del Friuli, dal 1925 frequentò il collegio dei Frati Minori di Chiampo (Vicenza), nel 1928 vestì a Venezia l’abito di San Francesco con il nome di Germano, nel 1929 emise la professione semplice e nel 1936 quella solenne. Il 29 giugno 1938 fu ordinato sacerdote. Dal 14 agosto 1939 operò a Pola nella parrocchia di Sant’Antonio, dietro l’Arena. A lui spettò l’istruzione dei giovani, dei chierichetti e dei frequentatori dell’oratorio oltre che il coordinamento della filodrammatica e dei ragazzi dell’orfanotrofio conventuale. Con l’entrata in guerra dell’Italia iniziò a tenere un diario, che costituisce un prezioso documento di storia cittadina. Il 17 febbraio 1947 partì con il “Toscana”. Nel 1948 un tribunale jugoslavo lo condannò in contumacia come “spia del Vaticano”. Dopo un periodo trascorso nel convento di Gemona, dal 13 novembre 1948 al 13 novembre 1998 fu per cinquant’anni instancabile missionario in centro America con il nome di Mario. Tornato in Italia, risiedette nel convento di Cormons fra il 1998 e il 2002; da allora vive a Treviso nel convento francescano della chiesa Votiva (Santa MariaAusiliatrice). Ha spesso partecipato ai raduni dell’Ultima Mularia de Pola.

In suo onore domenica 20 gennaio mons. Eugenio Ravignani, vescovo emerito di Trieste nonché esule polesano, e sei frati minori (fra cui il ministro provinciale) hanno concelebrato una messa nella chiesa Votiva gremita di confratelli, parrocchiani ed esuli. Nell’omelia Ravignani, che a Pola era stato suo chierichetto, ha individuato in lui tre doni (carismi) elargitigli dallo Spirito Santo: la vocazione alla vita francescana, quella al sacerdozio e quella alla missione.
«Nel 1944 – ha ricordato il presule – i continui bombardamenti aerei costringevano a passare giornate intere (e qualche ora della notte) nei rifugi scavati nella roccia. Un’uscita dal rifugio più vicino a casa mia s’apriva dietro il convento dei frati. E così cominciai a frequentare quella parrocchia. Ricordo la fraternità di allora e i frati. Tra loro padre Germano, che non era difficile amare per quella sua umile semplicità, “sorella della sapienza” con cui ci accoglieva sorridente, incoraggiava le nostre confidenze e conosceva le nostre attese. Egli, con il suo esempio, non è stato certo estraneo al maturare anche in me di una vocazione alla vita sacerdotale, per cui a lui sono sempre riconoscente. Era certo un frate attivo, impegnato, all’avanguardia nella conoscenza di certe possibilità che scienza e tecnica allora offrivano e che sperimentava con successo; era seguito non solo dai ragazzi ma dai giovani che allora animavano la comunità parrocchiale. Ed era un padre che sapeva dare guida spirituale sicura e forte a chi s’affidava a lui». «Oggi – ha continuato – egli ricorda con noi settantacinque anni di sacerdozio. Alla sua profonda gratitudine si accompagna la nostra e quella di tutti coloro ai quali ha fatto conoscere ed amare il Signore Gesù, ha annunciato nel vangelo la sua parola di verità ed ha educato a crescere nella fede impegnandoli e sostenendoli nel darne testimonianza convincente e credibile».
«Sulla città di Pola e sulla terra – ha rammentato mons. Ravignani – si abbatté la tempesta. Non era più solo quella delle incursioni aeree, quando la morte veniva dall’alto. A guerra che sembrava finita altre furono le preoccupazioni e le sofferenze. Dalla dura occupazione tedesca ad altre occupazioni straniere che umiliarono la vita di una città, fino al suo passaggio e di tanta parte dell’Istria all’allora Jugoslavia e, conseguentemente, all’esodo forzato di quanti abbandonarono le loro case per cercare altrove lavoro, pane e pace. Dopo aver subito ingiusta violenza e persecuzione, se ne andarono anche i frati, lasciando ai loro confratelli francescani della provincia croata convento e chiesa».
«Fedeltà e grazia – ha concluso Ravignani – sono state compagne in tutti giorni della vita di padre Germano; il Signore l’ha saziato di lunghi giorni e gli ha mostrato la sua salvezza. Ha abitato nella casa del Signore e felicità e grazia sono state compagne di tutti i giorni della sua vita; il Signore gli ha dato la grazia di giungere alla pienezza dei suoi giorni fedele alla promessa che il più giovane arriverà a cent’anni».
Al termine della messa, l’esule polese Danilo Colombo ha affermato davanti all’uditorio che padre Germano ha fatto suo il comandamento di Gesù «ama il tuo prossimo come te stesso». Lo ha ricordato mentre dal campanile della chiesa di Sant’Antonio fotografava le distruzioni apportate dai bombardamenti anglo-americani e mentre condivideva con i polesani il periodo dell’occupazione nazista, titina e alleata. Ora sia gli esuli sia i “rimasti” che lo conobbero gli sono riconoscenti.
Il sindaco del Libero Comune di Pola in Esilio Argeo Benco ha quindi consegnato con commozione a padre Germano la benemerenza Istria Terra amata «per aver vissuto in prima persona la tragedia istriana e per essere stato sempre spiritualmente vicino agli esuli portando loro parole di conforto e di amore». È stata poi letta la benedizione apostolica impartitagli da papa Benedetto XVI. Il religioso, ormai... “secolare”, ha ricordato la «mularia de Pola» affermando che quegli anni furono al contempo i migliori e i peggiori della sua vita.
Durante il pranzo padre Germano ha soffiato sulla candelina di una torta che sommava due numeri: 100+75. Un’altra torta ha riprodotto invece una vecchia foto del frate con alcuni confratelli e ragazzini di Pola durante la guerra. L’esule rovignese Francesco Tromba ha letto un passo del suo libro autobiografico per esprimere gratitudine ai francescani che lo accolsero amorevolmente da orfano prima a Pola e poi a Venezia. Il 98enne frate Pacifico Giusto, che trascorse diversi anni a Pola, ha poi cantato una canzone patriottica dialettale e letto una simpatica poesia sempre in dialetto.
Paolo Radivo