Dal balcone sopra casa mia
di Anna Maria Crasti
Da un balcone sopra il cortile di casa mia, quella che era casa mia, scorgo la stanza dei miei genitori, dove sono nata. Di una casa si può dire che è sola? La guardo e provo una grande immensa solitudine. Le risate i giochi le grida di noi bambini, le voci dei grandi, la gente che entrava e usciva dalla bottega sono solo ricordi che mi perseguitano da tutta la vita. Non c’è segno di vita, gli scuri sempre chiusi eppure qualcuno ci abita.
Qualche volta sono entrata a casa mia: una tristezza indicibile La cucina è quasi la stessa di una volta, era di un candore abbagliante che ormai si è spento, sembra abbandonata. Era la vita di nonna Anna la fattora, piena di mille cose da fare in bottega, cucinava anche di notte se di giorno non lo poteva fare, attenta e sempre perfetta. Quando avevo sei anni e sono rimasta ad Orsera ostaggio dei titini mi ha curato con amore, tanto, perché non sentissi la mancanza di mamma e papà. Indimenticabile il ricordo delle sue braccia che mi stringevano amorose. Nel cortile c’era la tettoia, il regno di zio Bepi dove stazionava il Magirus verde scuro che lo zio, appassionato di meccanica manteneva in ottime condizioni.
È sera una delle tante dopo l’otto settembre 1943: sono incominciate a sparire tante persone mai più tornate.
Mamma e nonna sono in ansia, papà e zio non tornano. Nonna va davanti al grande portone marron lo spalanca, quasi ad affrettare il ritorno dei figli, si china ed appoggia l’orecchio a terra tentando di captare le vibrazioni del terreno procurate dal camion in arrivo. La rivedo fare quel gesto dal quale trasparivano ansia e paura che non esprimeva mai. Sono sempre tornati, solo a fine novembre 1946 papà non è tornato, per 40 giorni chiuso nel carcere di Parenzo.